L’Elogio della Follia ai tempi dello Star System. Intervista al regista Tiziano Panici

L’Elogio della Follia ai tempi dello Star System. Intervista al regista Tiziano Panici

Scritto e interpretato da Aleksandros Memetaj, con le coreografie e i movimenti scenici del danzatore e attore Yoris Petrillo e le musiche di Giovanni Di Giandomenico, lo spettacolo Elogio della Follia – #ilikedopamina, diretto dal regista Tiziano Panici, ricostruisce un ritratto distopico della società di oggi, dove il fenomeno dei social media, della visualizzazione spasmodica e dello Star-System assumono rilevanza fondamentale tale da dividere il mondo in due classi: classe A e classe C.

Liberamente ispirata all’omonimo saggio di Erasmo da Rotterdam e fortemente legata alle intuizioni di George Orwell, l’opera indaga le complesse dinamiche socio-culturali causate dalla rivoluzione digitale, interrogandosi su come l’utilizzo dei social media abbia influenzato la vita e i comportamenti degli individui fino a diventare una vera e propria sindrome di inizio millennio. Un fenomeno in rapida espansione, in termini di persone coinvolte e di effetti indotti, così invasivo e persistente da determinare una progressiva trasformazione antropologica e biologica dell’essere umano.

Infatti, come dimostrano numerosi studi sulle neuroscienze applicati alla comunicazione digitale, la ricezione di un feedback positivo sui social media comporterebbe una scarica nell’organismo di dopamina, il neurotrasmettitore alla base dei fenomeni di dipendenza. Dal punto di vista neurologico, l’assuefazione dai social network funziona quindi esattamente come qualsiasi dipendenza da droga. In questo senso, anche i protagonisti dello spettacolo, asserviti al volere di una nuova Dea  Follia, sono costretti a esibirsi per milioni di occhi e a visualizzare video dall’interno di stanze circondate da telecamere, per piacere o per disperazione.

Questo progetto nasce con la profonda esigenza di portare avanti una ricerca artistica che vede coinvolti quattro autori under 35 che si esprimono artisticamente attraverso linguaggi e strumenti differenti.Ora la ricerca è finita e il risultato è una storia contemporanea, distopica, dalle tinte oscure che fa emergere l’inquietudine di una nuova generazione di uomini dal futuro incerto, che però hanno un’estrema esigenza di esprimersi e di chiedersi: chi sono io?

Così scrive in una nota Tiziano Panici, regista e direttore artistico di Teatro Argot Studio che abbiamo intervistato al fine di tracciare la parabola di creazione artistica dell’opera.

 

Genesi produttiva dell’opera

La difficoltà principale delle messinscena contemporanea riguarda il tema dell’estetica, cioè delle scelte registiche che si possono fare anche in base al contesto produttivo. Perché faccio questa premessa?

Il progetto “Elogio della Follia” è figlio di un percorso di sperimentazione, produzione e di residenze avviato con Argot Produzioni in collaborazione con Twain, due anni fa ormai. Le residenze artistiche sono ancora un oggetto particolare, che inizia a essere adesso frequentato in Italia; all’Estero già è frequentato da molto tempo. C’è una grande diatriba rispetto alle residenze, cioè se queste rappresentino una forma di processo produttivo o no. A mio modesto avviso lo sono, e sono anche necessarie alla maggior parte delle compagnie che si formano in maniera indipendente.

Il primo progetto di sperimentazione sonora e visiva, Le Città Invisibili, è stato fatto con il sostegno produttivo da parte di Argot e Cie Twain.La scelta di fare un percorso di residenza è stata nostra e quindi abbiamo dovuto provvedere a far in modo che i costi di residenza fossero sempre coperti e garantiti mentre le due produzioni hanno provveduto a fare in modo che non rimanessimo mai scoperti e che l’ufficio di produzione seguisse i nostri spostamenti garantendoci sempre l’appoggio logistico e amministrativo delle due strutture. In scena, lo spettacolo vedeva me, Yoris Petrillo e Giovanni Giandomenico che poi ha composto le musiche di Elogio della Follia. Più o meno la squadra di oggi era la stessa.

È stato un progetto che abbiamo portato in tutta Italia attraverso le residenze ma che, paradossalmente, non è mai diventato uno spettacolo. Abbiamo fatto quasi dieci tappe di residenza, rimodulato il progetto, smontato, presentato in contesti diversissimi: dai Musei Capitolini al Campidoglio di Roma a Gorizia, in un festival multimediale internazionale ma non l’ho mai fatto debuttare in sala, tranne al Festival di Attraversamenti Multipli, a cui dovevano seguire alcune repliche al Teatro Argot. Queste repliche non ci sono mai state perché da regista non accettavo il fatto che avevo bisogno di alcune condizioni tecniche minime per andare in scena, e di fatto non c’erano i soldi per poterle garantire.

Quel progetto, terminato all’interno del percorso di residenza, è stato un progetto di sperimentazione. Da lì abbiamo incrociato la strada di Aleksandros Memetaj, autore e attore del monologo “Albania Casa Mia” prodotto da Argot, che ha avuto la fortuna di fare più di 100 repliche. Mi ha proposto diversi soggetti che aveva in mente tra cui quello dell’Elogio che ha solleticato subito la mia curiosità. Così l’ho proposto a Yoris Petrillo, compagno importante di questo percorso. Lui stesso mi ha chiesto di unire il nostro percorso con un testo di Aleksandros.

Così nasce un secondo progetto di residenza, monitorato da Twain ed Argot Produzioni che hanno messo a disposizione i loro spazi per farci provare e allestire ma anche per garantirci di poter riuscire a portare nuovamente in giro un progetto che stavolta sarebbe diventato uno spettacolo. Così Elogio della Follia diventa un percorso di ricerca, durato un anno. Ci siamo dati il primo appuntamento a Trasparenze, eravamo solo io e Aleksandros. È stato messo il primo semino del testo, nato dall’idea di voler evocare la Dea Follia sulla Terra ben seicento anni dopo che l’aveva immaginata ed evocata Erasmo da Rotterdam. A seguire abbiamo fatto altre residenze presso Arcene, in provincia di Bergamo nella residenza “Qui e Ora”, a Matera al centro IAC e anche a Kilowatt con le residenze annuali, Teatro Argot, il Supercinema di Tuscania e il Centro Danza di Ladispoli, questi ultimi due centri gestiti da Twain. Sono sei appuntamenti sparsi lungo tutto il 2017 che ci hanno portato fino al debutto dello spettacolo di oggi.

