da Valentina Dall'Ara | 20 Ott 2018 | Interviste

Umberto Angelini da gennaio 2017 è curatore artistico della Triennale Teatro dell’Arte. In pochissimo tempo è riuscito, grazie alla sua esperienza e, soprattutto, a un forte lavoro di squadra, a riaccendere i riflettori sul Teatro dell’Arte con una programmazione innovativa, indipendente, multidisciplinare e internazionale.
• Come prima domanda vorrei chiederti qual è la tua idea di teatro, cosa ti ha fatto pensare che il teatro fosse la tua strada e se l’innamoramento per questo lavoro è stato lento o folgorante.
Ho approcciato il teatro fin da ragazzo. Vengo da una città di provincia, Ascoli Piceno, e nei primi anni delle superiori, quando avevo quindi 15-16 anni, ho avuto la fortuna di vedere a teatro quello che in quel momento storico erano le avanguardie di allora: sto parlando, ad esempio, di Falso Movimento, La Gaia Scienza, Sosta Palmizi. Credo che non ci fosse una vera consapevolezza nel portare i ragazzi delle scuole a vedere quel tipo di spettacolo ma per me è stata una folgorazione perché per la prima volta ho avuto di fronte un teatro che non aveva bisogno della parola in maniera evidente ma parlava con il corpo. Era un teatro molto visivo e, per me, molto affascinante e soprattutto sorprendente: è stato un imprinting molto forte. Non mi piace il teatro d’intrattenimento e non mi piace il teatro dove la funzione dell’attore è un po’ autoreferenziale. Mi piace, invece, un teatro in grado di interagire anche con gli altri linguaggi.
Il teatro della metà degli anni ‘80 aveva un forte collegamento con le arti visive, con il fumetto, con la musica. La scena teatrale indipendente di allora era creativa e trasversale, era un mondo totalmente differente da quello di adesso. Oggi potremmo avere più consapevolezza e possibilità di trasversalità anche attraverso l’uso della rete, invece, questi mondi mi sembrano tornati in separazione. Quello che ho cercato di fare in questi anni con Uovo o al CRT alla fine degli anni ‘90 è stato il tentativo di superare qualsiasi tipo di barriera. Non amo chiudermi dentro confini disciplinari.

Umberto Angelini
• Sia la stagione di quest’anno che quella dello scorso rispecchia, infatti, questa tua visione.
La programmazione teatrale è un lavoro collettivo. Sono direttore artistico e ci metto la faccia ma in realtà è un lavoro che nasce dal confronto con le persone che mi stanno attorno e che lavorano con me. Ho la fortuna di collaborare con persone anche giovani che sono molto appassionati e hanno voglia di fare questo lavoro.
• Il festival dello scorso anno ha chiuso con bilancio assolutamente positivo con più di 20.000 presenze. È un dato decisamente confortante. Come si conquista il pubblico oggi?
Ho la fortuna di avere una splendida responsabile della promozione. Il lavoro che dobbiamo fare è certamente un lavoro molto lungo. Siamo molto contenti perché abbiamo raggiunto in un anno e mezzo degli obiettivi che non pensavamo di raggiungere in così breve tempo considerando che siamo arrivati in un teatro che negli ultimi anni non era più rintracciabile sulla mappa della scena teatrale milanese e di conseguenza è stata dura perché è stato un lavoro di semina e il tempo della semina e il tempo del raccolto non coincidono. Ci siamo dati un orizzonte molto lungo perché non significa solo rigenerare un teatro che si era spento ma significa anche cambiare le abitudini di un pubblico milanese che frequenta moltissimo i teatri ma non è abituato a vedere spettacoli internazionali. Al di là di alcune eccezioni teatrali milanesi, non c’è una continuità e un’abitudine nel vedere spettacoli in lingua.
