Danza contemporanea internazionale a Roma: il “Fuori Programma” del teatro Vascello
C’è un tempo per vivere le emozioni, nel breve attimo fugace in cui si manifestano con il loro vigore, e c’è un tempo per raccontarle. Solo quando l’eco dell’ultimo caloroso applauso del pubblico si è dissolto nell’aria, dopo che gli artisti hanno lasciato il palcoscenico, può iniziare una narrazione che ha come finalità quella di raccogliere i ricordi uno ad uno, come fossero conchiglie. La memoria è come il mare che restituisce sempre tutto ciò che ingloba nelle sue profondità, dopo averlo trasformato. Nei suoi flashback ci sono le suggestioni offerte al pubblico dagli artisti coreografi e danzatori, protagonisti di un Festival internazionale di Danza Contemporanea dal nome persuasivo ed efficace come una dichiarazione di intenti: Fuori Programma.
Personalità eclettiche e poliedriche come Hillel Kogan che è anche attore e drammaturgo. Dunja Jocic, la coreografa di origine serba, campionessa di ginnastica ritmica che ha collaborato con artisti, compositori e designer di fama internazionale. Come regista ha diretto due film: Mirroring e Bird che hanno ricevuto diversi riconoscimenti. Alcuni di questi nomi alla creazione artistica uniscono l’impegno in attività di formazione. È il caso del già citato Kogan, ma sono coinvolti in progetti didattici anche Michele Abbondanza che insieme con Antonella Bertoni forma la compagnia omonima e, infine, Mauro Astolfi, fondatore della Spellbound Contemporary ballet, nonché guest teacher presso importanti centri di danza e direttore artistico del D.A.F. dal 2009. Noa Wertheim e Roberto Zappalà, infine, sono autrorevoli maître à penser, punti di riferimento significativi per gli addetti ai lavori e non.
Tutte le emozioni vissute, in un lungo abbraccio simbolico tra gli interpreti e gli spettatori durato diciotto giorni, sono riaffiorate successivamente con la precisione dei particolari registrati a livello inconscio. Sono tracce di memoria fissate negli istanti di un passo a due, di un ensemble danzante di ballerini o di un solo act. Nell’iconografia di ogni frame il corpo è stato il protagonista di questa rassegna: esibito o analizzato, vestito e denudato. Ogni corpo parla, racconta una storia. In ogni corpo nasce e muore il sogno. Il corpo è un tempio del mistero e del trascendentale, in esso risiedono i bisogni umani razionali e quelli irrazionali, le speranze e le incertezze. Il corpo è il baricentro dell’accettazione e dell’inclusione contro ogni discriminazione per razza, religione, condizioni economiche e orientamento sessuale. Tutto ciò viene declinato con un altissimo livello dai corpi di ballo del panorama nazionale e internazionale; interpreti ricchi di espressività e potenza fisica come Luca Cacitti, Shai Partush, Gaetano Montecasino e Fernando Roldan Ferrer, solo per citarne alcuni.
La compagna inseparabile della danza è la musica che mette in accordo e rende omogenei i suoni con i movimenti del corpo. Anche in questo caso è facile rivivere le sensazioni riascoltando i pezzi usati come colonna sonora di quei quadri. Dai temi classici di Mozart a Schubert usati per We Love Arabs e La Morte E La Fanciulla, alla musica di Avi Belleli, musicista e cantante israeliano, che con le sue creazioni è stato coinvolto nello spettacolo One, One & One di Vertigo Dance Company. C’era della poesia e tanto trasporto emotivo nelle danze a due; atipico e straordinario l’abbraccio volteggiante tra Andy Warhol e sua madre Julia sulle note di On Ne Change Pas di Cèline Dion. Di straordinaria opacità la stretta maschile, il “Corpo A Corpo” tra Gaetano Montecasino e Fernando Roldan Ferrer, diretti dalle intuizioni di Roberto Zappalà sulla musica di Into My Arms di Nick Cave.
