Tra sperimentazione e tradizione si muove l’arte del Teatro dei Colori, storica compagnia di Teatro di Figura che ha saputo porsi come riferimento nella ricerca tecnica e nella moltiplicazione costante dell’offerta culturale per il proprio territorio di riferimento, la Marsica.
In dialogo con l’amministrazione locale e in sinergia con altre realtà, il Teatro dei Colori è al lavoro per il progetto di Pescina Capitale della Cultura 2025, borgo abruzzese che ha dato i natali a Ignazio Silone, che il Teatro dei Colori anima con iniziative teatrali ormai da numerosi anni, riconoscendo la ricchezza storica, culturale, paesaggistica che le aree interne custodiscono.
Nel mentre, prosegue la folta tournée della compagnia, assicurandone una presenza capillare presso i pubblici italiani, insieme alla formazione e all’annessione di giovani artisti al cast, con una compenetrazione di competenze e nuovi sguardi.
Ce ne parla Valentina Ciaccia, regista, autrice e attrice del Teatro dei Colori.
È da poco giunta la notizia della nomina come finalista di Pescina Capitale della Cultura 2025. Nomina che per lo stretto lavoro di collaborazione e di proposta culturale che vi lega a questo comune è una vittoria e, insieme, una nuova sfida.
V.C: Oggi sono io che te lo racconto perché il direttore artistico del Teatro dei Colori, Gabriele Ciaccia, è a Bruxelles con la delegazione di Pescina finalista per la Capitale della Cultura 2025. Proprio a Bruxelles, Gabriele Ciaccia ha recitato Il segreto di Luca, un nostro spettacolo di cui andiamo molto fieri.
Siamo molto impegnati su questo progetto insieme a tanti altri partner, soprattutto il Centro Studi Internazionale Ignazio Silone, che ha avuto una parte preponderante e l’amministrazione attuale ma anche le passate amministrazioni che evidentemente hanno ben lavorato sul territorio. E poi ovviamente tutti quanti gli artisti che in questi anni sono stati coinvolti nelle varie stagioni di teatro e anche appunto nelle attività del Centro Studi, perché c’è stata una meravigliosa affezione verso Pescina.
Pescina è una piccola città, un piccolo borgo con un genius loci particolare: è la città che ha dato i natali a Ignazio Silone, lo scrittore forse più moderno e più ignorato della letteratura italiana del Novecento e che noi cerchiamo di far riscoprire da tanti anni con i nostri spettacoli, con i nostri momenti di studio.
Il Teatro dei Colori è sicuramente stata la prima struttura che già dal 1987 ha investito tantissimo sul lavoro di costruzione dell’identità culturale e territoriale. Ciò che sta accadendo è frutto del progetto odierno che coinvolge tantissimi giovani con impegno, creatività, fantasia, ma anche di tutto quel che si è costruito prima.
Quelli che ieri erano i bambini che partecipavano alle attività teatrali e laboratoriali adesso sono assessori, sindaci, docenti a loro volta. Questa è la continuità generazionale, perché la cultura genera cultura. Non a caso lo slogan della candidatura di Pescina è proprio “La cultura non spopola”. Si può approfondire e sostenere il progetto visitando la pagina Visit Pescina.
È un sogno. Mai ci saremmo immaginati di riuscire ad arrivare a questo punto, questo è già un grandissimo risultato. Speriamo di riuscire a fare ancora meglio. Anche se in realtà son 36 anni che lavoriamo lì, il nostro direttore artistico Gabriele Ciaccia quest’anno è diventato anche il direttore artistico del Teatro San Francesco di Pescina, dove abbiamo curato la stagione di prosa serale in collaborazione con il Teatro Stabile d’Abruzzo.
È già un grande risultato di cui siamo molto fieri perché accende i riflettori sulla Marsica, che adesso ha bisogno di rinnovarsi, di ritrovare una giusta identità per i propri giovani che sono tanti e sono molto bravi e preparati. Andare fuori, trasferirsi lontano dai proprio luoghi di nascita non deve essere una necessità, a volte si può anche tornare e costruire, ricostruire il bello, specialmente in un territorio eccezionale e meraviglioso a livello naturalistico come quello dell’Abruzzo interno.

Un’altissima tecnica fisica e un’importante capacità di sviluppo della coscienza attoriale sono alla base del vostro teatro nero. Usando Carnaval come esempio, ti andrebbe di raccontarmi il Teatro nero del Teatro dei Colori?