Queste precisazioni sono necessarie per spiegare che Argot e Twain, due enti di produzione che fanno benissimo il loro lavoro e di cui tra l’altro io e Yoris siamo anche in parte responsabili in quanto figli d’arte – Yoris Petrillo è il figlio di Loredana Parrella, direttrice di Twain e io di Maurizio Panici, direttore di Argot – hanno cercato di sostenere come potevano il nostro progetto di ricerca, scommettendo con noi sulla sperimentazione di un percorso di residenza e avendo dovuto negli anni modificare molto il loro percorso di enti di produzione, tutelando in primis gli altri artisti, autori, coreografi e registi che vengono ogni anno scelti e sostenuti da queste strutture.

Ho cercato di creare uno spettacolo che potesse entrare in una station wagon e che avesse un fortissimo impatto di ricerca soprattutto sonora e quindi evocativa. Abbiamo creato un vero progetto di architettura sonora che è stato triangolato da me, Giovanni di Giandomenico e Cristian Bocchi, sound designer, che ha curato tutta la parte più strutturale.

L’architettura sonora è invisibile e immersiva però ha le stesse difficoltà tecniche di un’architettura reale. L’uso dei software e dei microfoni, lo sviluppo di un’ambientazione sonora e la produzione delle musiche richiedono la stessa lavorazione di un impianto scenografico con la differenza che al contrario di una scenografia sono trasportabili ovunque. Questo facilita moltissimo.

L’altra scelta riguarda il disegno luci. Questo spettacolo rappresenta la ventesima regia che firmo in dieci anni di produzione teatrale. Ormai amo anche farmi da solo i disegni luce e li faccio diventare parte essenziale dello spettacolo. Tutte queste condizioni mi hanno permesso di lavorare sulla strutturazione di un testo e sul lavoro d’attore che doveva reggere botta anche senza nessun tipo di elemento esterno apparentemente scenografico che potesse sostenerlo. Questo significa che se riesci a evocare la fantascienza e a immaginarla, la puoi fare anche senza avere un apparato scenografico che ovviamente ti comporta dei costi di trasporto molto elevati. Molto spesso i registi e gli artisti si affidano completamente a strutture esterne che garantiscono il loro lavoro, ma la maggior parte degli indipendenti non riesce a portare gli spettacoli fuori di casa perché non considera tutti questi aspetti fondamentali per confrontarsi con il mercato dello spettacolo.

Creazione artistica in sinergia

In scena ci sono quattro autori. Quando parlo di lavoro autoriale mi riferisco alla scrittura di Aleksandros , anche interprete dello spettacolo, parlo del lavoro coreografico di Yoris Petrillo, anche lui interprete, della partitura musicale di Giovanni di Giandomenico e parlo di me, regista e interprete che applica una scrittura di scena scegliendo determinati segni per poter raccontare la storia.

Questo vuol dire che in questo percorso siamo tutti creatori e complici di ciò che abbiamo scritto, poi ognuno di noi ha sviluppato, a seconda delle sue funzioni, la propria specificità artistica. Portandomi fuori con lo sguardo anche se la mia voce è presente nello spettacolo, l’indirizzo che ho dato alla scrittura di Aleksandros per i personaggi fa riferimento a un mondo immaginato diviso in classi così come ha scritto Orwell in 1984 dove parla di tre classi sociali: i bassi, i medi e gli alti che non fanno altro che tentare di salire di grado. Gli unici che rimangono fregati sono i bassi, ovvero i classe C.

La nostra storia racconta questa dinamica a partire dall’idea drammaturgica di Aleksandros che descrive come funziona la società di oggi: ci sono i classe A, cioè i leader, i classe C, i follower, che cercano di emulare risultando dei “falliti” e poi ci sono i medi, i classe B, che qualcuno si sarà chiesto, guardando lo spettacolo, chi siano. Questi ultimi sono coloro che stanno a guardare. In questo senso, la nostra è una società completamente voyeuristica, quindi, chi non ha una parte attiva in questo gioco è quello che in qualche modo si beve tutto quello che poi viene prodotto. L’unica cosa veramente molto cambiata dai tempi di Orwell è che grazie a internet, oggi, il gioco delle classi può essere ribaltato: il leader può diventare da un giorno all’altra un perdente e viceversa.

Questo è il motivo per cui la caratterizzazione dei personaggi doveva raccontare questa possibilità di scambio e quindi immettere gli attori in entrambe le categorie dell’essere umano.

Le tematiche distopiche trattate nell’opera

Avendo la fortuna e l’esperienza di Dominio Pubblico, ho visto tanto teatro giovane in questi ultimi sei anni. Tante proposte e tanta voglia di raccontare il mondo che ci sta intorno. Il primo compito del teatro è di riuscire a leggere la realtà e mostrarla agli altri attraverso la finzione. Quello che noto è che molti di questi giovani artisti che hanno attraversato Dominio Pubblico stanno lavorando su temi simili: It’s app to you dei Bahamut o Aplod dei Fartagnan Teatro, ospiti della nostra ultima edizione, programmati per Outis – Nuove Trame d’Autore.Esempi eccellenti di spettacoli incentrati su tematiche simili alla nostra, trattate scenicamente in maniera differente.

Entrambi sono vere e proprie science fiction. Il nostro spettacolo ha voluto mantenere una forte radice con la letteratura a partire dal rapporto fra Erasmo e Tommaso Moro. Nonostante nel nostro lavoro ci siano sotto certe sfumature inquietanti e distorte verso il baratro, il pubblico si diverte molto: va bene farsi delle domande ma bisogna essere consapevoli di essere figli del nostro tempo. Per me fare uno spettacolo del genere è un atto di denuncia, ma non credo che sia tutto negativo nella tecnologia e nel mondo che ci stiamo costruendo intorno.

