“Come nascono i Lager? Facendo finta di niente”, Se questo è un uomo di Valter Malosti

“Come nascono i Lager? Facendo finta di niente”, Se questo è un uomo di Valter Malosti

Lo spettacolo Se questo è un uomo diretto e interpretato da Valter Malosti, come ogni rilettura di un testo fortemente connotato e identitario come l’opera di Levi, crea sempre la necessità di riaprire nodi dialettici. Nonostante l’allestimento risalga al 2019 il lavoro sopravvive e continua a permanere nel tentativo di dare vita ad alta voce a questo microcosmo. L’universo del testo è complesso e controverso, scevro da ogni tentativo di pietà o solidarietà, ma quanto di più lontano dalla fredda restituzione documentaristica, è un romanzo prima di essere una testimonianza, che tiene ancorato il lettore alle pagine, trascinandolo Sul fondo e facendolo risalire nell’incresparsi delle onde del canto di Ulisse.

Come si costruisce uno spettacolo che abbia tutti questi tasselli al suo interno? Che permetta al delicatissimo e mai casuale linguaggio di un chimico come Levi di attivarsi sulla scena senza perdere la sua energia centrifuga? Se infatti ormai il rapporto tra romanzo e teatro è una questione rodata e profusamente discussa, questo progetto dimostra come la riflessione sui meccanismi vada ciclicamente rinnovata. Nonostante stiamo parlando di un binomio metabolizzato, il tema continua ad aprire interrogativi importanti, uno fra tutti quello del cambio generazionale dei lettori.

Le repliche svoltesi recentemente all’Arena Del Sole hanno avuto la fortuna e il merito, forse grazie ai lungimiranti insegnanti, o al fascino senza tempo che Primo Levi suscita in ambito didattico, di aver riempito la sala di studenti, che con i loro nuovi occhi, hanno reinventato di nuovo Se questo è un uomo, inserendolo nel loro mutato quotidiano, seminando e lasciandosi concimare. Lo stesso Levi confessò in una conversazione agli inizi degli anni 80 con Anna Bravo e Federico Cereja: “Ho l’impressione che il mio linguaggio sia diventato insufficiente, di parlare di una lingua diversa, E poi devo dire ancora questo, mi ha scottato una delle mie ultime esperienze in cui due ragazzi, mi hanno detto a muso duro “perché venite ancora a raccontarci queste cose dopo quarant’anni, dopo il Vietnam, e i campi di Stalin, dopo la Corea dopo tutto questo, perché? E io devo dire mi sono sentito incastonato, messo alle corde, fermo nella mia condizione di reduce a tutti costi.”

Forse è proprio qui che si pone la nuova sfida che il romanzo pone al teatro: restituire la forza sovversiva di una voce letteraria fuori dal coro, una sfida che scardina qualsiasi tentativo di incastonare delle immagini, e per questo doppiamente ambiziosa e di difficile raggiungimento. In questa intervista abbiamo cercato di riflettere sui meccanismi attivatori della scena, sull’importanza di risvegliare il genius loci del territorio, ma soprattutto sulla ricchezza delle differenze.

Se questo è un uomo è un romanzo polifonico, fatto di lingue e modalità espressive diverse, filtrate attraverso la macro-voce dell’autore, in questo il teatro è uno strumento privilegiato in quanto funziona da attivatore di meccanismi, in che modo la messa in scena cerca di restituire questa polifonia?