V.C: Carnaval è ormai in tournée da tre stagioni, come tutti i nostri spettacoli per fortuna è molto longevo, lo programmeremo anche per i prossimi anni. Questo spettacolo è proprio un esempio di quanto sia importante per noi l’interazione con i bambini. Carnaval è un omaggio al teatro del Bauhaus, al suo interno ci sono figure luminescenti che creano immagini relative al Carnevale degli animali di Camille de Saint-Saëns, la partitura musicale sulla quale lavoriamo. Perché Carnaval? In realtà è stato un gioco interno alla compagnia. Ho voluto fare un Carnaval mio come omaggio a un Carnaval di vent’anni fa di mio papà Gabriele.
Io sono ormai la regista in pectore del Teatro dei Colori già da diversi anni, questo spettacolo è un omaggio alla tecnica che mio papà ha inventato, che mi ha trasmesso e che io sto portando avanti evolvendola soprattutto con lo studio della danza, delle arti visive e delle varie tecniche attoriali. È un gioco che abbiamo sempre fatto: il Teatro dei Colori nasce nel 1987, io nel 1983, per mio papà sono sempre stata la bambina tipo, il prototipo di piccolo spettatore per gli spettacoli. In questo gioco tra padre e figlia, in realtà si è sviluppata una tecnica mimica, corporea, mnemotecnica e biomeccanica che si è allargata negli anni a tanti altri attori che hanno contribuito con il proprio sapere, con le proprie capacità.
Il Teatro su nero è una tecnica difficile. Ci vuole un allenamento fisico importante, c’è lo stress del rapporto con l’oggetto e la difficoltà che questo stress produce si supera proprio con la tecnica, la capacità di padroneggiare l’oggetto. Il nostro è un Teatro di Figura di immagini, moderno, contemporaneo, ha delle caratteristiche a sé, unisce il fascino dell’oggetto a quel controllo corporeo che è forse più simile al teatro danza. E poi ha delle tecniche di memoria molto particolari perché lavoriamo sui vettori del corpo, sull’inclinazione e gli angoli degli arti umani, che sono l’equivalente di quello che si trova nei software di programmazione di motion capture. In modo empirico, un danzatore, un attore studia su di sé e raggiunge dei parametri biomeccanici e fisici identici a quelli utilizzati per sviluppare questi meravigliosi aggeggi meccanici.
Rispetto alla costruzione delle immagini: il Teatro su nero si basa sulla percezione del colore e della forma, chiamando in ballo determinati aspetti proprio della Gestalt e della percezione attiva. Il nostro pubblico non riceve l’immagine, il cervello completa la figura. Proprio questa è la magia: quando il pubblico, specialmente infantile, interagisce con la costruzione dell’immagine a livello prefigurativo. Un bambino di tre anni capisce perfettamente cosa vuol dire a livello emotivo e percettivo una danza di un triangolo viola nello spazio, molto di più di quello che può pensare un adulto. Con il nostro lavoro andiamo a ricercare le capacità mentali, psicofisiche, adattative dell’attore che si consolidano attraverso uno studio sulla respirazione, sulla gestione dei muscoli, sull’ossigenazione.
Questi spettacoli sono per noi quasi una danza sacra, ci creano un momento di grande presenza, stiamo praticamente nel qui ed ora, nella concentrazione di un senso, della presenza scenica in cui noi invece per il pubblico spesso siamo invisibili.
La nostra tecnica viene trasmessa agli attori giovani della compagnia e speriamo di ampliare il nostro cast. Operiamo uno scambio, una trasmissione orizzontale all’interno del cast. Si genera una comunicazione prossemica, silenziosa, di contatto, fra gli animatori, che vuol dire tanto anche a livello di fiducia, di rispetto reciproco e di ascolto. Aspettiamo curriculum alla mail organizzazione.teatrodeicolori@gmail.com e dalla primavera faremo dei provini e organizzeremo dei laboratori per ragazzi che siano incuriositi dal nostro lavoro.
Com’è consuetudine della storia di compagnia, anche quest’anno la tournée di Teatro dei Colori è lunga e capillare. Mantenendo i tratti delle antiche compagnie da giro, rimane per voi fondamentale la presenza sui diversi territori e l’incontro con il pubblico. In che modo il Teatro dei Colori riesce a rinnovare, da più di 30 anni, il rapporto con gli spettatori e le spettatrici e in che modo questo incontro riverbera sull’atto creativo?