Gli uomini tendono sempre ad abusare di ciò che piace loro: la distopia si utilizza per far vedere quali sono i rischi di una degenerazione. Quando passi da una società sociale in cui i problemi venivano discussi in piazza a una società social dove la piazza è sul web, è chiaro che cambia il modo di stare al mondo, di comportarsi e di relazionarsi agli altri. Questo non vuol dire che è per forza il male, però sicuramente bisogna fare attenzione. Il nostro teatro voleva fare questa denuncia mettendo insieme la leggerezza del ridicolo alla serietà dell’inquietudine umana, precipitate nella scrittura di Aleksandros che ha conservato tutta la gamma di colori per raccontare questa storia.

Over – Emergenze teatrali al Teatro Argot. Intervista a Tiziano Panici

Over – Emergenze teatrali al Teatro Argot. Intervista a Tiziano Panici

Se le speranze di un sistema economico più equo e rispettoso dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sembrano ormai tramontate e se le lotte per un sistema politico che sappia creare le condizioni necessarie per rilanciare un settore in perenne crisi, andando a valorizzare le relazioni umane attraverso l’arte e la cultura piuttosto che distruggere l’umanità degli artisti che cercano di opporsi a questo status quo, sembrano essere sempre più lontane, qualcosa a Roma, più precisamente al Teatro Argot Studio, si muove.

Visioni illuminate che portano a percorsi che, a loro volta, liberano creatività e desideri comunardi di rigenerazione socio-culturale di un gruppo di giovani, che, rilanciando il protagonismo cittadino, hanno cercato di rivoluzionare un sistema antropofago e disumanizzante qual è quello dello Spettacolo dal vivo in Italia. Un gruppo di bell* e ribell* che, da anni anima l’amorfa Roma attraverso l’organizzazione di Dominio Pubblico, Festival under 25, è riuscito anche a riversare tutto il proprio entusiasmo nelle numerose attività proposte nel teatro trasteverino di Via Natale del Grande.

L’ultima, in ordine temporale, è #OVER – Emergenze teatrali. Rassegna di giovani talenti + 25, kermesse teatrale dedicata alle nuove generazioni artistiche del panorama romano e nazionale, che tesaurizza le forti connessioni del network creato con cura da diversi anni fra diverse realtà che lavorano nel settore: compagnie, festival, operatori e pubblico, i quali diventano protagonisti di un’esperienza di cambiamento necessaria quanto vitale. Un’operazione guidata dal direttore artistico Tiziano Panici, con cui, in questa sede, continuiamo a dialogare circa le destinazioni possibili di questo folle volo.

#OVER - Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

#OVER – Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

La rassegna #OVER – Emergenze teatrali. Rassegna di giovani talenti + 25 presenta come slogan: “L’artista è una specie rara da proteggere”. Come nasce la rassegna e quali sono gli obiettivi prefissati?

Negli ultimi anni abbiamo dedicato molte energie e attenzione alle giovanissime generazioni attraverso il progetto Dominio Pubblico. Nel 2015, in collaborazione con Teatro dell’Orologio e Kilowatt, Argot programmava Dominio Pubblico Officine, riuscendo anche a garantire un premio di produzione a progetti in via di sviluppo. Poi con la chiusura dell’Orologio il progetto Dominio Pubblico si è progressivamente trasferito al Teatro India e oggi è un evento unico nel suo genere dedicato a progetti di artisti con meno di 25 anni. Come Argot ci siamo di nuovo posti il problema di come però deve essere affrontata la crescita e lo sviluppo delle giovani compagnie una volta che sono “emerse”. Crediamo che oggi il compito di una casa di Produzione come Argot sia di fungere da incubatore per nuove realtà che hanno il bisogno di crescere e diventare adulte. Spazi come il nostro devono poter incoraggiare e tutelare questa crescita mettendo a disposizione quello che è nelle nostre possibilità: offrire spazi di residenza, visibilità e accompagnamento produttivo.

Tanti nomi di compagnie “giovani” ma con alle spalle debutti e repliche in festival e teatri importanti: quali sono stati i parametri artistici perseguiti nella selezione degli spettacoli?

Ancora una volta è stato importante il connubio con Dominio Pubblico che ci ha permesso di venire in contatto con moltissime realtà ancora poco conosciute ma con grande potenziale. È il caso di Alessandro Blasioli, attivissimo autore e interprete che è stato ospite nel Festival per ben due edizioni e che da quest’anno inizia a collaborare con Argot Produzioni, dopo essere stato notato e premiato in contesti nazionali come il Festival della Resistenza del Museo Cervi o Direction Under 30 del Teatro Sociale di Gualtieri, realtà con cui collaboriamo attivamente ormai da tre anni.

A Gualtieri abbiamo conosciuto anche Anonima Sette e la sensibilissima drammaturgia di Giacomo Sette. Abbiamo poi amplificato le relazioni con il Matuta Teatro di Sezze, alla cui rassegna Pollini ci siamo legati fin dalla prima edizione. Ma lo stesso Argot in questi anni è rimasto spazio aperto che si è fatto attraversare da compagnie contemporanee più affermate, come quella di Licia Lanera che ha iniziato a produrre giovani scommesse tra cui Danilo Giuva.

Tra i protagonisti di OVER anche Valerio Peroni e Alice Occhiali, nuova generazione cresciuta sotto l’ala dell’Odin Teatret, che gira il mondo proprio come le ragazze di Unterwasser che, con il loro OUT, sono approdate lo scorso autunno al REF dopo centinaia di date internazionali. Non manca la ricerca sulla drammaturgia, da sempre cara a casa Argot: la freschissima scrittura di Paolo Tommaso Tambasco e quella di Sandra Lucentini a servizio della cura scenica di Lucrezia Coletti. Ad aprire le danze di OVER, il 2 maggio, sarà un progetto che proviene da una delle fucine più interessanti del panorama nazionale: il NEST di Napoli. Lo spettacolo, ospitato in residenza in questi giorni all’Argot, è firmato da Adriano Pantaleo e Giovanni Spezzano.

#OVER - Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

#OVER – Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

Se volessimo scattare un’istantanea della situazione teatrale romana e nazionale attuale, cosa emergerebbe dall’analisi delle nuove generazioni teatrali? Quali sono le ricerche artistiche e quali le specifiche sperimentali rispetto ai movimenti delle generazioni precedenti?