L’innamoramento per questo testo è nato proprio dall’aspetto linguistico. Dopo aver fatto un lavoro su Levi e la chimica, sempre con la collaborazione di Domenico Scarpa, ho riletto Levi dopo molto tempo, in particolare Se Questo è un Uomo l’avevo letto ai tempi della scuola, e leggendo a voce alta il pezzo del laboratorio di chimica, quando lui subisce l’esame in Lager, mi sono reso conto del grande potenziale di questa lingua, in cui appunto, come per tutti i grandi autori, in cui non c’è solo il contenuto, ma anche il suono, che dà altri sensi a ciò che si dice. Levi compie una doppia azione da una parte il suono della fabbrica di morte, delle lingue della Babele, e dall’altro il suono interiore, che leggendo il testo rischia di venire meno fuori, mentre a voce alta, come Dante, che è il suo riferimento costante, incredibilmente prende un altro suono, ma me ne sono accorto solo leggendo il testo ad alta voce appunto, così una decina di anni fa riprendendo in mano il romanzo ho deciso di fare questo spettacolo.

Parte da questo innamoramento linguistico dunque e per quanto riguarda i registri, avendo scelto una recitazione all’indietro, che non utilizza nessun virtuosismo teatrale, se non un lavoro molto sottile, tutta la parte sinestetica di suono, luce, video aiuta lo spettacolo a cogliere questo cambio di registri molto potente e riconoscibili. C’è l’io narrante, molto curioso, che parla di sé mentre è dentro il campo, sembra quasi una soggettiva da dentro il campo; l’io narrante che parla di quando era più giovane e l’io narrante che parla dall’oggi, questo vero oggi, una specie di trinità molto difficile da rendere; c’è l’aspetto legato alla collettività, molto teatrale, del voi presente nella poesia in esergo, che in qualche modo è un voi che pone domande a chi ascolta e legge e infine c’è un noi, che prende tutti sé e la collettività dei cittadini.

In più tutta la parte interiore nascosta che brucia sotto questa ragione potente, per cui l’emozione è controllatissima, ci sono poi delle zone, note a chi ha letto I sommersi e i salvati, zone di riflessione filosofica e antropologica. Inoltre vi è un altro aspetto linguistico legato alla poesia, questo grande riferirsi a Dante, leggendo emerge, con questi endecasillabi disseminati nel testo in prosa, fra l’altro molti capitoli di Se questo è un uomo, ma anche La tregua prendono vita da poesie che lui scrive appena arrivato al campo, quasi in sintesi i capitoli che poi si leggono.

Ricollegandomi alla poesia in esergo al romanzo (Shemà, 1947 n.d.r.), Levi sottolinea l’importanza della dimensione dentro/fuori, dimensione che rimane uno degli elementi più impattanti per il lettore, c’è la volontà di restituire questo binomio con l’impianto scenico?

Si,  il campo di concentramento si può capire solo attraverso la casa, le famose tiepide case, per questo quella poesia è importante, e credo parli anche di sé, infatti ne La tregua traspare chiaramente: quando lui torna in una casa accogliente, col calore degli amici in un letto che lo fa sprofondare in un incubo, viene fuori questo doppio aspetto: per Levi il lager è sempre esistito e forse per lui esiste solo quello, ma quando è dentro al lager l’incubo più grande è quello di raccontare ai suoi amici e sua sorella, quello che accade al campo e nessuno gli creda, quindi una specie un incubo quotidiano e feroce, quindi questo aspetto della casa è importante per capire il campo. E da lì in poi molto spesso viene fuori nel romanzo questo, ma serve anche a noi per capire che lui è una persona comune, nonostante sia un testimone gigantesco, quello che è successo a Levi è successo a una persona comune.

Nel 1977 Enzo Biagi chiese a Primo Levi in un’intervista “Come nascono i Lager” e lui rispose “Facendo finta di niente”, vorrei farle oggi la stessa domanda.

Assolutamente una risposta brillantissima. Quando recito questo testo, che aveva debuttato nel 2019, in un periodo molto problematico per i migranti, ma non solo, ci sono dei cortocircuiti che si aprono sulla contemporaneità e questo rende il libro universale. Fra l’altro il pezzo che noi aggiungiamo all’inizio dello spettacolo, che è l’introduzione che lui scrive per l’edizione scolastica di Se questo è un uomo, parla della paura dello straniero che è un’infezione latente, che piano piano si trasforma nella paura e nell’ipotesi di lager, poi arriva il lager, e facendo finta di niente non ci si accorge della sua nascita.

