TITOLO TESI > Corpo e tecnologia. Il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione dei linguaggi nella produzione di Thomas Ostermeier
ISTITUTO > Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi – Diploma Accademico di primo livello in Regia indirizzo Teatro
AUTORE > Emanuele Giorgetti
INTRODUZIONE DELL’AUTORE
L’obiettivo di questa tesi è quello di andare a esplorare il riadattamento di un testo attraverso la lente della contaminazione di linguaggi nella produzione di Ostermeier. Nella seconda metà del Novecento, l’arte subisce un cambiamento radicale. I confini diventano sempre più fluidi e si verificano sempre più frequentemente contaminazioni tra le arti, in particolar modo tra performing art e teatro. Negli anni ‘80 c’è poi un’altra svolta, quella tecnologica del teatro che di lì a poco porta all’irruzione dei nuovi media in scena. Nel decennio successivo viene ripresa la concezione di performativo: il corpo diventa il punto nodale di un teatro che, così si dice, viene dopo il dramma. Queste sono le basi, l’humus fertile, in cui Thomas Ostermeier mette le proprie radici, per diventare poi il volto di riferimento del teatro di regia tedesco.
Emanuele Giorgetti, 25 anni. Dal 2014 al 2017 ha frequentato la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti, specializzandosi nell’indirizzo multimediale. Nel 2016 per l’università degli Studi di Milano, realizza un docufilm su Shakespeare. Nel 2017 ha iniziato gli studi presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Durante l’estate 2018 ha seguito uno stage presso la compagnia dei Motus a Santarcangelo Festival, presso la compagnia Fanny Alexander e presso il Teatro Elfo Puccini. A settembre 2019 ha debuttato con la sua prima regia con lo spettacolo Contro il Progresso di Esteve Soler, presso il Teatro Out Off. Conclude i suoi studi nel 2020 laureandosi con 105/110.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Dal 3 gennaio 2021 fino alle 18:00 del 6 gennaio 2021, lo Schaubühne Berlin, nell’ambito della programmazione in streaming gratuito, propone una rivisitazione del Woyzeck di Georg Büchner, con la regia di Thomas Ostermeier, presentato nel 2004 al Festival d’Avignon.
Il 2004 segna una rivoluzione all’interno della storia del Festival d’Avignone: i nuovi direttori del festival, Hortense Archambault e Vincent Baudriller, decidono di portare aria di innovazione e aprire la scena alle avanguardie extra-nazionali.
Questo nuovo spirito sempre più cosmopolita viene rinforzato attraverso un’iniziativa progressista e controcorrente: ogni anno, a partire dal fatidico 2004, un regista straniero riveste il ruolo di co-direttore creativo, collaborando in maniera attiva nel plasmare il programma e la fisionomia del festival.
Il primo a godere di questo privilegio è Thomas Ostermeier, che ne approfitta per allestire un’edizione all’insegna della grande tradizione del teatro tedesco, invitando alcuni tra i nomi più innovativi della sua scena nazionale, come ad esempio Julian Rosefeldt e Sasha Waltz, per anni co-direttrice insieme a lui della Schaubühne di Berlino.
Lo stesso Ostermeier mette in scena quattro spettacoli, di cui due particolarmente memorabili: stiamo parlando di Nora, da Casa di bambola di Ibsen e Woyzeck dall’omonimo testo di Georg Buchner.
Il Woyzeck di Ostermeier entra nelle maglie del testo, inserendole nel presente
Come dice Peter Szondi, la prosa di Buchner trasforma il dialetto in linguaggio poetico e Ostermeier non rinuncia a trasformare la decadenza dell’ambientazione contemporanea in poesia, mantenendo l’armonia drammaturgica.
Sarà in questa occasione che il regista inizierà a lasciare il suo marchio inconfondibile in territorio francese. “L’enfant terrible venuto dalla Germania”, non rinuncia a interrogare scomodamente il pubblico: gli attori interrogano minacciosamente la platea disposta all’interno della Corte dei papi di Avignone.