Mi sembra che nel suo piccolo OVER abbia proprio questa ambizione: cercare attraverso queste nove realtà artistiche di scattare una fotografia, sicuramente parziale ma molto eterogenea, di una nuova generazione teatrale e non solo. Se osserviamo il lavoro di questi artisti troviamo dei percorsi e delle ricerche davvero uniche e per nulla ripetitive. Sono opere diverse nel linguaggio, nella scrittura, nella ricerca visiva e sonora. Ma, allo stesso tempo, se guardiamo il quadro generale, questi giovani artisti sono tutti legati da un filo sottile che li tiene insieme: una rete di rapporti e di sostegno che da più parti d’Italia si è impegnata a garantire supporto alle nuove voci della scena.

Mi sembra che rispetto alle generazioni precedenti oggi ci sia anche un gruppo di programmatori che sta cercando di rinnovare l’impegno nei confronti della ricerca e della sperimentazione contemporanea, atteggiamento che forse si era un po’ perduto e che si mantiene solo con il grandissimo sforzo di mettersi insieme.

La rassegna #OVER – Emergenze teatrali sembra essere un momento di collegamento fra la stagione artistica del Teatro Argot Studio e la prossima edizione di Dominio Pubblico che si terrà a Giugno: c’è un filo rosso che attraversa queste esperienze?

Ho sottolineato la forza di questa congiunzione fin dall’inizio. Posso solo aggiungere che, in merito a quanto appena detto, Dominio Pubblico vorrebbe diventare sempre di più un connettore di esperienze di scouting e di programmazione per giovani generazioni, ma per crescere, diventare adulti e poter vivere del proprio lavoro ci devono essere realtà come Argot Produzioni, attente e sensibili al rinnovamento e pronte a prendere in custodia progetti che hanno bisogno di cura per riuscire a circuitare e diventare progetti sostenibili.

#OVER - Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

#OVER – Emergenze teatrali ⚠️ rassegna di giovani talenti + 25

Ci sarà una futura collaborazione che permetta in futuro l’inserimento delle compagnie all’interno della programmazione stagionale di Teatro Argot Studio?

OVER è uno dei progetti che Argot Produzioni ha inserito quest’anno nelle sue sfide per il futuro e sicuramente avrà una seconda edizione che è già in via di sviluppo. Quest’anno con i nuovi bandi SIAE abbiamo partecipato nella categoria per le residenze pensando a una fase due del progetto. Immaginiamo le prossime stagioni di Argot Studio sempre meno focalizzate sulla programmazione e l’ospitalità di compagnie e sempre più incentrate su un’idea di spazio produttivo dove si scelgono progetti da testare e far crescere. Ci auguriamo anche di riuscire a rafforzare la dimensione distributiva di questi lavori perché al momento è il vero anello debole di tutta la produzione italiana, quindi deve necessariamente essere adeguata all’enorme capacità creativa degli artisti nostrani, altrimenti destinati a non avere uno sbocco.

Al Teatro Argot Studio si apre la rassegna DPBLACKMIRROR – Intervista a Chiara Preziosa

Al Teatro Argot Studio si apre la rassegna DPBLACKMIRROR – Intervista a Chiara Preziosa

Come diretta conseguenza dell’esperienza virtuosa di Dominio Pubblico, che ogni anno vede coinvolti decine di ragazzi e di ragazze nell’organizzazione di un Festival interamente dedicato a realtà artistiche under 25, si è sviluppato quest’anno al Teatro Argot Studio il progetto DPBLACKMIRROR, rassegna a cura degli stessi ragazzi di Dominio Pubblico in parallelo alla stagione teatrale Home Sweet Home dello spazio nel cuore di Trastevere, per rendere continuativo e maggiormente militante sul territorio romano il prezioso lavoro svolto in questi anni sotto la direzione artistica di Tiziano Panici, Francesco Frangipane e Fabio Morgan. Ne abbiamo parlato con Chiara Preziosa, coordinatrice del progetto, per conoscere meglio il lato oscuro di questa originale ed entusiasmante rassegna che prevede all’interno della programmazione spettacoli di alta qualità dedicati alle arti contemporanee, dalla nuova drammaturgia alla danza d’autore, al via il 24 Ottobre con “Rosmersholm-il gioco della confessione” con Luca Micheletti e Federica Fracassi.

Come e sotto quali auspici nasce l’idea di una rassegna curata interamente da un gruppo di
ragazze e ragazzi under 25?

La rassegna DPBLACKMIRROR nasce dalla volontà del Teatro Argot Studio, in particolare nella persona di Tiziano Panici – che ne cura la direzione artistica insieme a Francesco Frangipane dal 2009 – di ospitare per un anno intero, da settembre a maggio, una parte del gruppo di “spettatori attivi” Under 25, componenti della direzione artistica e organizzativa della quarta edizione del festival multidisciplinare Dominio Pubblico_la città agli Under 25, svoltosi dal 30 maggio al 4 giugno negli spazi del Teatro India e di cui attualmente lo stesso Tiziano Panici è direttore artistico. Volontà che nasce tuttavia da una mancanza, o meglio da una perdita che il progetto Dominio Pubblico ha subito. Mi riferisco alla chiusura del Teatro Orologio, avvenuta lo scorso 17 febbraio, diretto negli ultimi anni (dal 2012) da Fabio Morgan il quale è stato uno degli ideatori e creatori del progetto. A seguito di questo evento l’Argot è diventato per noi una casa oltre che la base operativa, in cui fare incontri e riunioni volte all’organizzazione del Festival.
Per questo la rassegna nasce come una sorta di laboratorio permanente con il quale proseguire il percorso di promozione e formazione del pubblico, nel quale il progetto Dominio Pubblico è impegnato. Il nostro auspicio, attraverso la rassegna DPBLACKMIRROR, è quello di imparare a prenderci cura di uno spazio teatrale: accogliere le compagnie e gli artisti, seguirli in tutti gli aspetti del loro lavoro, a cominciare dalla questione promozionale alle esigenze più strettamente tecniche. Tutto questo senza dimenticare che prima di tutto siamo degli spettatori. Uno degli aspetti fondamentali del progetto è creare una zona di incontro con gli artisti che ci permetta di conoscerne meglio la storia, il loro percorso artistico e professionale, e che ci permetta di condividerlo con il pubblico in sala.

