In un presente dai contorni sbiaditi, confusi e instabili, la sensazione di muovere piccoli passi incerti su un terreno sconnesso diventa spesso ricorrente. L’equilibrio è delicato, se non precario, e destreggiarsi tra gli ostacoli del momento storico che stiamo attraversando somiglia talvolta più ad una modesta forma di sopravvivenza che ad un glorioso salto verso l’ignoto, verso l’idea del futuro a venire.
E mentre sgomitiamo per riconquistare il nostro posto all’interno di una dimensione sociale e culturale sotto lo sguardo severo, impassibile e intransigente del peggior giudice che ci sia – noi stessi – finiamo con il guardarci intorno e chiederci molto erroneamente ed ingiustamente se siamo abbastanza (abbastanza bravi, abbastanza competenti, abbastanza competitivi, abbastanza inseriti in una rete, abbastanza abbastanza abbastanza) per farci strada e stare a galla in questo nuovo scenario intermittente in rapida evoluzione.
C’è un’interessante storia di determinazione da raccontare, a tal proposito, e riguarda la nascita di uno dei più importanti appuntamenti culturali al mondo: l’Edinburgh Fringe Festival.
La Scozia al centro del mondo
Nel 1945, un’Europa devastata dalla seconda guerra mondiale cercava di risorgere dalle proprie ceneri in mezzo agli strascichi della paura e dell’incertezza. La cultura rappresentava il patrimonio da cui ripartire per ritrovare il senso di un’unità sociale, le radici della propria identità e l’appartenenza ad una comunità che aveva vissuto collettivamente la più grande delle tragedie. Edimburgo – «with its numerous artistic facilities, ancient beauty, safe atmoshpere and walk-able size» – venne designata come la città più adatta ad ospitare un festival internazionale destinato ad unire negli animi spettatori e artisti da ogni dove, per ricostruire insieme le basi di un continente frammentato. E così, su idea di Rudolf Bing, venne istituita una commissione che individuò nel 1947 il primo anno utile a proporre un evento di questo tipo, che si sarebbe dovuto svolgere in agosto con il nome di Edinburgh International Festival.
I lavori di preparazione attirarono l’entusiasmo del popolo scozzese e coinvolsero la comunità a tal punto da rendere le persone l’essenza stessa dell’evento. La partecipazione si misurò in forma di aiuti consistenti, donazioni e attività di volontariato, l’intera città aprì le porte delle sue case per ospitare invitati e visitatori, per un totale di più di seimila posti letto disponibili tra privati e hotel.
«The people of Edinburgh rallied enthusiastically to welcome the world. The atmosphere of austerity was banished as residents transformed the city with decorated shop fronts, magnificent floral displays, and flags, and pennants flapping on every available spot. Topping it all, the sun shone gloriously for three continuous weeks»
Round the fringe
In questo clima di festa glorioso, otto gruppi teatrali costituiti rimasti esclusi dalla programmazione ufficiale decisero di presentarsi ugualmente senza invito e di portare in scena i loro spettacoli, parallelamente allo svolgimento della manifestazione principale. Le compagnie operarono in maniera totalmente indipendente l’una dall’altra, senza alcuna struttura di supporto, mosse solo dal desiderio di partecipazione e di inclusione. Erano stati lasciati ai margini (fringe, ndr) dell’evento, e nei margini avevano trovato il loro spazio d’azione, il luogo deputato entro cui rivendicare la propria identità teatrale. Il termine fringe entrò nell’immaginario collettivo (ufficialmente il nome che il gruppo si era dato era quello di Festival Adjuncts) con il 1948, quando il giornalista e drammaturgo Robert Kemp descrisse così la situazione:
«Round the fringe of official Festival drama, there seems to be more private enterprise than before … I am afraid some of us are not going to be at home during the evenings!»
L’evento prese così tanto piede che nel 1958 si arrivò alla costituzione della Fringe Festival Society, un’istituzione no profit che permettesse di rispondere alle esigenze di quello che si andava creando come vero e proprio appuntamento di tendenza. Lo scopo era quello di formalizzare l’evento e creare così una rete di supporto per gli artisti, costituendo un botteghino centrale di riferimento e un programma del festival sul quale la Società aveva il veto di non esprimersi. Un ideale che tuttora accompagna le politiche di inclusività e partecipazione portate avanti dall’istituzione.
Il Fringe oggi: here’s to the uninvited
Il Fringe Festival rappresenta oggigiorno un appuntamento imperdibile che ogni anno, ad agosto, per tre settimane, trasforma Edimburgo nel palcoscenico più spettacolare che ci sia. Un calendario ricco di eventi colora le strade attraverso le esibizioni di artisti e performers, distribuiti su centinaia di venues sparse per la città e pensate per offrire una rete capillare diffusa di proposte adatte ad incontrare e soddisfare qualunque gusto. Il festival non è solo una vetrina di prestigio internazionale, ma anche e soprattutto un luogo di scambio e incontro per chiunque abbia una storia da raccontare, uno spazio sicuro in cui ciascuno può avere l’opportunità di esprimersi attraverso l’esperienza creativa.
In occasione dei lavori per il settantacinquesimo anniversario dalla nascita (da segnare in agenda, l’edizione del 2022 sarà particolarmente celebrativa), l’Edinburgh Festival Fringe Society ha pubblicato nel 2018 un documento intitolato The Fringe Blueprint che racconta l’impegno portato avanti dalla società in vista di questo prestigioso traguardo. Il manifesto è corredato in otto punti. Otto come quelle compagnie che, con determinazione, non si sono rassegnate e hanno fatto della loro emarginazione un punto di forza, dando origine ad un evento collettivo e unico nel suo genere che nel corso degli anni ha ispirato più di 200 movimenti off in tutto il mondo.