Fuori Programma è iniziato l’11 luglio con la compagnia Vertigo Dance Company: in One, One & One veniva utilizzato un elemento semplice e primordiale, una grande quantità di terra scura e marrone. Semplici linee rette all’inizio, disegnate con precisione svuotando dei secchi. Quelli che sembravano i confini di un territorio, i margini di uno spazio fisico, ben presto sarebbero stati sbriciolati, fino a riempire tutto il palcoscenico invadendolo, contaminando i corpi e i costumi dei danzatori. Era l’Alfa, l’inizio del Festival è stato così. Per la fine, l’Omega, Roberto Zappalà invece ha scelto di utilizzare del materiale simile al sale, bianco, per delimitare il bordo di un ipotetico ring e per svuotare, a sorpresa, il sacco dei pugili reso quasi somigliante a una clessidra, nell’atto di perdere la sabbia in essa contenuta, the end of the game. Terra o sale, insomma, la materia prima dice molto da dove veniamo, verso dove stiamo andando e anche chi siamo. Come in una sorta di mappa concettuale, alle prospettive, alle metafore e alle relazioni di One, One & One (vicino/lontano, dentro/fuori, il sé e l’altro) combaciano con gli opposti e le parole chiave di Corpo a Corpo (bene/male, luce/buio, nomade/stanziale) in una sorta di continuum che diventa il diario di bordo di uno spettatore che è anche viaggiatore e testimone di una esperienza storica.
Roberto Zappalà ha anche curato un workshop tenutosi il 26 luglio presso il teatro Vascello con il contributo di Fernando Roldan Ferrer. Undici giovani aspiranti ballerini professionisti hanno sperimentato un po’ di quella che è la sua impronta artistica. Paziente e deciso, con la sua voce calma e una t-shirt rossa con la parola “devoto” stampata al centro, dopo una breve introduzione che serviva a ricordare che in quei 120 minuti i partecipanti avrebbero utilizzato tutte le parti del corpo per scoprire un nuovo linguaggio. In quelle fasi di “esegesi” ognuno di loro avrebbe ascoltato il proprio corpo in modo differente, cercando nuove direzioni; diversamente si sarebbe fatto “ginnastica” e non era lo scopo per cui si trovavano lì. È stato molto interessante vedere Zappalà comunicare con i ragazzi. Ognuno di loro non sfuggiva al suo sguardo e alle sue correzioni. Quando erano collettive potevano implicare trenta secondi di immobilità perché non avevano fatto un buon lavoro o non avevano seguito le sue indicazioni. Quando erano individuali si trattava di indicazioni e suggerimenti riservati e silenziosi. Parlava a voce alta quando voleva farsi sentire dal gruppo, usando metafore precise e curiose.
Il dialogo era impercettibile e a due quando era personale. Con la sua barba bianca, vagamente hipster, il coreografo italiano camminava tra le ballerine e l’unico uomo presente. In determinati momenti si inseriva nei movimenti perfettamente in tempo, con ritmo e precisione. Ballava con loro entrando e uscendo dal gruppo, senza mai perdere di vista undici rielaborazioni personali, ricordandosi i pregi e i difetti. Quegli undici corpi erano perfetti fisicamente, con linee e giuste proporzioni, trasudavano tecnica, allenamenti e dedizione al sacrificio. Eppure, come muoveva la mani Roberto Zappalà, facendole fluttuare ora come ali di farfalla, ora di gabbiano, nessuno all’inizio sapeva farlo. Bastava che all’improvviso piegasse il busto in avanti e creava un perfetto asse di simmetria con quelle mani che si muovevano leggiadre e in armonia. Congiungendo e tenendo in linea i polsi, le braccia e le spalle. Un dettaglio che vibrava, senza bisogno di esplosione fisica. Con una naturalezza che è difficile almeno quanto un grand jeté o forse di più perché quella era l’armonia trovata nell’imperfezione. La bellezza non riproducibile mediante i formalismi della tecnica. Ripeteva sempre: “Elaborate, lasciatevi andare, no flex”. Si impara tanto da maestri del calibro di Zappalà, anche solo guardando.