In questo senso quanto e in che modo è stata determinante l’esperienza di Dominio Pubblico in termini di esperienza e conoscenza delle dinamiche organizzative in campo teatrale?

L’esperienza di Dominio Pubblico è stata per noi un’occasione fondamentale per acquisire e sviluppare il senso di responsabilità nei confronti del territorio romano che abitiamo. Per cogliere la necessità di un nostro intervento attivo all’interno della società, in particolare in quanto componenti di una generazione lasciata ai margini, e nei quali probabilmente troppo spesso vi rimane senza il desiderio di uscirne. Sotto questo punto di vista possiamo di certo affermare che Dominio Pubblico sia prima di tutto un progetto che si occupa di politica, cioè rivolto alla città e al cittadino. Per quanto riguarda gli aspetti inerenti alla gestione e programmazione del Festival, il progetto di Dominio Pubblico ci ha permesso di comprendere le motivazioni che conducono a determinate scelte organizzative, di sviluppare una capacità di ascolto nei confronti delle eventuali difficoltà tecniche ed economiche degli artisti, dalle quali ripartire per trovare con loro un punto di incontro, e di cogliere gli elementi di forza su cui concentrare la promozione. Tutti punti che in precedenza molti di noi ignoravano. Tuttavia nel corso della preparazione del festival ciascuno di noi si è occupato di aspetti differenti, anche se non troppo distanti l’uno dall’altro. Chi era più impegnato nella gestione e accoglienza delle compagnie Under 25, chi invece gestiva insieme ad altri i canali social e la promozione, o ancora chi si è interessato alla gestione dei contratti e delle agibilità. Competenze che ora contiamo di approfondire senza chiuderci in un ruolo ben definito ma contaminandoci l’un l’altro, in modo tale da avere un quadro completo delle figure coinvolte nella gestione di uno spazio teatrale e in aggiunta cercare di dare il nostro supporto e contributo attivo allo staff dell’Argot. Ma ciò che ha legato il lavoro di ciascuno di noi è stata di sicuro la possibilità di avere durante l’anno dei momenti di incontro e confronto a tu per tu con compagnie teatrali di professionisti, i cui spettacoli erano inseriti nel percorso di visione previsto nel progetto, grazie ai quali abbiamo potuto conoscere il panorama e il sistema teatrale contemporaneo.

Cosa si cela dietro la scelta del titolo “Black Mirror”?

Penso che uno degli aspetti allo stesso tempo più difficile e divertente dell’organizzare una rassegna teatrale sia proprio scegliere un titolo che la possa rendere immediatamente riconoscibile, che non sia criptico per il pubblico e che dia invece una percezione o intuizione immediata dell’oggetto. Suggestionati dalle riflessioni di Tiziano Panici e dagli spettacoli che fanno parte della nostra rassegna, abbiamo riflettuto sul concetto di PERTURBANTE, come di qualcosa di già noto e che per lungo tempo è stato familiare fino a quando ad un tratto assume connotazioni diverse che generano angoscia ed un senso di estraneità. Tante le ipotesi a riguardo ma l’elemento che ha diretto la nostra scelta verso il titolo BlackMirror è stata la scoperta di un dispositivo di visualizzazione del paesaggio noto come “Specchio Claude”, definito anche “Black mirror”e molto popolare nel XVIII, con il quale gli artisti potevano visualizzare una prospettiva distorta e la saturazione dei colori. Allo stesso modo abbiamo immaginato che gli spettacoli della programmazione DPBLACKMIRROR esattamente come uno specchio nero, mostrino la realtà con una diversa prospettiva, ribaltandola in negativo, nel suo lato oscuro. Ci condurranno infatti in mondi vicini e lontani, passati e presenti, reali e favolistici, abitati da uomini, ma soprattutto da donne, capaci di turbare, di smuovere l’animo e il pensiero oltre le apparenze.

Quali sono le direttive perseguite nella selezione delle compagnie/realtà artistiche in programmazione?

La sfida più grande dell’opportunità offertaci dal Teatro Argot Studio e da Tiziano Panici è di sicuro il dover imparare a rapportarsi con compagnie professioniste, ben diverse per esperienze e necessità rispetto agli Under 25 del festival. Per quel che riguarda la selezione degli spettacoli in programmazione DPBLACKMIRROR è stato fondamentale il fatto che le compagnie accettassero la realtà del progetto Dominio Pubblico, da cui la rassegna nasce e nella quale il loro lavoro andava ad inserirsi. Gli spettacoli e gli artisti ospiti di questa parte del programma Argot Studio targata Dominio Pubblico, portano avanti un percorso iniziato nel 2013 quando in uno scenario culturale metropolitano piuttosto sminuito e limitato, le forze congiunte del Teatro dell’Orologio e del Teatro Argot Studio tentavano di disegnare un’offerta culturale diversa, cercando di non subire ancora le distrazioni della politica e la totale assenza di contributi.
La nostra rassegna è dedicata alle arti contemporanee: dalla nuova drammaturgia alla danza d’autore. Siamo mossi dalla volontà di ricercare nuove forme espressive che raccontino la voce del nostro tempo. Un aspetto molto forte che contraddistingue la rassegna è la grande presenza sul palco di voci e i corpi di interpreti femminili indiscutibilmente vitali ed energiche come quelle di Licia Lanera, Federica Fracassi, Roberta Caronia, Michela Atzeni e Maria Grazia Sughi, Loredana Parrella, Tamara Balducci e Linda Gennari, sostenute dalla firma di importanti autori e protagonisti della scena contemporanea teatrale: Walter Malosti, César Brie, Davide Iodice e Lucia Calamaro, Luca Micheletti. A fianco a loro gli esperimenti drammaturgici di Lorenzo De Liberato con Marco Quaglia e Stefano Patti, la giovane danza d’autore di Twain e il coinvolgimento sul palco degli ‘experts of everyday life’ da parte del collettivo Kepler452. Insieme a loro e alle forze degli Under 25 di Dominio Pubblico saremo coinvolti in un nuovo cammino diretto verso la quinta edizione di un festival che cresce ogni anno sempre di più. Questa rassegna ne è la testimonianza attiva: il nostro obbiettivo è far sì che la nostra generazione, sempre così sminuita dalla società, si prenda le proprie responsabilità e abbia il coraggio di rischiare, di operare delle scelte, contribuendo alla crescita culturale della nostra città. Ma non si è mai abbastanza in questa missione. Infatti, abbiamo da poco rilanciato la Call per i nuovi Under 25 e fino al 13 dicembre sarà possibile iscriversi per far parte della direzione artistica e organizzativa del festival Dominio Pubblico. Intanto vi aspettiamo qui al Teatro Argot Studio per sentirvi anche voi un po’ a casa. E vi invitiamo a venire a trovarci dal 24 Ottobre per “Rosmersholm-il gioco della confessione” con Luca Micheletti e Federica Fracassi, spettacolo con cui diamo ufficialmente inizio alla rassegna DPBLACKMIRROR.