Le sue due direzioni in ambienti teatrali così diversi (Bologna e Torino n.d.r) la avvicinano all’esperienza da direttore di teatro che fu di Luca Ronconi, che ha sempre parlato della necessità di un rapporto organico con il territorio. Vorrei dunque chiederle quanto è importante questa rapporto con il territorio?

Sono partito proprio da quello, ovviamente sono passati ancora pochi mesi. Penso però che a Bologna sia molto evidente quel poco che abbiamo fatto:  a dicembre siamo in un chiostro all’aperto, Bologna per me è così, una città che deve lasciare le porte sempre apert. Una caratteristica proprio della città per accogliere persone che non entrerebbero a teatro altrimenti. Trovo importante non fissarsi su un solo modo di fare teatro, è altrettanto civile e sociale capire un romanzo come questo o la tragedia antica, tanto quanto fare lavoro con la cittadinanza, per me il teatro è partecipato a prescindere

L’ho scritto anche nel bando, io ho lavorato molto con Ronconi, nonostante quello che si diceva, lui era molto attento alle città, basti pensare quello che ha fatto a Milano e a Roma quando ha fatto il pasticciaccio, quando l’ho conosciuto la prima volta io ho lavorato su Artaud, lui mi aveva scelto per fare il laboratorio di Narni, ma io non sono diplomato, non ho fatto una scuola, mi aveva visto, ero stato contattato per andare a questo seminario ed è così che è nata la nostra collaborazione in maniera ibrida. 

L’altro obiettivo che mi propongo è questa idea civile di testi importanti restituiti in maniera forte, i tempi sono cambiati, ora non è possibile proporre la dittatura di un direttore regista: mi è stato molto utile in questo senso dirigere la scuola per attori a Torino, lì ho capito che era importante considerare la ricchezza delle differenze come dico io, sei costretto visto che hai a che fare con il futuro di molte persone, a dare una prospettiva più ampia possibile, rappresentare l’esistente, fare una cartina tornasole dell’esistente. L’unica cosa che cerco di tenere presente è la qualità, che lo spettatore rimanga colpito dalla qualità della proposta. C’è bisogno che il pubblico si fidi di un luogo, come in un cinema d’essai.

Home Sweet Home – Stagione 2017/2018 Teatro Argot Studio

Home Sweet Home – Stagione 2017/2018 Teatro Argot Studio

Storytelling Theatron 2.0

     Stagione Teatrale Home Sweet Home del Teatro Argot Studio

 

C’è un luogo di culto a Roma che per l’indefesso zelo e la preziosa attività dei suoi animatori è diventato negli anni – ormai più di trenta –  una vera e propria fucina di spettacoli memorabili e di talenti artistici che hanno lasciato il segno nella storia del teatro romano e nazionale proponendo al proprio pubblico nuovi stili e linguaggi estetici: il Teatro Argot per quest’anno presenta la stagione teatrale Home Sweet Home di cui Theatron 2.0 seguirà gli spettacoli in programmazione producendo anticipazioni, articoli d’approfondimento e interviste al fine di creare uno storytelling che racconti i percorsi scenici dei lavori e degli artisti ospitati nello storico spazio di Trastevere.

