<<Melius est, pauperes edere de mensa tua, quam istriones>>, quel che dice questo ammonimento del Basso Medioevo latino fa intendere quanto difficile fosse il mestiere del teatrante in quell’epoca: <<È meglio alla tua mensa dar da mangiare ai poveri che agli attori>>. In effetti, nel 700 d.c. quello che nei primi secoli dell’Impero romano sembrava essere il seme di un’evoluzione teatrale deluse le aspettative e, invece di migliorarsi, involse fino alla sua fine. Essere attore nell’epoca bizantina divenne sempre più difficile. Se nei primi anni della Costantinopoli capitale dell’impero romano (dal 330 al 1202/1261 al 1453), in giro per la città si potevano ritrovare teatri costruiti sui modelli di quelli greci e romani, ippodromi in stile Circo Massimo, a cominciare dalla fine del 600 la varietà degli spettacoli si affievolì sempre di più perché contrastati dalla religione cristiana. Nel 692 gli attori erano numerosissimi ma nel Concilio della Chiesa di Roma tenutosi in quell’anno a Costantinopoli gli ecclesiastici decretarono la messa al bando degli spettacoli teatrali. Fu deciso, inoltre, che sia gli attori professionisti che le loro consorti dovevano essere espulsi dalla chiesa. E, addirittura, se qualcuno ospitava degliistriones rischiava in prima persona delle punizioni, gli attori erano visti alla stregua dei ladri, delle meritrici, e furono privati di numerosi diritti civili.
Il silenzio increscioso dell’arte teatrale d’improvviso è interrotto in una strada principale di Costantinopoli del 700. Sentiamo voci lamentevoli proferite in cori che si avvicinano lentamente, sono molto simili a quelle delle litanie liturgiche, un abitante dell’epoca mi fa capire che è una folla di gente che sta cantando o biascicando, non si capisce bene per la verità, delle frasi suggerite dal sacerdote: “La processione!”. Già, ecco cosa è rimasto di teatrale nell’era bizantina, e quando quella folla di persone ci passa davanti, salta agli occhi e alle orecchie qualcosa di strano. I sacerdoti interpretano frasi, recitano azioni della Passione di Cristo. Da un’iscrizione di uno di questi leggo la parte iniziale di una loro lettura drammatica: <<Ora, alla maniera di Euripide, vi racconterò la Passione che ha salvato il mondo>>. Alla maniera di Euripide? Ma qui si parla di teatro? Non abbiamo detto che fosse bandito? Hai capito questi ecclesiastici che furbi? Il teatro è vietato agli attori ma non ai sacerdoti che interpretano. Non fu quindi, l’arte in se per se bandita ma i significati della stessa che spesso erano pagani. Hanno sostituito il bisogno di quell’arte oramai divenuta popolare con altre espressioni e con la stessa veicolano i loro messaggi. Qualcuno, ironicamente, potrebbe dire che non c’è niente di scandaloso basta ricordare che in fondo le arcaiche origini del teatro ci dicono che i primi attori erano molto simili ai sacerdoti. Ma sarebbe ovviamente solo sarcasmo.
Intanto però nell’Europa occidentale, con la caduta dell’impero romano d’occidente e la cessazione dell’ordinamento politico e amministrativo dello stesso si pone fine all’arte rappresentativa sovvenzionata dall’Impero: il teatro classico. Le compagnie dei mimi, non avendo più ragione di esistere, si dissolsero e i più convinti si trasformarono in cantastorie, menestrelli, acrobati, giocolieri, equilibristi. Le scenette erano sempre quelle degli anni avanti Cristo, rozze, lascive, discendenti dirette dei Fescennini e delle Atellane. Questi liberi attori girovaghi ebbero successo soprattutto nel 900, e crebbero di numero, questo lo si capisce proprio perché si hanno molti editti emanati dalla chiesa contro i mimi, histriones e ioculatores in quel periodo. Insomma la battaglia era tra la chiesa e l’arte rappresentativa e dovunque la chiesa cristiana arrivava, tramite i romani, distruggeva ogni figura di “libera informazione” e di rappresentazione. Nell’Europa Settentrionale ad esempio vi erano dei narratori di storie a più voci che raccontavano delle imprese degli eroi nordici e, siccome questi erano depositari anche della storia e della cronologia della tribù a cui egli appartenevano, gli scop, così erano detti, nutrivano molta considerazione dagli abitanti della zona. Bene, in seguito alla progressiva conversione al cristianesimo delle tribù nordiche, intorno al VII e VIII secolo, la chiesa si schierò contro di essi e finirono di essere trattati allo stesso modo dei mimi, cioè uomini non meritevoli di avere diritti civili e per questo marchiati infami.
Lo scopo della Chiesa era chiaramente quello di direzionare tutte le attenzioni extraquotidiane su di essa. Questo lo faceva non solo emanando editti contro le tradizioni pagane, ma stando attenta a sostituire l’evento tradizionale, a cui la gente era legato, con quello religioso appropriandosi così delle feste preesistenti. Per questo motivo gli studiosi affermano che la data di nascita di Gesù fu fissata al giorno 25 dicembre solo nel 300 circa, proprio per sostituire le feste pagane svolte in quel periodo dell’anno. Allo stesso modo si fece con la Pasqua che andava a sostituire le feste della fertilità che si tenevano nei mesi primaverili. Come si è, però, già detto l’arte rappresentativa, non veniva del tutto eliminata ma cambiata di senso, l’evento pagano diveniva religioso e il religioso recitava il permesso, cioè, appunto, la storia della Passione di Cristo, la sua nascita, la resurrezione. Questa pratica fu così perfezionata che nel 900 si sviluppò quello che poi sarà chiamato il dramma liturgico che nasce da un testo in primis il Quem quaeritis, un dramma in forma dialogata che raccontava dell’incontro delle tre Marie con l’angelo al sepolcro di Cristo.
Si potrebbe però, per ironia della sorte esclamare: “Chi di religione colpisce di religione perisce!”. Difatti, nell’aria d’oriente dominata dai romani, dopo la morte di Maometto (632), il nascente impero dell’Islam, da questo evento generato, esercitò una pressione politica e militare contro l’Impero. Il suo dominio si espanse rapidamente dall’Arabia alla Persia, al Nordafrica, alla Spagna, spingendosi fino alla Francia dove fu arrestato da Carlo Martello nella battaglia di Poitiers (732). L’avanzata ottomana portava con sé novità e proibizioni nel campo artistico e scientifico, una delle quali era il divieto assoluto dell’arte rappresentativa, di conseguenza con la conquista di Costantinopoli del 1453, da parte degli islamici ottomani, anche la forma liturgica di teatro sparì da quelle zone. L’attore in quei siti non esisteva più.
Solo in alcune zone governate dai musulmani: Turchia, India, Indonesia, Giappone, permisero un’unica forma di teatro, quella delle ombre. L’attore non ha più le sembianze solide di carne ed ossa, non ha nemmeno la somiglianza legnosa di un burattino, l’attore diventa l’ombra del suo passato che proietta immagini, create da sagome principalmente di cuoio, su di uno schermo bianco. Il grandioso teatro classico greco e latino che aveva comunque resistito alle mille difficoltà imposte dall’impero bizantino sopperì a favore di quello misero e spartano delle ombre.
L’attore, seppur mai riconosciuto come uomo dignitoso, nei primi anni d’impero romano aveva comunque trovato un suo ruolo all’interno della società, alla fine del primo secolo invece si ritrova di nuovo senza ruolo e peggio ancora bandito.