Estate al MAXXI, Appunti per un futuro possibile: intervista a Luca Archibugi, Giovanna Melandri e Tiziano Panici

Estate al MAXXI, Appunti per un futuro possibile: intervista a Luca Archibugi, Giovanna Melandri e Tiziano Panici

In questo scampolo d’estate, l’arte torna ad abbracciare la capitale invadendo la piazza del museo Maxxi. Iniziata a luglio, la rassegna Estate al MAXXI 2020, che si prolungherà per tutto il mese di settembre, ha proposto alla città di Roma una ricca programmazione dedicata al teatro, all’arte e alla letteratura. Incontri, che hanno trovato un importante riscontro in termini di presenza del pubblico, come racconta Giovanna Melandri, Presidente del museo MAXXI, intervistata a proposito del rafforzamento dell’offerta culturale e delle strategie di engagement.

Estate al MAXXI 2020
Estate al MAXXI 2020

Data la condizione attuale e la necessità di tornare a creare engagement, quali sono gli obiettivi perseguiti da Estate al MAXXI 2020?

Il mese di luglio è stato strepitoso: abbiamo riempito la piazza nonostante il distanziamento, e l’abbiamo fatto con la musica, il teatro, la letteratura, riflessioni con intellettuali, filosofi e artisti. Devo dire che la risposta c’è stata, in questa città c’è un bisogno enorme di cultura. Speriamo che anche il mese di settembre consenta a questa ricerca di andare avanti. 

Rispetto al momento storico che stiamo vivendo, quali azioni ritiene necessarie per contribuire al rafforzamento dell’offerta culturale e al riavvicinamento del pubblico dopo il blocco imposto dalla pandemia?

Bisogna osare, con tutte le misure di cautela. Però, proprio perché stiamo vivendo un periodo di trasformazione, un salto antropologico della nostra convivenza civile e sociale, credo che la cultura debba essere protagonista di un mondo nuovo che dobbiamo ripensare. Occorre aprire tutti gli spazi, tutte le nicchie possibili e pretendere rispetto dal pubblico. È quello che stiamo cercando di fare al Maxxi da quando abbiamo riaperto, anche rompendo quei confini, quelle paratie tra generi, mondi che non esistono più e su cui c’è il grande campo della sperimentazione del linguaggio della creatività.

Venerdì 11 settembre, Appunti per un futuro presente a cura di Luca Archibugi e Tiziano Panici, inaugurerà la ripresa degli eventi teatrali della rassegna a seguito della pausa estiva. Un doppio appuntamento, a ingresso libero, con due opere capaci di rappresentare la città da un punto di vista strettamente contemporaneo: Il quarto dito di Clara per la regia di Luca Archibugi, con Pietro Naglieri e Veronica Zucchi, e La frontiera, performance estratta dal progetto di Margine Operativo Beautiful Borders, portata in scena da Tiziano Panici.

Si comincia alle 19:15 con La frontiera, regia di Pako Graziani, liberamente tratta dall’omonimo saggio di Alessandro Leogrande, che affronta il tema della migrazione a partire dal Martirio di San Matteo di Caravaggio. Ne abbiamo parlato con Tiziano Panici che in questo intervento approfondisce la tematica della performance e l’ideazione di Appunti per un futuro presente.

Estate al MAXXI 2020
La frontiera – Ph Manuela Giusto

La frontiera è un’indagine sugli sconfinamenti cui dai corpo e voce in scena, prendendo le mosse dal libro di Alessandro Leongrande. Lo sguardo è rivolto a sbarchi e naufragi, all’eorismo di uomini e donne che attraversano luoghi altri, minacciati oltre che dalle insidie del viaggio, da dinamiche sociali di estromissione. Come si struttura in scena questo racconto?

Luca Archibugi mi ha coinvolto in questa avventura di Appunti per un futuro presente, che si è rivelata un punto d’incontro interessante: l’idea è venuta a Luca sotto forma di appunti ed è stata tradotta da me in una serie di azioni post-lockdown, a partire dalle quali con il Teatro Argot abbiamo avviato una campagna di comunicazione mirata a sensibilizzare e a sensibilizzarci rispetto al momento che stavamo vivendo, soprattutto da un punto di vista culturale. Anche la chiamata del MAXXI è arrivata in questo contesto: la rassegna è nata come un segnale di risposta culturale e di speranza rispetto alla città di Roma. 

La richiesta di Luca è stata di individuare dei progetti che potessero rappresentare la città da un punto di vista strettamente contemporaneo. Lo spazio si è poi ridotto all’arco temporale di una serata, così sono stati inseriti nel programma Il quarto dito di Clara e La frontiera, in forma di performance, che nasce da un percorso con Margine Operativo. Questo è interessante perché il Teatro Argot Studio è ideatore e accompagnatore della serata e Margine Operativo è uno degli attori sociali della città che da anni interviene sul territorio, e che mi ha coinvolto in qualità di attore e  performer in diverse produzioni. Pako Graziani e Alessandra Ferraro, ideatori delle produzioni di Margine Operativo e del Festival Attraversamenti Multipli, indagano spesso zone di confine sia artistiche sia sociali. 

