Portare per la prima volta sulla scena, in uno spettacolo di poco più di un’ora e mezza, un romanzo contemporaneo non è un compito facile: il rischio che le parole prendano il sopravvento sulla rappresentazione o di non riuscire a condensare in maniera credibile, o quantomeno godibile, una trama troppo articolata è sempre dietro l’angolo. Ci riescono invece con grande semplicità il regista Nino Sileci e le attrici Valeria D’Angelo e Silvia Ponzo, della compagnia Opificio03, dando vita sul palco del Teatro Vittoria di Roma Teresa degli Oracoli, spettacolo tratto dall’omonimo libro di Arianna Cecconi e vincitore della rassegna Salviamo i talenti 2024.
Protagoniste della vicenda sono una famiglia di sole donne, una casa buia abitata dagli spiriti del passato e del futuro, la presenza assente dell’anziana Teresa sul suo invisibile letto di morte, dalla cui spalliera pendono i ricordi di tutta la sua vita, e la divinazione.
La capacità di vedere gli eventi, di guardare all’esistenza individuale come a un punto fisso nel disegno del fato, si manifesta in differenti forme in Teresa degli oracoli: è fede religiosa e scienza naturale, superstizione, medicina, costume, interpretazione dei sogni. Ognuno di questi strumenti d’indagine su ciò che ancora non è stato trova in questa storia la propria funzione, ma, infine, è solo su quel letto – posizionato idealmente nel bel mezzo di una stanza in cui il pubblico riconosce il salotto borghese – che i destini di questa strana famiglia tornano ad incontrarsi. Così, mentre attendono la dipartita dell’anziana signora predetta per l’ennesima volta in dieci anni di malattia dal medico, le altre abitanti della casa percepiscono l’approssimarsi della fine di un capitolo della propria vita e si sforzano di tirare le somme, di chiudere i conti con il passato.
Le due attrici danno vita a quattro personaggi molto diversi, in grado di contrapporsi e compensarsi a vicenda: le due giovani figlie di Teresa, ovvero l’intraprendente Irene e la sapiente e pantofolaia Flora, la zia Rusì, religiosa, alcolizzata e xenofoba quanto basta, e la dolce Pilar, superstiziosa badante peruviana. Valeria D’Angelo e Silvia Ponzo riescono a caratterizzare tutte e quattro le donne quasi solo grazie alla recitazione e a pochi, semplici trucchi ingegnosi: un’alternanza di toni e accenti diversi per fingere lontane conversazioni dietro le quinte, qualche variazione nell’atteggiamento del corpo e il cambio di appena un capo d’abbigliamento. In questo modo spettatori e spettatrici si scoprono d’improvviso parte di una famiglia numerosa e immaginaria, che esiste solo nei corpi di due interpreti.
Gli affetti e la casa d’infanzia delle due ragazze si rivelano, però, dei rifugi troppo fragili in confronto alla società e a tutte le sue malattie. Anche all’interno di questo universo tutto femminile non sembra possibile sfuggire né alla violenza del mondo né alla prevaricazione maschile, che getta la sua lunga ombra fino ai piedi del letto di morte di Teresa. Mentre Irene cerca di scoprire da dove provengono i sogni che la tormentano e scava nel suo rapporto conflittuale con il padre, Flora ricorda il triste naufragio del grande amore della sua vita e Rusì si rende conto di aver lasciato – tanti anni prima, ai tempi della guerra – una parte di sé nella sua lontana Genova. Come intuisce la saggezza peruviana di Pilar, per interpretare in maniera corretta gli oracoli, per definire la propria direzione, le protagoniste dovranno prima chiarire qual è e da dove viene il loro “susto”, lo spavento, il trauma che ha fatto loro perdere quel pezzetto di anima che ancora le attende, dimenticato da qualche parte.

Nata a Roma nel 1998, si laurea in Lettere all’Università di Tor Vergata e Filologia Moderna alla Sapienza, occupandosi di letterature comparate e viaggiando per studio e lavoro in Europa. Frequenta il master in Critica Giornalistica dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico. Appassionata di poesia e di parole, scrive per diverse testate e blog di argomento teatrale e culturale, accordando un interesse speciale alla drammaturgia contemporanea e agli studi di genere.