Siamo contenti dei risultati che abbiamo raggiunto sia con la stagione sia con il festival, non bisogna dimenticare che, anche se siamo all’interno di una delle istituzioni più importanti milanesi e italiane, siamo comunque un teatro che lavora sulla scena indipendente e la maggior parte della nostra programmazione è fatta di nomi sconosciuti alla maggior parte dal pubblico anche se poi questi stessi nomi li troviamo nelle più importanti istituzioni internazionali. Abbiamo un pubblico soprattutto giovane e internazionale e questo per noi è un dato importante perché vuol dire crescere insieme ad un pubblico che cresce assieme a te.
• Parliamo ora della stagione alle porte. Qual è il filo che unisce gli spettacoli? E c’è una continuità con la stagione precedente?
Questa stagione è segnata da due aspetti: il primo è che in stagione saranno presentati alcuni tra gli artisti più grandi a livello mondiale e alcuni di questi ci hanno cercato per essere inseriti all’interno della stagione quindi metteremo a confronto la nuova generazione del pubblico con i maestri del teatro internazionale come Eugenio Barba, Romeo Castellucci, Jan Fabre. Poi c’è un altro aspetto a noi molto affine e poco praticato in città se non attraverso i festival: avere una stagione di danza, un’altra caratteristica del Teatro dell’Arte. Questo significa ragionare con continuità sulla programmazione di danza all’interno della stagione. E i protagonisti di questo filone sono: Saburo Teshigawara, Collettivo Cinetico, Alessandro Serra, Cristiana Morganti. Questo è entrare in una dimensione europea abituale dove una programmazione di danza ha la stessa identica dignità delle altre. Ci sono dei ritorni quest’anno, pensiamo ad Alessandro Serra che l’anno scorso ha avuto la consacrazione con Macbettu, spettacolo che è stato lanciato qui. Con Serra abbiamo fatto un progetto di ritorno che prevede di nuovo una settimana di Macbettu e un lavoro coreografico, L’ombra della sera, che testimonia l’eclettismo dell’autore.
• Chi sono tra le associazioni e i teatri italiani e internazionali i vostri ‘partners in crime’?
A Milano bbiamo assistito negli ultimi 20 anni ad una metodologia di lavoro di isolamento. Credo che questo non abbia senso. Ci sono delle realtà che delimitano un paesaggio e che permettono di pensare la città come una serie di nodi che consentono di costruire una rete di progettualità. Quando noi ragioniamo con il Teatro alla Scala su progetti di musica contemporanea o quando ospitiamo La Scala per tre settimane con una prova aperta, è un modo di mischiare i pubblici e le progettualità. Quest’anno faremo una giornata attorno a Schubert in cui con un biglietto del Teatro alla Scala si potrà avere una riduzione al Teatro dell’Arte e viceversa. Non è una cosa abituale ma secondo me è un segno molto significativo così come ragionare con il Piccolo su un progetto visionario il prossimo anno, oppure con il Franco Parenti pensare a degli scambi tra produzioni: lo facciamo perché pensiamo ci siano delle affinità, all’interno delle diversità, che vanno coltivate. E poi ci sono delle affinità naturali di tipo ideologico, progettuale, penso al lavoro con la Fondazione Feltrinelli, che vanno al di là del singolo spettacolo ma che rendono più forte il legame con la città e il rapporto con il pubblico.
Il pensarsi all’interno di una comunità cittadina in cui ogni istituzione fa il suo ma allo stesso tempo trovare dei territori di convergenza: secondo me questa è la vera grande novità che il Teatro dell’Arte ha portato nello scenario milanese. Fuori Milano, invece, abbiamo collaborazioni molto strette con il TFE a Torino, con il Metastasio di Prato, con lo Stabile del Veneto. Abbiamo coprodotto e coprodurremo con in Grec di Barcellona, il Pompidour, Kunstenfestivaldesarts per citarne alcuni.
da Redazione Theatron 2.0 | 4 Mag 2018 | Uncategorized
Tra gli appuntamenti clou dell’agenda teatrale milanese in questo 2018, arriva a Triennale Teatro dell’Arte in prima nazionale per FOG l’ultima produzione di Motus, compagnia che nei suoi oltre venticinque anni di attività ha saputo affermarsi tra le realtà più coraggiose del teatro italiano, portando i propri lavori sui palcoscenici e negli spazi culturali più prestigiosi di tutto il mondo.