 

#FocusOn: Al Teatro Argot Studio si apre la rassegna DPBLACKMIRROR – Intervista a Chiara Preziosa

Come diretta conseguenza dell’esperienza virtuosa di Dominio Pubblico, che ogni anno vede coinvolti decine di ragazzi e di ragazze nell’organizzazione di un Festival interamente dedicato a realtà artistiche under 25, si è sviluppato quest’anno al Teatro Argot Studio il progetto DPBLACKMIRROR(CONTINUA A LEGGERE)

#AnticipAzione: Al Teatro Argot Studio va in scena “Rosmersholm – Il gioco della confessione”

All’interno della rassegna DPBLACKMIRROR presso il Teatro Argot Studio, dal 24 al 29 Ottobre, la Compagnia teatrale I Guitti presenta Rosmersholm – Il gioco della confessione di Henrik Ibsen,  riduzione a cura di Massimo Castri con Federica Fracassi, vincitrice del “Premio Ubu” nel 2011 e Luca Micheletti, attore e regista dello spettacolo…(CONTINUA A LEGGERE)

#Incontri: Il Cappuccio d’osso della Luna al Teatro Argot – Intervista video a Cristina Cirilli

Nella prima intervista video abbiamo parlato con l’autrice e attrice Cristina Cirilli delineando la parabola creativa, dalla scrittura fino alla messinscena, de “Il Cappuccio d’osso della Luna”, al Teatro Argot dal 7 al 26 Novembre… (VEDI IL VIDEO)

DRAMMATURGIA: “Echoes” di Lorenzo De Liberato – Intervista video

In uno scenario distopico dove una bomba nucleare ha distrutto un’intera parte di mondo provocando migliaia di vittime, due uomini, Echo, autore della strage e De Bois, in apparenza un semplice giornalista, si trovano uno di fronte all’altro, chiusi un bunker, per parlare delle ragioni che hanno determinato l’efferato eccidio… (VEDI IL VIDEO)

#AnticipAzione: “Tutti i miei cari” al Teatro Argot Studio. Vita e poesie di Anne Sexton

Dal 23 al 28 Gennaio, al Teatro Argot Studio, andrà in scena “Tutti i miei cari” di Francesca Zanni, con la regia di Francesco Zecca e interpretato da Crescenza Guarnieri, all’interno della stagione Home Sweet Home.
Una donna in scena, su un tappeto di rose. O forse è una tomba…(CONTINUA A LEGGERE)

#Incontri: Black’s Tales Tour al Teatro Argot Studio – Intervista a Licia Lanera

Arriva da mondi lontani e oscuri come i ricordi dei racconti delle favole che da bimbi a volte ci incantavano, altre volte invece ci terrorizzavano. Andrà in scena al Teatro Argot Studio di Roma dal 2 al 4 Febbraio: Black’s Tales Tour, spettacolo in cui cinque fiabe classiche – la Sirenetta, Scarpette rosse, Biancaneve, La Regina delle Nevi e Cenerentola – (CONTINUA A LEGGERE) 

#Incontri: Ifigenia in Cardiff al Teatro Argot. Intervista al regista Valter Malosti

Nel cuore di Trastevere, presso il Teatro Argot Studio di Roma, continuano gli imperdibili appuntamenti teatrali di DPBLACKMIRROR, rassegna a cura degli under 25 di Dominio Pubblico inserita nella stagione Home Sweet Home. Dal 21 al 25 Febbraio sbarca sulla scena capitolina Ifigenia in Cardiff con l’attrice e performer Roberta Caronia e con la regia di Valter Malosti. (CONTINUA A LEGGERE)

#AnticipAzione: Urania d’Agosto di Lucia Calamaro al Teatro Argot Studio

Una donna matura scocciata, seccata, asociale, accanita lettrice notturna di Urania e fanatica della vita e delle opere degli astronauti, durante un isolatissimo agosto in città, soffre di un’estrema crisi di alienazione e comincia a confondere le cose. Poco a poco il suo spazio interiore, fratturato dall’insonnia, trasformerà lo spazio esteriore in spazio siderale. (CONTINUA A LEGGERE)

#Incontri: Aleksandros Memetaj torna al Teatro Argot dopo la tournée a New York con Albania Casa Mia