La frontiera si colloca all’apice di questo percorso condiviso, di cui il momento dedicato al Martirio di San Matteo di Caravaggio, rappresenta una summa assoluta, un’estrema sintesi. In quella sintesi Alessandro Leogrande, che è uno dei più grandi indagatori sociali del nostro tempo, racconta il rapporto dell’uomo con la violenza. Questo non contiene solo le migrazioni, le tratte delle frontiere in cui si sono perse le orme di centinaia di migliaia di uomini, ma riesce anche a sintetizzare la crisi della società contemporanea dell’Occidente. Attraverso la sola osservazione del Caravaggio, Leogrande indaga il rapporto tra l’uomo e l’atto della violenza. Nello specifico, si tratta del Martirio di San Matteo che si trova nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, la prima struttura culturale chiusa per Covid-19 durante il lockdown.

Le frontiere da abbattere, con l’avvento di internet, e ancor più a seguito del distanziamento imposto dalla pandemia non sono più soltanto territoriali. Qual è oggi la frontiera più difficile da superare?

La frontiera più pericolosa è quella interiore, quella che ci pone in contatto con noi stessi e che ci permette, in questo modo, di stare più attenti e più in ascolto degli altri. Il teatro da questo punto di vista da un insegnamento grandissimo, già stato postulato da molti politici e anarchici: c’è una frase di Kropotkin che mi è rimasta molto impressa e che dice che se ognuno di noi imparasse a mettersi nei panni dell’altro, avremmo bisogno di molte meno regole per gestire il nostro sconfinamento verso gli altri. In questo secolo, il compito che il teatro deve portare a termine, rispetto al tema delle frontiere, è proprio quello di insegnare, a ogni uomo e a ogni bambino, ad attraversare il confine di sé stesso e conoscersi meglio, rispettando gli altri.

Nella scrittura di Archibugi si ritrova un ulteriore confine, quello temporale, che si mescola fino a perdere i suoi tratti. Il passaggio temporale viene sempre percepito come una conseguenza di passato, presente e futuro, mentre ne Il quarto dito di Clara, Luca trasporta la figura romantica e mitica di Schumann fino al Terzo Millennio. L’assottigliamento dei confini temporali è la grande sfida del futuro, qualcosa su cui la contemporaneità deve riflettere.

Alle ore 21:00, il debutto de Il quarto dito di Clara chiuderà la serata di Appunti per un futuro presente. Luca Archibugi racconta l’interessante lavoro di trasposizione psicologica che ha condotto sui personaggi della propria opera a partire da una ricerca filologica sulla vita e sull’arte di Robert e Clara Schumann. 

Estate al MAXXI 2020
Il quarto dito di Clara – Ph Simone Galli

L’opera di Schumann ha la capacità di mettere insieme parola, suono e immagine. Una caratteristica, questa, che anticipa i tempi, proiettando le sue composizioni nel Terzo Millennio. In questo senso, in che modo l’opera di Schumann ha guidato l’ideazione dell’Ultimo dito di Clara?

Il Romanticismo è stato un’epoca di straordinaria innovazione. L’approccio dei romantici era fortemente dedicato ai sentimenti, ma in una maniera molto ironica. Quanto avvenuto nel tardo Romanticismo ha molto cambiato questo tipo di approccio. Molti autori dell’epoca erano maestri di ironia come Henrich Heine e Jean Paul. Anche in Schumann, pur essendo un autore straordinariamente intenso e romantico, nel senso più tradizionale in cui lo intendiamo, l’ironia molto spesso si affaccia. Questa complessità della sua poetica lo trasporta, a mio avviso, all’inizio del Terzo Millennio: per me è un artista contemporaneo e il suo occhio ha guardato oltre il Secolo delle Avanguardie. 

Alcuni considerano Schumann un genio assoluto che, nel corso dell’esistenza, è diventato pazzo. A mio avviso la questione va completamente rovesciata: Schumann aveva dei serissimi problemi nervosi, già in gioventù, e il precipitare nella follia ha portato a questa grande capacità innovativa. I problemi nervosi non sono stati un limite. Quello che noi sappiamo di Schumann è un’immagine edulcorata dalla convenzione tradizionale, nello spettacolo questo non c’è. 

Perché ha scelto di raccontare la storia di Robert Schumann?

Per testimoniare di un artista che ci riguarda da vicino, invece di fissarlo in una teca.  Farlo vivere non solo nella storia della musica e della cultura, ma insieme a noi. Nello spettacolo racconto di una paziente psicotica e schizofrenica che si crede sia Clara sia Robert Schumann. Tutto quello che viene raccontato di Schumann e di Clara nello spettacolo è attraverso il filtro di questa donna che si è addossata l’identità di entrambi. La paziente è in cura presso uno psichiatra che lei crede essere il Professor Richarz che aveva in cura Schumann nel manicomio di Endenich dove fu rinchiuso, nel 1854, dopo essersi gettato nel Reno. Lì fu ostacolato nel comporre, gli fu proibito ogni contatto con l’esterno, perdendo sé stesso. Clara pur amandolo fino all’ultimo giorno, si alleò in questa strategia di isolamento. 

Tiziano Panici presenta Argo(t)nautiche, la stagione di Teatro Argot Studio.

Tiziano Panici presenta Argo(t)nautiche, la stagione di Teatro Argot Studio.

Al Teatro Argot Studio è ricominciata la stagione teatrale, costellata da nuovi approdi e da storici ritorni. Nel claim di quest’anno è concentrata la volontà di esprimere una direzione al volo artistico del teatro di Trastevere: con il titolo Argo(t)nautiche – Cronache dal mondo sommerso i direttori artistici – Tiziano Panici e Francesco Frangipane – non tentano soltanto un gioco di parole, ma vogliono portarci in un lungo viaggio, attraverso il vasto mare della storia dell’Argot, che è anche la storia della Roma teatrale dal 1984 a oggi. Al racconto delle Argo(t)nautiche contribuiranno nomi storici (Umberto Marino, Paolo Zuccari, Elena Arvigo), nuove proposte under 35 (Alessandro Blasioli, Pablo Solari, Collettivo Controcanto) fino a progetti più sperimentali – come nel caso di Segnale D’Allarme | La Mia Battaglia in VR, uno spettacolo in virtual reality con Elio Germano. Fra le proposte laboratoriali, anche Theatertelling, corso di formazione per comunicatori, giornalisti e appassionati alle arti performative organizzato da Theatron 2.0.

