The day when i chose to be a daughter, tre sguardi

Mag 28, 2025

Articolo realizzato da Corrado Passalacqua, Elisa Furiosi, Giusy Cirillo, partecipanti al workshop Theatertelling – Futuro Roma, nell’ambito del Festival internazionale di danza e cultura contemporanea Futuro Roma.

In The Day When I Chose to Be a Daughter, DaCruDanceCompany affida a un viaggio coreografico intimo e viscerale, le tensioni profonde legate alla costruzione della propria identità e alle dinamiche familiari. Marisa Ragazzo e Omid Ighani firmano una performance che mescola danza urbana e contemporanea. Corpi disarticolati, attraversati da scariche, l’uso della tecnica del popping, ma anche del locking e del floor-work. Il dato di partenza, però, sembra essere soprattutto quello biologico: camminate, gesti, tocchi. L’estetica è sempre l’esito di un montaggio di sensazioni, mai il punto di partenza. La comunicazione non è strettamente simbolica, ma un richiamo agli istinti del corpo spettatoriale, un sentire trasferito e quindi condiviso, che induce a definire gli orizzonti della rappresentazione attraverso il proprio sguardo.

Uno sguardo narrativo: Nella danza di Elda Bartolacci, Davide Angelozzi e Graziana Marzia una serie di quadri che, come fotogrammi interiori, raccontano le tappe della crescita: la dipendenza dai genitori, la ribellione, l’allontanamento e, infine, il ritorno. L’atmosfera intima si fonde con l’universalità del tema: essere figli non è solo un dato biologico, ma una scelta identitaria che si rinnova (o si rifiuta) nel tempo. Scenografia e luci essenziali sostengono una narrazione danzata che si sviluppa tra contrasti: tensione e abbandono, contatto e distanza, silenzi e rotture. Il corpo diventa rifugio e costrizione, il luogo in cui si inscrivono le influenze genitoriali che modellano la personalità e lasciano tracce nella postura e nella mente, nel gesto e nella relazione con gli altri. In particolare, la conflittualità con la figura del genitore emerge non come frattura sterile, ma come momento necessario nel processo di emancipazione. L’allontanamento dalla casa – intesa come nucleo sicuro ma anche spazio limitante – è visto nei movimenti decisi, a tratti spezzati, come se il corpo stesso resistesse a quel distacco. Ma è proprio nell’abbandono di quel luogo che inizia la costruzione consapevole di sé, con tutte le sue incertezze e contraddizioni. La danza qui non è mai solo esecuzione, ma ricerca, provocazione, perdita di equilibrio, ripresa. Il ritorno – o meglio, la memoria del ritorno – si carica di malinconia e tenerezza. Non si torna mai uguali, e forse non si torna mai del tutto. Ma l’attaccamento rimane, trasfigurato, nella dimensione del ricordo, che si fa corpo e movimento. La musica amplifica questo flusso di emozioni, incorniciando ogni gesto come fosse parte di una serie di fotografie vivide.

Uno sguardo metaforico: un percorso che, partendo da un’identità maschile di base, sceglie di evolversi verso un’identità femminile o non binaria. Anche il titolo, in questa interpretazione, richiama fortemente questa tematica: “Il giorno in cui ho scelto di essere una figlia”. Quattro elementi presenti in scena a sostenere una simile prospettiva: un cardigan rosa (il colore culturalmente associato al genere femminile), un foulard (simbolo di eleganza femminile, nel contesto europeo del Novecento), una borsetta a mano (emblema fortemente collocato nell’identità di genere femminile) e una sedia (attesa, staticità, ruolo imposto o posizione sociale).  Ancora, musica e voce fuori campo che evocano il concetto di “two is better than one”, come a suggerire che due identità di genere possano coesistere armonicamente in un corpo che si riconosce altrove, oltre la dicotomia tradizionale. Un messaggio che sembra legittimare e valorizzare la complessità del sentire e dell’essere. Sul finale, i tre i performer assumono una posizione fetale e ovarica, un ritorno all’origine, un desiderio di protezione e di rinascita. Una riflessione sulla complessità dell’identità, e abbandono della verticalità dell’identità imposta.

Uno sguardo esperienziale: oltre un racconto, una relazione familiare. Tre corpi, due femminili e uno maschile, appaiono come il nucleo. Nucleo che si fonda su una prossimità fisica: il cozzare, convivere, confondersi dei corpi. Non dei ruoli definiti ma le dinamiche di una famiglia: quelle esplosive del litigio, quelle dolci dell’intimità, quelle necessarie del supporto. Si delinea via via un triangolo Madre-Padre-Figlia. Una delle due danzatrici indossa un cardigan, un foulard e una borsetta. Viene introdotta una sedia. Nel legame con l’oggetto, nel dato fisico, cioè la prova innegabile di una presenza, passata o attuale, il corpo si trasforma. Non sorprende come il movimento di lì in avanti sia sempre più caratterizzato da una contrazione del centro del corpo, come un continuo incassare. Il ruolo materno,  femminile, troppo spesso caratterizzato da un dolore che va sopportato, da un destino inevitabile. Anche la figura paterna pare volutamente standardizzata. Un modo di essere padri legato alla responsabilità di tenere in piedi quella famiglia che, portando il suo nome, su di lui deve reggersi. E quando questo sostegno non è atto d’amore, si rivela trappola. 

Dopo questa assunzione di ruoli, una messa alla prova. Per mischiarsi, indagarli e infine trasferirli, forse un po’ cambiati. Si alternano ancora momenti di accordo del movimento, anche se più rari, a movimenti  di puro contatto o di sfogo nevrotico. Tocca nel profondo la maniera di vestire di ricordi gli oggetti, quando la presenza fisica non è più possibile. Poter vivere solo nei ricordi altrui a cui tutti siamo destinati. Infine, il ritorno all’universale: l’uovo, la cellula, il feto.
The Day When I Chose to Be a Daughter un’opera sulle relazioni interpersonali, una riflessione sul significato della crescita anagrafica ma soprattutto interiore. È una provocazione poetica e potente a scandagliare il nostro io alla ricerca della sua individualità. Un invito a venire a patti con la nostra persona e assolvere finalmente il genitore (inteso come archetipo, al di là di ogni situazione particolare). Una danza che non cerca risposte, ma abita con sincerità le domande.

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