Tirare le somme di una relazione, di una storia d’amore che dura da diversi anni, è forse un’impresa impossibile. Come impossibile – e forse non auspicabile – è evitare la trappola, resistere alla tentazione di cercare una spiegazione unica ed esaustiva, quelle formule alchemiche che legano e separano due anime. Questo sembra l’obiettivo dei due protagonisti di Totale, interpretati da Gioia Salvatori e Andrea Cosentino, andato in scena al TeatroBasilica di Roma.
Il pubblico in sala fa presto ad affezionarsi ai due poli, ai due termini di questa coppia che, mentre strappa qualche risata, dimostra tutto il sentimento, l’impegno e la pazienza messi in una relazione che alla fine ha visto sfasciarsi. Ne abbiamo parlato con l’autore del testo e regista Pier Lorenzo Pisano.
Perché hai deciso di scrivere e di mettere scena uno spettacolo che parla di amore, di relazione di coppia? Da cosa è nata l’idea?
L’idea dello spettacolo è nata da un’installazione che ho creato tempo fa: uno scontrino lungo metri che riporta tutti gli acquisti fatti da una coppia. Per ogni acquisto c’è una breve storia e, alla fine dell’elenco e della relazione, c’è un totale. Cranpi, i produttori, l’hanno visto e mi hanno chiesto di sviluppare uno spettacolo a partire da quell’idea. Totale è nato da quell’oggetto, che poi ho rielaborato per raccontare un’altra storia, quella della personaggi interpretati da Andrea Cosentino e Gioia Salvatori. L’originale parlava di una coppia più giovane, quindi le voci degli acquisti erano diverse, così come i temi che sollevavano. Invece lo spettacolo è stato scritto su di loro e per forza di cose il tipo di relazione che affronta è differente. Credo comunque che il cuore molto emotivo del testo sia rimasto.
Quindi quando hai scritto il testo sapevi già che sarebbero stati Gioia Salvatori e Andrea Cosentino ad interpretarlo?
Sì, li conoscevo e apprezzavo già come attori. Dopo aver proposto loro di partecipare allo spettacolo ci siamo chiusi in sala prove per qualche giorno. Ho cominciato a scrivere e ho fatto loro leggere alcune bozze. Poi ho buttato giù il copione da solo e ci siamo rivisti mesi dopo, quando il testo era già pronto. Comunque Totale è scritto su misura per loro, tenendo a mente il loro modo di parlare e di fare. Per questo dico che lo scontrino era solo il nucleo, il resto del testo l’ho sviluppato pensando a come loro avrebbero messo in scena la storia. Il modo in cui funziona lo spettacolo in un certo senso li prepara all’interpretazione, perchè inizia con Gioia Salvatori e Andrea Cosentino che si costruiscono i personaggi. Loro inventano le loro storie e ne discutono. A ogni replica fanno un percorso: creano la storia e si innamorano, formano e rompono la coppia ogni sera.
Lo spettacolo, infatti, mostra soprattutto all’inizio una componente metateatrale molto forte, delle lunghe scene in cui i due attori giocano a inventare da zero i due personaggi che si sono appena incontrati. Più si va avanti nella rappresentazione, però, più questo aspetto si perde. Perchè?
I due interpreti sono due autori-attori e mi sembrava interessante metterli nella posizione di creare la storia. Sono dei panni che sono abituati a vestire e mi interessava mostrare una sorta di processo creativo in diretta, per quanto prestabilito dal copione. Ma, una volta gettate le fondamenta dei protagonisti e della relazione, loro la vivono e basta; la storia d’amore prosegue per conto proprio, di scena in scena. Anzi, continua anche fuori dai confini della scena, come se ormai i personaggi appartenessero alla realtà, come se fossero indipendenti. Quando tirano le somme alla fine, fanno riferimento anche a momenti che noi non abbiamo visto
Però questa tendenza torna un po’ sul finale, loro riflettono su quello che è stato. E a proposito di questo, sembra quasi che il personaggio di Andrea Cosentino lasci aperto uno spiraglio alla loro storia d’amore. Il finale è aperto?
No, il finale è chiuso: è già stato scritto. Esiste già un totale, lo scontrino è già stampato dalla prima scena, è solo in attesa di essere srotolato. Così come gli elementi di scena: c’è già tutto, è solo nascosto dietro le tende. E anche i costumi, sono già lì, coperti da una tuta neutra. Loro scoprono in scena, con sincerità ed emozione, una storia che è già tracciata. Nell’inizio c’è già la fine, viene detto. C’è qualche tentativo di cambiare il finale da parte di lui, ma restano tentativi. Forse però c’è una speranza, anche se irrealistica: che un giorno l’universo possa ricominciare da capo, riavvolgersi su sé stesso, e che loro possano rivivere tutto quello che è stato. C’è qualcuno che spera davvero che questo possa succedere nelle storie che vive, ma per loro avviene a ogni replica.
Nello spettacolo si fa spesso riferimento alla storia del mondo e dell’Universo, a un’era “trilobitica” in cui tutto era fermo e gli esseri viventi si amavano senza consapevolezza. Qual è il significato di questa immagine?
Volevo che il rapporto tra i due personaggi non si basasse su un classico conflitto tipico delle storie d’amore. I protagonisti rappresentano due tendenze quasi più cosmiche che umane: da una parte la tendenza a restare, alla stasi assoluta, a voler tenere tutto fermo affinché le cose non finiscano mai e per tenere lontana la morte e dall’altro lato invece la tendenza all’evoluzione, all’espansione dell’Universo, al conflitto inteso come sviluppo della storia. Per me era più interessante mettere una coppia su questi due binari opposti piuttosto che farli confrontare su un piano emotivo e sentimentale.
La scenografia di Totale, curata da Rosita Vallefuoco, è molto espressiva, gli oggetti di scena sono in prevalenza in bianco e nero e vogliono sembrare bidimensionali, piatti. Qual è la ragione di questa scelta?
Anche la scenografia è un richiamo al processo della scrittura. Loro stanno scrivendo la loro storia, quindi è come se inventassero e disegnassero anche scene e costumi. All’inizio sono solo due figure che emergono da uno sfondo nero, non c’è nulla. Poi tutto comincia a comparire quando lo nominano, con un rapporto con la parola quasi magico. La parola è creatrice, rende le cose vere a tal punto che i personaggi e gli attori ci restano dentro. E il bianco e nero sono anche un richiamo alla musica, agli spartiti, ai tasti dei pianoforti. La componente musicale, sviluppata insieme a Francesco Leineri, è molto importante, e li porterà poi a scrivere insieme la loro canzone.

Nata a Roma nel 1998, si laurea in Lettere all’Università di Tor Vergata e Filologia Moderna alla Sapienza, occupandosi di letterature comparate e viaggiando per studio e lavoro in Europa. Frequenta il master in Critica Giornalistica dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Appassionata di poesia e di parole, scrive per diverse testate e blog di argomento teatrale e culturale, accordando un interesse speciale alla drammaturgia contemporanea e agli studi di genere.