Torna a casa, Alexandros Memetaj, dal 16 al 18 Marzo, con il monologo autobiografico Albania casa mia, regia di Giampiero Rappa per la stagione teatrale Home Sweet Home. A due anni dal debutto, dopo aver attraverso tutta Italia e aver fatto tappa oltreoceano a New York, selezionato dal Festival In Scena!, l’autore/attore italo-albanese ritrova al Teatro Argot Studio…(CONTINUA A LEGGERE)

#AnticipAzione: Focus Danza d’Autore dal 27 al 29 marzo al Teatro Argot Studio

Focus Danza nasce dalla collaborazione tra Twain e Teatro Argot Studio, nella volontà di riportare la danza in un teatro storico del contemporaneo. Le tre serate del Focus saranno caratterizzate da lavori la cui ricerca si basa sulle potenzialità di diversi linguaggi, per dar vita a creazioni che divengono manifesto di un mondo fatto di interiorità e pensiero, di ispirazioni che nascono dal corpo e di visioni che diventano forma. (CONTINUA A LEGGERE)

Ifigenia in Cardiff al Teatro Argot. Intervista al regista Valter Malosti

Ifigenia in Cardiff al Teatro Argot. Intervista al regista Valter Malosti

Nel cuore di Trastevere, presso il Teatro Argot Studio di Roma, continuano gli imperdibili appuntamenti teatrali di DPBLACKMIRROR, rassegna a cura degli under 25 di Dominio Pubblico inserita nella stagione Home Sweet Home. Dal 21 al 25 Febbraio sbarca sulla scena capitolina Ifigenia in Cardiff con l’attrice e performer Roberta Caronia, vincitrice  per l’interpretazione di Effie  del XIII Premio Virginia Reiter dedicato “alla migliore attrice del panorama teatrale italiano nella fase iniziale della carriera” e con la regia di Valter Malosti.

Ifigenia in Cardiff di Gary Owen (dall’originario Iphigenia in Splott) è un delirio monologante denso di lucidità che si rivela a poco a poco, ribaltando gli equilibri del senso comune e scardinando moralismi e perbenismi vari. Con un linguaggio abrasivo pieno d’ironia tagliente, Owen affonda il coltello nelle maglie sconnesse della contemporaneità, consegnandoci il ritratto al vetriolo di un’Ifigenia moderna che non ci sta ad essere la vittima sacrificale di un sistema già scritto, e pertanto reagisce, opponendo al Fato, che la vorrebbe vendicativa e miope, la sua intelligenza feroce, il ghigno beffardo, la più inaspettata compassione. Effie non è un capro espiatorio, ma testimone ferale e voce d’accusa contro un potere che, con la sua ingombrante ingordigia, divora le vite degli altri.

Un affresco metropolitano ambientato nei sobborghi desolati dell’umanità, un grido disperato racchiuso nelle pieghe di un testo dove la matrice classica si irrora di contemporaneo: Ifigenia in Cardiff di Gary Owen (dall’originario Iphigenia in Splott)  ha debuttato come studio nel 2016 alla rassegna teatrale “Trend – Nuove frontiere della scena britannica” incentrata sulla drammaturgia contemporanea anglosassone, a cura di Rodolfo Di Giammarco e l’anno successivo in forma spettacolare per il Festival delle Colline Torinesi dove ha riscosso un grande successo fra le migliori penne critiche della carta stampata nazionale che ne hanno confermato il pregevole valore artistico. In vista di questo debutto, raggiungiamo via telefono Valter Malosti per un’intervista che racconti il tragitto artistico partito da Cardiff e giunto fino a Trastevere.

Come ha scoperto questo testo?

