Tre Giorni affronta la paura di morire con ironia e irriverenza, sbattendoci in faccia tutto il cinismo della vita, così brava a prenderci in giro. Cosa proverò? Si chiede Rob. Non proverai nulla, risponde Emy, senza però saperlo davvero. Perché nessuno sa veramente cosa accadrà dopo. Semplicemente, a un certo punto, tutto si spegne. Il cuore smette di battere, il cervello si ferma, gli organi non lavorano più e la nostra coscienza sprofonda in un sonno senza sogni. 

Tre Giorni racconta l’attesa. Quella di una stanza d’ospedale: un luogo senza tempo che ha confini spazio-temporali a sé stanti, contaminati da un realismo magico che mescola tra loro ironia, cinismo, paura e disperazione. L’attesa altera lo scorrere del tempo, lo deforma fino a dilatarlo o a restringerlo. Un secondo diventa un giorno, un giorno diventa una vita. Non è più il tempo esteriore – scandito solo dalle visite dei parenti e dai pasti improponibili dell’ospedale – a scorrere, ma il tempo interiore. Un tempo che non ha regole, confini e che per ognuno di noi è mutabile e differente.

Tre Giorni, in fondo, non parla che di amore e di morte. Della possibilità di provare speranza grazie a uno sguardo che sa di futuro. Ma sperare significa anche affrontare le nostre paure più oscure. Così restiamo lì, vulnerabili e indifesi, ma con la consapevolezza che non si muore mai domani, si muore sempre oggi e allora, oggi, dobbiamo anche vivere.

(Federico Malvaldi)

Anno di stesura: 2024

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Numero pagine: 33

Numero personaggi: 4

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Testo già rappresentato: SI

2021 - Menzione speciale al Premio PaT – Passi Teatrali per la drammaturgia italiana contemporanea.

2020 - Vincitore del premio SIAD Calcante.

2019 - Finalista al Premio CENDIC Segesta.

SINOSSI

Tre giorni. E dopo? Dopo si vedrà. Rob, un ragazzo malato di cancro alla spina dorsale, non può saperlo. L’operazione ha il 50% di riuscire e il 50% di… beh, avete capito. Tre giorni per fare i conti con se stessi e con tutti i fantasmi del passato. Per accettare che tutto potrebbe finire entrando in quella maledetta sala operatoria. Tre giorni per dire l’ultimo ti voglio bene a una madre rimasta sola, o per ricordare le bravate di gioventù insieme al proprio migliore amico. Tre giorni di paure e di incubi, ma anche di sorrisi e momentanee speranze. Perché proprio a me? Perché la vita è così: si diverte a fregarti. Ma a volte capita che in mezzo alle fregature accada qualcosa di bello. Una parola, uno sguardo, un gesto: Emanuela. Tre giorni per innamorarsi. E dopo questi tre giorni chissà, si vedrà.

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