Siamo tutti un po’ viaggiatori erranti e Fuori Programma è stata anche una collezione di tracce, di visioni, di rappresentazioni, di geografie e culture che si incontrano mettendo in dialogo il vecchio con il nuovo Continente, il Mar Mediterraneo e il deserto del Sinai, Israele e gli Arabi. È la misura di quanto lo spazio influenza gli individui e i loro movimenti; di come noi siamo pronti ad accogliere e accettare il lembo di Terra dove viviamo e, contemporaneamente veniamo accettati e accolti, in una relazione di scambio reciproco. Talvolta veniamo rifiutati o rifiutiamo quello stesso territorio con tutte le sue convenzioni e contraddizioni. Questo è stato messo in evidenza da Hillel Kogan in We Love Arabs e da Noa Wertheim in One, One & One.
Nella data dell’11 luglio, in preparazione alla visione dello spettacolo della compagnia Vertigo Dance Company, al debutto ufficiale di Fuori Programma, Sara Ferrari ha curato un incontro per l’associazione Casa dello Spettatore. L’associazione è impegnata nel campo dell’educazione al teatro del pubblico di tutte le età, rivolgendo una speciale attenzione al mondo della scuola. Tra le tante interessanti ipotesi, è emersa una riflessione, tratta da Il Corpo di Umberto Galimberti, che è servita come approfondimento e spunto di discussione: “Non si accede al mondo se non percorrendo quello spazio che il corpo dispiega intorno a sé nella forma della prossimità o della distanza delle cose. È uno spazio che sfugge a ogni sistema astratto di coordinate, perché risponde solo a quella serie indivisibile di atti che consentono al nostro corpo di dis-locare le cose sopra o sotto,a destra o a sinistra, vicino o lontano, ottenendo così un orientamento e una direzione”. […]
Il pubblico che ha frequentato la kermesse è stato un altro elemento caratteristico di Fuori Programma. Vivace e attento, composto da esperti, tecnici e giovani aspiranti ballerini, ma anche semplici curiosi o appassionati, persone dal gusto raffinato o eccentrico, dotati di estro più o meno artistico, giornalisti redattori con i loro tablet e taccuini. L’idea di base è stata quella di aprire uno spazio e mettere in relazione i residenti romani, i turisti di diverse nazionalità, gli intenditori di un vasto pubblico italiano, gli operatori esperti e gli artisti. In un mese caldo come luglio e in piena estate, contro ogni convenzione e “logica da cartellone”. Vista l’affluenza e l’alto gradimento, la sfida è stata vinta non perché si è trattato di una coincidenza fortunata o di un azzardo fatto a cuor leggero, ma perché alla base c’è stato un lavoro che ha messo insieme buone idee, sviluppate da professionisti sensibili che riescono e sanno organizzare con impegno e sacrificio una proposta artistica come Fuori Programma, selezionando e presentando nuove creazioni, con prime nazionali e internazionali, curando significative collaborazioni come quelle con Bolzano Danza e Civitanova Danza.
Dietro tutto questo c’è la tenacia, la follia lucida e creatrice, il sorriso lungimirante di Valentina Marini ( qui l’intervista) che ha curato la direzione artistica e si aggirava costantemente in tutti gli ambienti del Teatro Vascello, accogliendo gli ospiti e tenendo tutto sotto controllo. Tania Mastrangioli è il corpo, la mente e tutto quello che comporta la produzione di un simile evento. Antonino Pirillo si è occupato dell’ufficio stampa e della comunicazione a 360 gradi, dentro e fuori il botteghino. Il lavoro è stato supportato dai preziosi contributi di Giorgio Andriani, Dalila D’amico, Marco Policastro, Letizia Coppottelli, Noemi Massari e tanti altri ancora ricordando sempre che Fuori Programma è stato possibile grazie al lavoro, al cuore, alla professionalità di uno staff di persone ma anche grazie al contributo economico di tanti “piccoli mecenati”, attraverso la piattaforma di crowfunding Indiegogo, e di tutti quelli che hanno partecipato e sostenuto questo progetto, messi a dura prova dal caldo e dall’afa, mai arresi o vinti perché le sfide affrontate con il coraggio portano sempre verso la felicità.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.