WHITENOISE_05

NOBODY IN PARTICULAR

Nobody in particular.

Come i personaggi dei romanzi

so che Whitenoise finirà oggi

ma non sono sicuro che riuscirò a smettere di parlare,

come ogni personaggio scritto male,

incosciente della propria fine.

Alla fine torno a Venezia –

e dico ‘torno’ perché Venezia è una di quelle città che

se ci abiti affianco

che ti piaccia oppure no (come nel mio caso)

ci ‘torni’ non ci ‘vai’,

come le persone che fissando il soffitto

immaginano sempre il solito posto, quello dove si nascondevano

una volta, tanti anni fa, d’istinto

per sfuggire a qualcosa o qualcuno.

Una città dove si può camminare sull’acqua,

questo è Venezia:

che sia su un ponte o su un vaporetto,

lì ciò che è solido ha in sé qualcosa di instabile e sospeso.

Voglio dire, potrebbe darsi sempre il momento di un’oscillazione,

un ribaltarsi o uno sprofondare.

Per Venezia ci si sposta verticalmente non in orizzontale:

su e giù, piccole alterazioni traballanti.

Niente gite, né ombrelli, né passeggiate alle Zattere.

Oggi sono qui per terminare,

per fissare i limiti del corpo.

Passeggiando sulle fondamenta instabili,

arrivato in fondo alla città,

alle scogliere dell’Arsenale ristrutturato,

ai giardini estivi pieni di padiglioni,

guardo fisso e parlo

un’ultima volta, forse, ma come fosse la prima.

La materialità di un corpo che parla la sua lingua materna

tra due silenzi: quello prima

di dire qualsiasi cosa e quello dopo

che si è detto tutto.

Sgranare le ultime frasi

sotto forma di residui salivari

onde sonore impercettibili

e rapidi spostamenti d’aria.

Porto Marghera non si vede dai luoghi in cui sono,
si può solo immaginare (o ricordare o inventare o scrivere).
La rabbia degli edifici e degli alberi, qui,
è come assopita, bisogna forzare l’orecchio per sentirla bisbigliare.
La mia voce è acquorea, nebbiosa.
È acqua sotto i ponti, i pavimenti, dietro le facciate delle chiese,
sotto la pelle, nei giardini interni. Ed è acqua la saliva
delle parole, la regressione definitiva a uno stato di incertezza
(quella di chi parla senza sapere di cosa sta parlando,
nonostante un viaggio di cinque mesi).

Tutto è in movimento, qui,
tranne questi giardini e la città statica.
Città instabile ma fissa,
come un corpo
non particolare.

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