Panorama, che ha debuttato il 3 gennaio scorso all’interno dell’Under The Radar Festival di New York, nasce dall’idea di sviluppare una riflessione sulla necessità umana di essere in movimento, di smantellare confini (anche artistici) per estendere al massimo possibile il campo visivo. Il progetto è una nuova tappa del percorso inaugurato nel 2015 da MDLSX, oggi senza dubbio il lavoro più celebre della compagnia, che vedeva protagonista Silvia Calderoni – vera e propria attrice icona di Motus. Gli stessi temi di MDSLX (il genere e la libertà di attraversarne i confini) vengono qui affrontati da una diversa angolazione, in un percorso che va oltre i confini del corpo per allargarsi a quelli geografici. Una ricerca che prende spunto dalle vicende di una piccola community di persone molto particolare, persone che hanno vissuto in prima persona esperienze diasporiche legate alle proprie scelte artistiche: gli attori della Great Jones Repertory Company, il gruppo interetnico di performer residenti a La MaMa, mitico teatro dell’East Village newyorkese fondato da Ellen Stewart (dove la pièce ha debuttato con grande successo a gennaio). A partire dalle vicende biografiche degli attori, Motus, con il supporto del drammaturgo Erik Ehn, delinea nuovi panorami esistenziali, dove il nomadismo diventa una proprietà intrinseca dell’esistere (e dell’essere attore), mettendo a dura prova ogni tentativo di fissare irrevocabilmente persone, nazionalità, etnie, sessualità in categorie gerarchiche e immutabili.
La compagnia Motus viene fondata a Rimini nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Da subito, affianca la creazione artistica – spettacoli teatrali, performance e installazioni – a un’intensa attività culturale, conducendo seminari, incontri e dibattiti. I suoi lavori sono stati presentati nei festival più importanti del mondo, tra cui Under the Radar a New York, al Festival TransAmériques di Montréal, a Santiago a Mil in Cile, al Fiba Festival di Buenos Aires, all’Adelaide Festival, al Taipei Arts Festival. La compagnia ha interpretato in modo assolutamente originale autori come Beckett, DeLillo, Genet, Fassbinder, Rilke, Pasolini. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui tre premi Ubu. Tra le produzioni più rilevanti di Motus, vi è il progetto Syrma Antigónes, dedicato alla figura di Antigone come archetipo di lotta e resistenza e sviluppato nei due contest Let The sunshine In, Too Late e Iovadovia e nello spettacolo Alexis, una tragedia greca, vincitore nel 2012 del Critics’ Choice Award come Best Foreign Show dalla Québec Association of Theatre Critics. Altri lavori sono The Plot is the Revolution (2011), un emozionante incontro scenico fra l’attrice Silvia Calderoni e Judith Malina del Living Theatre, Nella Tempesta (2013), Caliban Cannibal (2013), MDLSX (2015), su gender e identità di confine. Dalla primavera 2014 Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande tengono l’atelier d’insegnamento poétique de la scène presso La Manufacture – Haute école de théâtre de Suisse romande di Losanna.
MAGGIORI INFO

2-6 maggio
mercoledì-sabato ore 20.00 / domenica ore 16.00
Triennale Teatro dell’Arte
Viale Alemagna 6
Milano
Motus
Panorama
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 5 Apr 2018 | Uncategorized
La celebre maschera napoletana di Pulcinella è al centro dell’ultimo lavoro di Virgilio Sieni, considerato una delle figure di riferimento della danza degli ultimi trent’anni. Come in tutti i lavori del coreografo fiorentino, l’attenzione va al corpo e alle sue infinite possibilità espressive. Ed è attraverso i corpi dei quattro danzatori che emerge la sofferta condizione di questi Pulcinella, intrappolati nel ruolo comico-tragico del loro travestimento e costretti a non deludere le aspettative del pubblico.