V.C: La compagnia ha confermato anche quest’anno una tournée che spazia su quindici regioni italiane, in grandi e piccoli centri. La scelta è quella di incontrare tutti i segmenti del pubblico, prediligendo i grandi teatri, dove è possibile, ma anche le situazioni di programmazione più meritevoli in termini di coraggio, come quelle di realtà nuove e giovani. La tournée è frutto di un grande lavoro di collaborazione tra programmatori e compagnie: è consuetudine nel Teatro Ragazzi e nel Teatro di Figura inserire all’interno delle proprie programmazioni spettacoli di altre compagnie per arricchire l’offerta formativa e culturale del nostro pubblico. Anche il Teatro dei Colori lo fa nelle programmazioni che cura, una scelta che non è di mero scambio ma ha a che fare con un discorso artistico volto a favorire l’incontro con i territori, con altre tradizioni teatrali. Per noi è importantissimo, perché si generano rapporti che molto spesso vanno avanti per tanti anni fino alla creazione di una amicizia artistica che favorisce lo scambio di competenze.
Ci siamo incontrati a più livelli con le compagnie che conosciamo e vogliamo continuare a incontrare nuove potenzialità, nuovi artisti e nuovi programmatori. Ad esempio, stiamo organizzando il viaggio della nostra compagnia a Catania per una data di Carnaval nella programmazione di Teatro Argentum Potabile de La Casa di Creta di cui apprezziamo tantissimo il lavoro, il loro coraggio artistico e ci teniamo a esserci e a mostrare il nostro spettacolo ai bimbi della Sicilia, avendo sempre cura di arrivare in modo capillare in tutt’Italia. La programmazione invernale sta finendo, ci sarà una piccola pausa primaverile nella quale metteremo in prova nuovi spettacoli e poi si ricomincia con le date estive, siamo già in programmazione anche per l’estate.
L’incontro col pubblico per noi è particolarmente importante. I nostri sono spettacoli di Teatro Ragazzi, di Teatro di Figura e a tecnica mista e, soprattutto per quanto riguarda queste discipline artistiche, il pubblico non è soltanto uno spettatore ma è il protagonista dello spettacolo. Nella loro percezione attiva, i bambini ci regalano delle cose meravigliose che poi facciamo nostre negli spettacoli. Tanti dei nostri spettacoli sono nati proprio attraverso il feedback dei bambini, i disegni che ci hanno donato alla fine degli spettacoli o con i laboratori nelle scuole durante i quali, insieme ai docenti, proponiamo un percorso di preparazione alla visione, impegnandoci a portare a scuola il teatro e i ragazzi a teatro. Quando si crea una relazione sai di aver vinto, di aver fatto bene il tuo lavoro.
Il teatro per ragazzi non è intrattenimento. Il teatro per ragazzi è pedagogia della scena. Ecco perché devono sentirsi protagonisti del momento spettacolare, essere incuriositi ma anche responsabilizzati nella visione dello spettacolo, creando momenti di interazione molto forti che poi rimangono anche negli anni.

La vostra compagnia opera nel segno della sperimentazione e della tradizione, tenendo sempre viva l’attenzione alla trasmissione di saperi. L’annessione di nuove energie alla vostra compagnia è di fatto, uno dei vostri obiettivi di questo periodo. Lo scouting rappresenta anche un importante termometro con cui valutare lo stato della formazione nell’ambito di figura. Qual è la situazione?
V.C: Ci sono delle esperienze molto valide, la prima che mi viene in mente è Animateria, scuola di formazione che sta facendo veramente un grandissimo lavoro, specializzando giovani in tecniche di teatro non facilmente rappresentate. Nelle accademie e università italiane sono più frequenti cattedre che si occupano del Teatro di Figura, un grande patrimonio che facilita la connessione tra l’Italia e la scena europea superando il limite della lingua. C’è però un gap generazionale. Ci sono state generazioni che non si sono confrontate facilmente con la trasmissione del sapere. Queste tecniche sono molto dispendiose per l’attore, ci vuole un senso estetico, della scena che è un po’ differente rispetto a un teatro prettamente di parola o di ricerca, quindi il coinvolgimento non è sempre così immediato.
Il Teatro di Figura è una scelta costituzionale. Chi fa Teatro di Figura sa che è un teatro in cui non ci si mette particolarmente in mostra e che è molto di vocazione.
Abbiamo dei grandissimi maestri in Italia. Bisogna imparare a costruire gli oggetti scenici che vanno considerati come vere e proprie opere d’arte, anche perché se sai realizzarlo, capisci molto di più dell’oggetto che manovri. Dal punto di vista creativo, il Teatro Di Figura è correlato alle arti applicate, alla scultura, alle arti visive. Il lavoro di Teatro dei Colori è in relazione con le Avanguardie del Novecento, spesso vedere un nostro spettacolo significa vedere di fatto un quadro in movimento, come può essere un Kandinskij o un Klee.

Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.