Il progetto nasce, come parecchi dei miei progetti negli anni passati in collaborazione con Trend e quindi in particolare con Rodolfo Di Giammarco con cui avevamo già realizzato in passato i lavori di Enda Walsh, che adesso è diventato famosissimo, di Claire Dowie e Simon Stephens.
Diciamo che è una specie di laboratorio che io accetto di fare quando posso perché mi permette di conoscere degli autori che altrimenti non conoscerei. Ogni volta che inizia Trend faccio delle mie proposte e loro, in particolar modo Rodolfo e i suoi collaboratori, mi propongono testi nuovi che non è facile conoscere qui; tra i testi che mi sono stati presentati ho trovato Ifigenia in Cardiff e ho scelto di farlo dal momento che avevo l’attrice giusta, Roberta Caronia, visto che amo svolgere un lavoro sempre molto basato sugli attori. In realtà il titolo originale è in Ifigenia in Splott che è un quartiere di Cardiff ma per semplificare abbiamo deciso di chiamarlo Ifigenia in Cardiff così ci è sembrato un titolo più evocativo che il pubblico potesse riconoscere.

Perché ha scelto di rappresentarlo?

È un testo molto forte, con una lingua particolare. Una cosa che mi interessa sempre nei testi è che essi abbiano una lingua in qualche modo esplosiva, interessante sia da tradurre, sia da portare in scena per dare la possibilità agli attori di farne un percorso che non sia semplicemente legato al contenuto ma che sia anche legato al suono. La cosa interessante di questo testo è che parla di Effie, una ragazza ai margini della società, che vive di droga e di alcol in Splott, quartiere popolare di Cardiff abitato anche da molti stranieri. Qui Effie incontrerà durante le sue scorribande notturne esagitate l’amore della sua vita. Di fondo c’è questa storia d’amore con un soldato che torna dall’Afghanistan con una menomazione esteriore che è più evidente ma allo stesso modo dolorosa alla ferita più interiore di Effie che riesce a guarire in una notte d’amore. Poi vedremo che durante lo scorrere del testo quest’amore enorme che le cambia la vita è un amore sfortunato.

Come si è sviluppato il lavoro e qual è stato l’approccio registico adottato nei confronti dell’attrice Roberta Caronia?

È un lavoro nato durante la tournée de “Il berretto a Sonagli” insieme a Roberta Caronia. Abbiamo cominciato a provare piano piano questo lavoro che prima ha debuttato al Trend e poi abbiamo fatto un vero e proprio spettacolo al Festival delle Colline Torinesi l’estate scorsa. Un po’ averlo provato in tournée e un po’ il tipo di testo mi ha ricordato Ken Loach, quella secchezza, quella profondità nella semplicità ed è diventato uno spettacolo in cui la regia è pochissimo appariscente ma proprio per mia scelta perché tutto il meccanismo dello spettacolo è addossato completamente sulle spalle dell’attrice. Durante il lavoro abbiamo tolto molte cose, anche alcune azioni che erano iscritte nello spettacolo. Ho sentito la necessità di farne un lavoro nudo e scabro. L’unica azione, fra quelle descritte dalle indicazioni interne al testo, che lei compie è quella di scrivere alcuni numeri su di una lavagna, alcuni di questi numeri diventano anche qualcosa di più simbolico. Per il resto l’attrice agisce quasi in maniera frontale. In questo caso ho voluto accentrare tutto su di lei come un primo piano costante e quindi siamo partiti da lei e dal suo modo di essere in scena, come una specie di spettatore dell’anima e del corpo di questa performer. Non c’è nessuna tecnica particolare usata, ci siamo conosciuti durante la tournée ed è stato in un certo modo facile capire quali erano le direzioni giuste. Io ho lavorato sul ritmo musicale nel complesso del testo anche se non c’è praticamente musica e quindi un’altra difficoltà per l’attrice è che non ha nessun appoggio di nessun tipo per tutto lo spettacolo. Questa è proprio l’offerta, una specie di sacrificio dove l’idea registica si tramuta in un’offerta sacrificale, così evidente e nuda, di un’anima e di un corpo agli spettatori.