Con Argo(t)nautiche, il Teatro Argot Studio, anche quest’anno, si riconferma come un luogo di incontro e di convivenza tra realtà diverse, tra vecchie e nuove generazioni, da spettacoli più tradizionali a quelli sperimentali. E tutti sono imbarcati sulla stessa nave, viaggiano verso la stessa direzione e vivono la stessa storia.Abbiamo parlato con Tiziano Panici, che ci ha raccontato come è stata ideata la programmazione di Argo(t)nautiche – Cronache dal mondo sommerso.

La stagione di quest’anno è stata intitolata Argo(t)nautiche : perché la scelta di questo nome?

Si chiama Argo(t)nautiche perché vogliamo raccontare i primi dieci anni di questa nuova gestione così come si tiene aperto, in questo momento storico molto particolare, un porto che deve accogliere le navi dall’esterno. Interrogandoci su quello che è il senso di tenere aperto uno spazio in una città come Roma, uno spazio culturale, ci sembra fondamentale sapere che avere un teatro significa tenere le porte aperte all’interno di una città. Quindi abbiamo una responsabilità civile, nei confronti del “nostro” territorio, del quartiere, delle persone che ci sono vicine, e di chi abita lo spazio.

Chi abiterà quest’anno il Teatro Argot Studio?

C’è stato un inizio di stagione molto positivo con la presentazione del progetto Trilogia dell’Essenziale, firmata da Vinicio Marchioni, con Marco Vergani come attore. A Marco succederà Elena Arvigo con Il dolore: Diari della Guerra, che è un lavoro che per adesso ha presentato soltanto in forma di mise en espace e di reading. Accanto a questi nomi più importanti sono felice che ospiteremo anche realtà meno conosciute ma che stanno crescendo e si stanno facendo le ossa: come nel caso di Collettivo Controcanto, che è venuto in contatto con noi tramite il progetto di Dominio Pubblico. Tra i giovanissimi troviamo anche Alessandro Blasioli con una produzione di Argot Produzioni: Sciaboletta, spettacolo premiato all’Arezzo Crowd Festival e Direction Under 30 di Gualtieri. 

Fra le proposte di drammaturgia contemporanea, presentiamo con grande piacere Piccola Patria, spettacolo della compagnia CapoTrave di Luca Ricci e Lucia Franchi, con Gioia Salvatori in scena; Riccardo Festa, attore e regista romano che si metterà in prova con Art, un testo di Yasmina Reza. L’anno scorso, poi, abbiamo deciso di mettere in produzione Harrogate, uno spettacolo della scena britannica, programmato da Rodolfo di Giammarco nella sua rassegna Trend, che torna in una dimensione di stagione – in scena Marco Quaglia e Alice Spisa, con la regia di Stefano Patti. Anche loro sono degli artisti che qui dentro hanno costruito un loro percorso.  Inoltre, la compagnia Teatrodilina porterà in scena lo spettacolo Il bambino dalle orecchie grandi.

Il Dolore: Diari della Guerra di e con Elena Arvigo
Il Dolore: Diari della Guerra di e con Elena Arvigo

“Vecchie fiamme” che ritornano: questo perché gli artisti riconoscono Teatro Argot Studio com uno spazio-palestra dove potersi mettere sempre in gioco?

Sì e non solo: si crea un sottile filo rosso che si porta avanti negli anni, e che continua in qualche modo a raccontare la storia dell’Argot. Per questo ci sono anche i “nomi storici” – come Umberto Marino e Paolo Zuccari – autori che negli anni Novanta hanno fatto la storia di questo posto e che oggi lavorano nel cinema e nella televisione. Sono grandi firme, riconosciute da tutti, che ancora si concedono il lusso, da registi e autori riconosciuti e cinquantenni, di buttarsi sul palco sperimentando e raccontando storie che non potrebbero raccontare in altri spazi.

Chi ritroviamo, invece, tra le “nuove proposte” di Teatro Argot Studio?

Troviamo Silvia Gribaudi, che in questo momento è una delle coreografe più interessanti del panorama nazionale, che porta in scena lo spettacolo My Place: sono tre donne in scena, tre donne adulte con i loro corpi adulti. Come contraltare, un giovanissimo Pablo Solari alla regia con una sorta di opera prima, L’indifferenza. Sono due facce della stessa medaglia che è Milano, e questo ci fa molto piacere perché rompe il dialogo continuativo con Roma, oltre cui cerchiamo sempre di spostarci – ovviamente senza creare fratture permanenti.

My Place
My Place regia di Silvia Gribaudi

Che cosa proponete invece “oltre” lo spettacolo dal vivo?

Una delle grandi novità di quest’anno è che l’Argot torna a farsi una casa per le produzioni interne, ospitando residenze anche con grandi nomi della scena nazionale, da Francesca Reggiani con lo spettacolo Souvenir a Alessandro Tedeschi di Carrozzerie Orfeo, regista di Coppia aperta, quasi spalancata con Chiara Francini e Alessandro Tedesco. Poi, vogliamo proporre qualche esperimento: Over è una rassegna che abbiamo lanciato lo scorso anno, e come si evince dal nome è un segno di discontinuità – ma anche realtà di continuità – con Dominio Pubblico, che è un progetto che noi dedichiamo ad artisti under 30. Over vuole invece rispettare il fatto che una volta passata la soglia generazionale rimangono degli spazi in cui si può continuare a crescere, a rendersi più forti, a irrobustire il proprio percorso. Altro esperimento lo lanciamo con Elio Germano, che in realtà non approda qui “fisicamente”: porta Segnale d’allarme | La mia battaglia VR – riscritto insieme a Chiara Lagani della compagnia Fanny & Alexander – e viene proposto al pubblico del Teatro Argot in virtual reality. È quindi previsto che gli spettatori siedano nella sala con dei visori, fruendo dello spettacolo non con una visione dal vivo ma con una visione praticamente cinematografica a trecentosessanta gradi all’interno dello spazio. 

Questo segna il percorso delle Argo(t)nautiche, che ci proietta già nel prossimo settembre/autunno 2020, dove vorremmo festeggiare in maniera un po’ più articolata questi dieci anni: è tutto collegato da una storia visiva e per l’appunto uno storytelling di quello che era il corso e il racconto di questo teatro, che abbiamo iniziato a creare da quest’anno.