I danzatori, come “trovatori” di gesti, interpretano una serie di coreografie sui temi dell’abitare lo spazio, della gravità, del gioco e della leggerezza. Si susseguono fughe avventurose, traiettorie segnate da incontri, avvicinamenti e condivisioni.
In questo gioco di incroci, lo spettatore è accompagnato dalla musica di Michele Rabbia, eseguita dal vivo dall’autore, che combina sonorità rarefatte e altre cariche di una struggente drammaticità, fino alle sequenze incalzanti della comicità ritrovata.
Virgilio Sieni, coreografo e danzatore, fonda nel 1983 la Compagnia Parco Butterfly, che nel 1992 diventa Compagnia Virgilio Sieni, con cui riceve numerosi riconoscimenti, tra cui tre premi Ubu (2000, 2003 e 2011) e il premio della rivista “Lo Straniero” (2011). Osso, La natura della cose, tratto dal De rerum natura di Lucrezio con la collaborazione del filosofo Giorgio Agamben per la drammaturgia, Solo Goldberg Improvisation, Tristi tropici, liberamente ispirato all’omonimo testo di Claude Lévi-Strauss e De anima, ispirato ad Aristotele, sono alcuni dei titoli più significativi della sua produzione. Affianca alla creazione di spettacoli un programma di studio e diffusione del linguaggio coreografico contemporaneo articolato in progetti di residenza, produzione e formazione. Dal 2003 dirige infatti a Firenze Cango Cantieri Goldonetta e dal 2007 l’Accademia sull’arte del gesto, finalizzata alla trasmissione delle pratiche artistiche e rivolta sia a professionisti che a gruppi di neofiti della danza, dall’infanzia alla terza età ai non vedenti. Dal 2013 al 2016 è direttore della Biennale di Venezia – Settore Danza e nel 2013 viene nominato Chevalier dans l’ordre des Arts et des Lettres dal Ministero della cultura francese. Rappresenta l’Italia sia a Marsiglia Capitale europea della Cultura 2013, con il progetto Arte del gesto nel Mediterraneo che coinvolge 160 interpreti provenienti da diversi paesi, sia a Bruxelles nell’ambito del Semestre Italiano di Presidenza dell’Unione europea 2014 con il progetto Vita Nova sull’iconografia sacra al Bozar Centre for Fine Arts. Nel 2015 realizza per la Fondazione Prada di Milano Atlante del gesto. Nel 2017 realizza a Milano il progetto Cammino Popolare, su invito della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e con la collaborazione di Triennale Teatro dell’Arte. Nella stagione 2017 ha presentato al Triennale Teatro dell’Arte Cantico dei Cantici.
Michele Rabbia, è un percussionista e batterista. In “solo” come in gruppo crea spazi sonori in cui coniuga la tecnologia con l’originalità di materiali artigianali che lui stesso sceglie con cura. Suona in diversi contesti musicali: musica improvvisata, contemporanea e musica elettronica. Nella sua attività concertistica e discografica lavora con musicisti provenienti da diversi orizzonti musicali. Le sue collaborazioni si estendono alla danza con Virgilio Sieni, Teri Janette Weikel, Giorgio Rossi. Ha composto le musiche di Genova 01 di Fausto Paravidino. Ha inoltre lavorato con diversi scrittori, tra cui Dacia Maraini, Gabriele Frasca e Sara Ventroni, con il pittore Gabriele Amadori e con l’architetto James Turrell. Si è esibito nei più importanti festival europei, in Cina, India e Stati Uniti.
