«La parola del teatro è, prima di tutto, orrendamente (insopportabilmente) fisiologica». Così scrive Giovanni Testori nel suo manifesto del 1968, Il ventre del teatro, per teorizzare una parola teatrale a cui sia propria una «qualità di carne e di moto (a strappi, a grida, a spurghi ed urli; una qualità forse impossibile, quasi certamente blasfema)».
Ed è proprio la ricerca attorno a questa «parola-materia» – un «verbo» che, compiendosi «qui e ora», possa incarnarsi nel corpo dell’attore, e una «carne» che, a sua volta, tenti di «rifarsi verbo» – a dettare le linee programmatiche di BAT – Bottega Amletica Testoriana.
Il progetto, ideato e curato da Antonio Latella e promosso da AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali per Pesaro Capitale italiana della Cultura 2024, Piccolo Teatro di Milano e stabilemobile, in collaborazione con Associazione Giovanni Testori, coinvolge otto giovani attrici e attori che, tra settembre 2023 e febbraio 2024, sono invitati allo studio e al confronto con la lingua e la poetica dello scrittore di Novate Milanese, nell’anno in cui ricorre il centenario della sua nascita.
«Tornare dunque al concetto primario ereditato dai nostri maestri: mettere sé stessi a servizio dell’autore e dei/delle compagni/e di lavoro – afferma il regista campano nell’avviso di selezione per il percorso di formazione –. Regalarsi un tempo per tornare “a bottega”, usando un’espressione forse desueta, ma che continua a indicare una modalità di lavoro che si caratterizza per lo studio e la pura ricerca».
Quello a cui abbiamo avuto modo di assistere – tra il 27 e il 29 ottobre, e tra il 3 e 5 novembre – al Teatro Grassi di Milano non è allora uno spettacolo formalizzato, ma una sessione di lezioni aperte alla condivisione con il pubblico, durante le quali il lavoro artigianale sul «testo-Testori» viene restituito sotto forma di esercizi per gli attori.
È dunque il pubblico stesso ad avere un ruolo fondamentale nel progetto, e non solo perché, oltre agli otto attori professionisti, sono stati selezionati otto spettatori e spettatrici “in avamposto” che potessero condividere la ricerca «in una sorta di inedita “intimità”»: non appena si fa ingresso nella storica sala milanese, la platea si vede infatti “riflessa” – grazie all’utilizzo di una telecamera – sul fondale del palcoscenico per l’intera durata della lezione.
Il pubblico viene allora interpellato e portato al dialogo dallo stesso Antonio Latella che, muovendosi tra le poltrone, incoraggia i singoli spettatori a partecipare al processo creativo nell’istante stesso del suo svolgersi.
Dagli spettatori e dalle spettatrici arrivano infatti i “suggerimenti” di parole per dare il via alle prove mnemoniche e d’improvvisazione versificatoria intraprese dai giovani: dal classico gioco “c’è un bastimento carico di…” si passa all’invenzione di rime baciate, che vengono scandite in una sorta di freestyle.
Questo esercizio preliminare sulla parola e sulla modalità della sua declamazione apre a un’interpretazione dell’opera testoriana ancora mai sperimentata: in una paradossale aderenza al testo, organizzato in frasi brevissime e sincopate, gli attori recitano i versi del Post-Hamlet a ritmo di rap, intuendo un tempo intrinseco alla scrittura che risuona come straordinariamente contemporaneo per chi vi si accosti nel ventunesimo secolo.
Il percorso di studio della Bottega si articola in tre tappe che approfondiscono le “riletture”– «rivisitazioni», «imbastardimenti», «strozzamenti» – testoriane dell’Amleto shakespeariano, opera con la quale lo stesso Latella ha finora avuto un “triplice” confronto.
L’itinerario dei giovani attori prende infatti avvio dalla lingua estremamente visiva di Amleto. Una sceneggiatura per il cinema (1970), per passare all’impasto di dialetto lombardo, francesismi e latinismi dell’Ambleto (1972) – antieroe anarchico che mira ad annientare «la soverana piramida dell’ordeno e del potere» –, e per approdare infine al già citato Post-Hamlet (1983), in cui il protagonista, significativamente assente dal testo, diviene una figura redentrice, che accetta il martirio per liberare un’umanità schiacciata dal potere reificante e omologante di una società capitalistica e tecnocratica.
Come sottolinea lo stesso regista, gli scritti amletici testoriani sono attraversati anche da uno straziato sentimento d’amore, che si esplica in prima istanza nel rapporto tra le varie versioni di Amleto e il personaggio del Franzese/Orazio: a serbare traccia di questa memoria testuale è l’intermezzo in cui gli attori, “schierati” in fila sul proscenio, eseguono a cappella il brano Amandoti dei CCCP.
In maniera quasi “mimetica” alla poliedricità dei linguaggi – dal teatro alla prosa e alla poesia, dal giornalismo alla critica d’arte e alla pittura – in cui il magmatico pensiero di Testori è venuto a sedimentarsi, l’indagine condotta dagli otto giovani insieme a Latella si sofferma sull’esercitazione nella tecnica del ritratto e sulla costruzione di una coreografia ispirata al mondo del pugilato: un’arte che possiede una disciplina molto simile a quella teatrale – come affermano gli interpreti –, e che tanto spazio trova nell’opera testoriana, a partire dai racconti sui «poveri diavoli» della periferia milanese ne Il ponte della Ghisolfa, a cui Visconti attinse a piene mani per il suo Rocco e i suoi fratelli, fino alla serie di dipinti dedicata ai Pugili, carichi di colori accesissimi e di materia.
Allo stesso modo in cui i soggetti delle tele di Testori sembrano sporgersi e fuoriuscire dalla cornice, gli attori Noemi Apuzzo, Alessandro Bandini, Andrea Dante Benazzo, Matilde Bernardi, Flavio Capuzzo Dolcetta, Chiara Ferrara, Sebastian Luque Herrera e Beatrice Verzotti prediligono un’assoluta frontalità sul palcoscenico, si siedono accanto agli spettatori, e si espongono a quella “domanda di relazione” che per Hans-Thies Lehmann rappresenta una necessità fondante del teatro contemporaneo.
La sperimentazione di BAT – Bottega Amletica Testoriana, fondata su un lavoro di ricerca collettivo, intrapreso da giovani professionisti, trova allora riconoscimento (è importante sottolineare: anche economico) e accoglienza nel primo teatro stabile d’Italia, per rileggere e riscoprire in dialogo con l’intera comunità teatrale la pregnanza di una parola come quella di Giovanni Testori, in grado gettare un ponte tra la nostra tradizione drammaturgica e una nuova generazione di interpreti.
Nasce a Brescia nel 1994. Dopo un periodo trascorso a Monaco di Baviera, si laurea in Scienze Filosofiche all’Università di Padova, approfondendo il pensiero estetico di Adorno. Si diploma al Master in Critica giornalista presso l’Accademia Silvio D’Amico di Roma con una tesi dedicata al teatro di Pasolini nella visione di Antonio Latella. Attualmente scrive di teatro, cinema e letteratura sulle riviste online Tre Sequenze e Bookciak Magazine.