WHITENOISE_03
ME TOO
Trento
Me too.
Adesso lui sta a Trento.
284 chilometri from Bagnacavallo
da percorrere come voglio:
rollando qualche ora sulle rotaie di un altro treno;
in due giorni, su gambe che non sono le mie;
oppure in aereo, immaginando una traiettoria inesistente.
Swisho un blunt, a swishland
Bling blao, come i Beatles
Bless in, tic tac, le prendo dal mattino
Già dal mattino, yah, tanto già non dormivo.
Arrivato a Trento
mi sento soffocare da un’aria che credevo più fredda.
[Queste parole sono quelle che ho scritto in viaggio,
non quelle che pronuncio in città guardandomi intorno
con lo zaino che ricomincia a pesarmi addosso.]
Come quelli che lottarono per non scomparire,
Daniele (mi permetto di darti del tu qui
come non farei mai lì, dal vivo, a Trento, professor Giglioli)
è andato a vivere sui monti
mentre in basso stanno
le pianure, piene di metropoli diffuse
o vuote vuote vuote.
. . .
Ho pensato tante volte
– penso adesso –
“Anch’io”
ma sempre al negativo
quando si trattava di non saper cosa fare
dire scrivere.
Confuso, devo ammetterlo,
la maggior parte del tempo.
“Anch’io”,
Daniele,
è difficile pensarlo prima ancora che dirlo,
soprattutto se si parla di poter fare qualcosa.
Brutta bestia la vergogna
dei secoli e secoli di un cattolicesimo con un protagonista
che è il Figlio di Dio, al centro dei riflettori sull’altare,
crocefisso, a braccia aperte, sempre sul punto di morire.
Lui come tutti i geni:
o cieco o tormentato o sofferente o disposto a sacrificare tutto
tutto, dico io, tutto cosa dove perché
per chi se poi – me lo insegna il catechismo –
si risorge sempre e comunque.
Che palle
questo cazzo di MUSE geniale
e il suo dannato cartello scritto tutto in maiuscolo:
«Un grande museo dedicato alla natura, alla montagna,
alla tecnologia e alla sostenibilità,
ospitato nell’architettura luminosa di Renzo Piano!».
Un altro altare a vetri
con gli animali appesi ai soffitti, che sembrano volare,
anche se non volano, non possono, no, sono morti tutti,
e comunque, tranne i volatili, gli animali non volano, no.
Che palle
il giro del Sorasass,
le fucilerie, le trincee, le postazioni dell’artiglieria,
gli stoi nella roccia in cui si stipavano nel ’15-‘18
cose e cibi e truppe e cose
quando uno a trent’anni era per metà spacciato
o anche di più
se finiva quassù come me adesso
a guardare Trento dall’alto con lo zaino a pesargli addosso
pensando ai giorni in cui vorrei.
“Anch’io”
no “Anch’io”.
È sempre stato così.
. . .
Sparirò sono una moonstar, ehi
Oh, oh, oh, oh, ok
Stare i giorni con le mani in mano, ehi
Giorni in cui vorrei
(Sparirò sono una, sparirò sono una
Sparirò sono una, sparirò sono una
Sparirò sono una, sparirò sono una moonstar).
Notturno strano questo,
passa presto come il mese di Whitenoise.
Ma non mi dispiace stavolta, no,
che passi veloce.
Daniele,
sono qui per parlare di critica,
tutto d’un fiato, di notte.
Fammi vedere come fa
come fa la letteratura che non fa nulla da sola
come fa il teatro che non fa nulla da solo
come fanno le trincee che non fanno nulla da sole
come fanno gli alci volanti
che non fanno nulla
da soli.
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