MAGGIORI INFO

Virgilio Sieni con “Pulcinella_Quartet”
7-8 aprile
sabato ore 20.00
domenica ore 16.00
Triennale Teatro dell’Arte
Compagnia Virgilio Sieni Italia
PULCINELLA_Quartet
coreografia e regia: Virgilio Sieni
musica: Michele Rabbia eseguita dal vivo dall’autore
interpretazione e collaborazione: Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Labatut, Davide Valrosso
assistente alla coreografia: Giulia Mureddu
costumi: Elena Bianchini e Virgilio Sieni
luci: Mattia Bagnoli
produzione: Compagnia Virgilio Sieni / Centro di produzione nazionale sui linguaggi del corpo e della danza
in collaborazione con: Fondazione Federica e Brunello Cucinelli e Teatro Stabile dell’Umbria
durata: 50’
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 26 Mar 2018 | Uncategorized
L’Effet de Serge, è uno dei lavori più affascinanti e apprezzati di Philippe Quesne, artista di culto del teatro contemporaneo francese e internazionale, attivo dal 2003 con la sua compagnia Vivarium Studio ma invitato per la prima volta da FOG in questa occasione a Milano. Serge è un tipo solitario, ma ogni domenica riceve nel suo appartamento alcuni amici a cui presenta degli spettacoli di un paio di minuti. Queste brevi performance sono un concentrato della sua sconfinata immaginazione che, attraverso semplici effetti speciali, sprigionano tutta la poesia dell’ordinario, celebrando la capacità di inventare dal nulla e il piacere che nasce dal condividere una passione.
L’Effet de Serge – il cui titolo gioca ironicamente sull’assonanza dell’espressione francese “Effet de Scène” (effetto di scena) – è uno spettacolo nel quale la struttura drammaturgica si combina con episodi spontanei e imprevisti: una pièce sorprendente e delicata, in cui si riassume perfettamente tutto l’immaginario creativo di Quesne. Scritta per l’attore Gaëtan Vourc’h, L’Effet de Serge viene rappresentata una volta al mese al teatro Nanterre-Amandiers, che Quesne dirige dal 2014, entrando così a far parte del repertorio fisso del teatro. Una cadenza regolare che vuole riflettere, in un paradossale parallelo tra realtà e finzione, l’inderogabile scansione del rituale domenicale del protagonista.
Philippe Quesne si forma in arti visive. Per oltre dieci anni progetta allestimenti scenografici per il teatro, l’opera, le gallerie e i musei. Nel 2003 crea la compagnia Vivarium Studio, che riunisce attori, artisti plastici, musicisti e danzatori, e presenta il suo primo spettacolo, La Démangeaison des ailes. Nei suoi lavori ricerca il meraviglioso, la poesia delle piccole cose, spingendo all’estremo le esperienze della vita di tutti i giorni. La scenografia viene usata come un ambiente in cui immergere gli attori. Insieme a La Démangeaison, i successivi Des expériences (2004), D’après nature (2006), lo stesso L’Effet de Serge (2007), La Mélancolie des dragons (2008), Big Bang (2010), Swamp Club (2013), compongono un vasto repertorio di spettacoli rappresentato in tutto il mondo. Oltre al lavoro teatrale, Philippe Quesne espone le proprie installazioni e realizza performance e interventi site-specific nello spazio pubblico o in luoghi naturali. Dal 2014 dirige il teatro Nanterre-Amandiers Centre dramatique national, dove ha ideato il progetto collettivo del Théâtre des négociations nel 2015. Le sue produzioni più recenti (2016) sono lo spettacolo Caspar Western Friedrich, che ha debuttato al Kammerspiele a Munich, e Welcome to Caveland!, presentato in prima mondiale al Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles.
