C’erano tre uomini che volevano installare i pali dell’alta tensione, si tratta di una linea elettrica che collega due località della zona, e circa 150 persone dovevano firmare il loro consenso perché passa sul loro terreno. Io mi sono rifiutato di mettere la firma, ho detto che non sottoscrivo ciò che va a mio danno. Sarebbe come se ci si dichiarasse disposti a firmare la propria condanna morte.
Un colloquio con Thomas Bernhard, a cura di Andre Muller
Provando ad addentrarsi nei labirinti impervi e ossessivamente verbosi del teatro di Thomas Bernhard, non si può fare a meno di scontrarsi con una crudeltà scomoda e respingente che sembra caratterizzare il rapporto dell’autore con i suoi personaggi.
Di questa battaglia sotterraneo fra autore e carattere, l’arma alleata dello scrittore austriaco è il tentativo costante di rendere faticoso il linguaggio e il ragionamento, stirare attorcigliare le parole, rendendole una rete soffocante e a maglie strette per i suoi protagonisti.
Ciò che però lo differenzia da drammaturghi come Samuel Beckett o Eugene Ionesco, per quanto riguarda questo atteggiamento enigmistico nei confronti del linguaggio, sono proprio i personaggi, costruiti dall’autore come avversari degni dello scontro, estremamente respingenti e dediti nelle loro singole cause, per questo incapaci di uscire dall’impasse che li lega all’immobilismo delle loro storie. I protagonisti delle sue storie, citando l’autore, possono appartenere a due categorie quelle degli ottusi o dei pazzi, quella degli ignoranti o dei folli e la loro immobilità nel ruolo porta solo ad un irrigidimento autolesionista.
Scegliere il teatro di Thomas Bernhard, oggi, ha dunque al suo interno una potenzialità reazionaria preziosa.
Andrea Baracco decide di dirigere Interno Bernhard, andato in scena dal 17 al 29 gennaio al Teatro Argentina di Roma, spettacolo diviso in due parti, tratto da Il riformatore del mondo e Minetti, costruendo un filo rosso che lega a doppio giro i protagonisti dei due testi bernhardiani. Da un lato Il riformatore del mondo, un filosofo anziano e profondamente radicale che vive in totale isolamento con la sua domestica/moglie/dama di compagnia e si prepara a ricevere a casa sua, evento unico e straordinario per l’assegnazione di un riconoscimento, una delegazione ufficiale che gli consegnerà la laurea honoris causa per aver scritto un trattato su come salvare il mondo. Il riconoscimento però, è la conferma dell’inutilità della sua operazione e della natura aleatoria del mondo dell’alta cultura, il centro del suo studio si concentra infatti sull’assioma secondo cui per migliorare il mondo bisogna eliminare gli uomini dalla faccia della terra. Al centro di Minetti, c’è invece il ritratto crudelmente affettuoso del suo attore-feticcio, Bernhard Minetti, l’anziano del teatro tedesco”. Ormai vecchio e disilluso, l’anziano mattatore aspetta nella hall di un albergo di essere convocato per andare in scena, la notte di capodanno, porta nella sua valigia ritagli di ricordi dei suoi successi e la maschera di Re Lear, la hall dell’albergo diventa la sala d’attesa che precede il disfacimento e il congelamento di sé.
A metà dunque fra consapevolezza e cieca auto-illusione, Minetti ricostruisce la sua storia per le orecchie distratte dei passanti, senza abbandonare mai una spietatezza glaciale nei confronti del teatro e della società ormai per lui priva di senso. Thomas Bernhard, costruisce due personaggi che incarnano un odio bilaterale nei confronti del desueto, Minetti apostrofa e sentenzia con crudeltà i suoi interlocutori “Non crede che bisogna odiare il progresso da un certo momento in poi” afferma lapidario e la risposta che riceve è un assoluto silenzio. Mentre Il riformatore del mondo, nel 2023, nello scenario ricostruito di un mondo sopravvissuto a una pandemia diventa una possibilità nichilista e terrificante, ma pericolosamente autentica. La scelta dunque di unire i due personaggi si trasforma in un confronto aspro difficile, che tagliando lo spettacolo in due parti distinte, dissonanti, trasforma Minetti e il riformatore in nemici di se stessi, prima che del mondo mostrandosi più divergenti e di quanto realmente siano.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.