E’ possibile ricercare un punto di contatto fra il mito classico di Ifigenia e la contemporaneità di Effie? In questo senso in che modo la parabola esistenziale della protagonista riesce a parlare universalmente della condizione umana?

Questa parabola umana finisce esemplarmente ma in maniera un po’ bizzarra ma non posso svelarlo perché sennò svelo tutto lo spettacolo quindi è meglio che rimanga misterioso anche perché è un passaggio misterioso anche per noi a cui stiamo ci accostando e ci stiamo pian piano avvicinando a quel possibile frammento di verità che riguarda tutti noi. Ci stiamo costantemente lavorando perché è un passaggio molto complicato dal momento che implica uno scarto poetico molto forte dove si passa da questa cosa molto personale e iperrealista per poi volgersi dall’altra parte facendo diventare questa figurina una specie di gigante. Non è facile e ci stiamo lavorando perché il testo in questo senso è molto esile, il finale non rappresenta la parte forte di questo testo. Questo finale però è molto interessante è come se l’autore avesse avuto un’idea molto forte a cui non bastano le parole che ci ha lasciato in eredità per descriverlo.

Alla fine questa storia si ribalta su un ulteriore aspetto per questo si chiama Ifigenia perché l’autore prende spunto da questa storia iper realistica per poi volgersi in qualche modo a uno sguardo più collettivo per questa tragedia personale che diventa un monito universale per tutti noi che abbiamo a fianco le persone della nostra vita di cui non ci accorgiamo mai.

Quali saranno le prossime tappe di questo spettacolo?

Abbiamo già fatto una parte di nord poi andremo in Puglia a Taranto. Il prossimo anno verrà ripreso e andrà sicuramente a Milano. Questo è uno spettacolo come molti di questi miei piccoli spettacoli che hanno una vita da no-sellers cioè io tengo molto al mio repertorio e quindi tendo a non buttare i lavori buoni che si fanno. Con molta perseveranza a volte i lavori sono durati anche 10 o 15 anni non vedo perché buttare via dei lavori di qualità ed è quello che cercheremo di fare con questo piccolo lavoro cioè di conservarlo nel tempo e di farlo vedere il più possibile. Così io, a fianco di altre produzioni più legate a rivisitazione di classi legate alla poesia e alla musica, ogni tanto mi vado a occupare di queste creature che altrimenti non avrebbero voce.


IFIGENIA IN CARDIFF

dal 21 al 25 febbraio
al Teatro Argot Studio

di Gary Owen
traduzione Valentina De Simone
regia Valter Malosti
con Roberta Caronia
light designer Francesco Dell’Elba

Torino omaggia Edoardo Fadini, fondatore del Cabaret Voltaire

Torino omaggia Edoardo Fadini, fondatore del Cabaret Voltaire

Torino omaggia Edoardo Fadini, fondatore del Cabaret Voltaire protagonista della vita intellettuale torinese per decenni, amico e sodale per 30 anni di Carmelo Bene.

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A 5 anni dalla scomparsa dell’organizzatore teatrale e critico, il Teatro Piemonte Europa diretto da Valter Malosti gli dedica la stagione e, il 16 dicembre al Teatro Astra, la proiezione del film Manfred di Carmelo Bene, realizzato dalla Rai nel 1978 e trasmesso nel 1983 su Rai2. Attorno alla proiezione, una conversazione con la figlia Susanna Fadini e gli storici Leonardo Mancini, Armando Petrini, Franco Prono e il presidente della Casa del Teatro Ragazzi Alberto Vanelli.
Fadini iniziò come critico teatrale all’Unità e a Rinascita. Diresse l’Unione Culturale di Torino fondata da Franco Antonicelli, fondò le riviste Teatro (con Giuseppe Bartolucci e Capriolo) e Fuoricampo, e nel 1967 il Manifesto del Nuovo Teatro con Franco Quadri e Giuseppe Bartolucci, insegnò al Dams di Torino e portò il Living Theatre in Italia.