27-28 marzo 2018
ore 20.00
Triennale Teatro dell’Arte
Viale Alemagna 6
Milano
Philippe Quesne Francia
L’Effet de Serge
ideazione, regia e scenografia: Philippe Quesne
produzione: Nanterre-Amandiers, centre dramatique national
produzione della prima: Vivarium Studio, 2007
coproduzione: Ménagerie de Verre, nell’ambito del progetto di residenza
con il sostegno di: Forum scène conventionnée de Blanc-Mesnil, festival actOral Montévidéo – Marseille
spettacolo creato nel: novembre 2007 alla Ménagerie de Verre di Parigi
con: Gaëtan Vourc’h, Isabelle Angotti e degli ospiti
direttore tecnico: Marc Chevillon
durata: 75’
spettacolo in francese sovratitolato in italiano
con il sostegno della Fondazione Nuovi Mecenati, fondazione franco-italiana per la creazione contemporanea
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da Redazione Theatron 2.0 | 22 Mar 2018 | Uncategorized
Dopo lo straordinario successo dell’inaugurazione con Lavascar (di Michèle Lamy, Nico Vascellari, Scarlett Rouge), The Quiet Volume di Etchells/Hampton e Les Mémoires d’un seigneur di Olivier Dubois, il quarto appuntamento all’interno del cartellone di FOG Triennale Milano Performing Arts segna l’esordio della collaborazione con il DiDStudio di Ariella Vidach, partner prezioso di questa edizione zero del festival. Secondo spettacolo “fuori sede” della manifestazione, Plutone è lo spettacolo rivelazione della coreografa italiana Elisabetta Consonni, che lavora da anni a progetti di ricerca che indagano la relazione tra la danza e altri linguaggi artistici, riflettendo sul complesso rapporto tra individualità e collettività, spesso incentrati su strategie di rigenerazione urbana. Una performance che nasce dalla necessità di percepire la propria individualità rispetto all’esterno, di osservare cose sottili senza agire, di non necessariamente capire, di arrendersi e cercare il silenzio: al centro, l’esperienza della meditazione Vipassana, intesa come occasione per riflettere sulla relazione con il mondo fatta di delicati equilibri tra lo stare con se stessi e l’ascolto di quello che sta fuori. L’ultimo dei pianeti del sistema solare – Plutone, in grado di governare l’invisibile influenzando la realtà con energie sottili e latenti – diventa il modello di una serie continua di evoluzioni concentriche punteggiata da incontri effettivi e potenziali.
Elisabetta Consonni è una coreografa e performer la cui ricerca si concentra sulla declinazione della danza attraverso differenti media artistici e in diversi contesti sociali. Nel 2004 si laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Bologna con una tesi sulla costruzione sociale del corpo nella danza. Si specializza nel 2005 a Londra presso la The Place – London Contemporary Dance School. Prima di stabilirsi definitivamente a Milano, nel 2009 trascorre un periodo a Rotterdam per approfondire la sua ricerca coreografica e nel 2013 si trasferisce a Lublin, in Polonia. Conduce dal 2014 il progetto di ricerca Ergonomica, che indaga il rapporto tra architettura e danza attraverso la creazione di interventi coreografici site-specific, in cui i principi di costruzione coreografica nascono dalle caratteristiche dell’ambiente urbano. Plutone (2016), Abbastanza spazio per la più tenera delle attenzioni (2016), Ergonomic excursion: we want to become architecture (2014), Il secondo paradosso di Zenone (2013), Fotoritocco (2012) sono alcune delle sue performance degli ultimi anni.
MAGGIORI INFO
23 marzo 2018
ore 20.00
DiDStudio
Via Procaccini 4
Plutone
di: Elisabetta Consonni
con: Alessandra Bordino, Olimpia Fortuni, Masako Matsushita (processo di creazione: Annamaria Ajmone, Sara Leghissa)
composizione sonora: Aftab Darvishi
disegno luci: Violeta Arista
costume: Lucia Gallone
produzione: Fondazione Teatro Grande di Brescia
con il sostegno di: Next – Laboratorio di idee per la produzione e distribuzione dello spettacolo dal vivo lombardo di Regione Lombardia
con il sostegno di: Industria Scenica – Residenza Rifugio Everest
residenze di creazione: Santarcangelo Festival, Manifattura K, Associazione Culturale Valdapozzo, Teatro Pim Off
un progetto Triennale Teatro dell’Arte e DiDStudio
durata: 45’
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