La maestosità del luogo contrasta con l’impianto scenico creato da Jean Pappelbaum: si tratta di uno dei suoi più ambiziosi e riusciti progetti, riproduce un sordido e fangoso parcheggio, che richiama le atmosfere decadenti di certi angoli di Berlino-Est, ma leggibile anche come allegoria della psiche nichilista e annichilente di Woyzeck.
I personaggi, sotto la lente di questo allestimento contemporaneo, ricordano i Freaks di Tod Browning: a partire dalla scelta di far interpretare il figlio di Woyzeck a un attore nano, passando per la prostituzione di Marie che si traveste da donna barbuta.
Perché quindi rivedere oggi Woyzeck? E perché rivederne un allestimento del 2004? Quale contemporaneità racconta la messa in scena di Ostermeier?
La mancata comunicazione fra i personaggi, che ha ispirato poi spettacoli affini, come Les Idiots di Kirill Serebrennikov o Shopping and Fucking dello stesso Ostermeier, racconta una generazione sconnessa, apatica volontariamente simbolo di una distanza alla quale non vorremmo mai più ritornare, un prequel della realtà che si trasforma in ammonimento.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Quando nel dicembre del 1999 viene annunciata la nomina di Thomas Ostermeier a direttore creativo de la Schaubühne am Lehniner Platz, per l’inizio di gennaio del 2000, la notizia diviene un caso mediatico di rilievo nazionale.
Il regista ha infatti solo trentadue anni quando approda alla storica sede del teatro nel quartiere berlinese di Kreuzberg. Ha tuttavia già alle spalle la direzione artistica di un altro teatro, la Baracke al Deutsches Theater e una coscienza politica ben definita, senza paura di scelte audaci sia a livello estetico sia di repertorio.
Già noto dunque al pubblico della città per i suoi allestimenti provocatori, decide di iniziare il suo percorso alla Schaubühne con una dichiarazione pronunciata il 20 maggio 1999 dal titolo Il teatro nell’era della sua accelerazione (Das Theater im Zeitalter seiner Beschleunigung), chepuò definirsi il vero e proprio manifesto programmatico della sua direzione artistica, ma anche del suo lavoro registico in toto.
Nonostante Thomas Ostermeier siano passati vent’anni dalla stesura di questo testo, un punto rimane certamente saldo in quella che si potrebbe definire la sua missione teatrale: dimostrare che la grande stagione del teatro tedesco non è finita con la morte di capisaldi del teatro mitteleuropeo come Botho Strauss e Heiner Muller e che, se la nuova drammaturgia fatica a trovare orecchie dalle quali farsi ascoltare, la colpa è di una crisi di contenuti e di una negligenza nei confronti dell’universale.
«È dovere del teatro dai tempi dei Lumi di lavorare per la liberazione dell’uomo e di svegliare la coscienza di fronte al male e all’immobilismo dell’individualismo».
La direzione instaurata nel teatro a partire dal 1999 rispetta il modello del Mitbeistimmung(co-gestione) instaurata da Peter Stein, è infatti quella della Schaubühne di quegli anni una gestione quadricefala: formata da Thomas Ostermeier, la coreografa Sasha Waltz, accompagnati dai rispettivi drammaturghi Jens Hilje e Jochen Sandig.
Una cooperazione, inoltre, che sin da subito rivela una tendenza fortemente incentrata sulla drammaturgia, sulla ricerca di una voce innovativa che attinga alle istanze postdrammatiche degli anni ’70, ma che sia capace anche di liberarsene e recuperare un teatro fatto di testo, ma che al testo non soccomba.
Questa esperienza tuttavia non dura a lungo, nel 2003 infatti Waltz e Sandig decidono di abbandonare la co-direzione per divergenze di visione. L’esperienza tuttavia, verrà sempre descritta da Ostermeier come fruttuosa e innovativa.
Infatti, nonostante il fallimento di questa utopia cooperazionistica La Schaubühne continua a rappresentare un esempio di gestione democratica e inclusiva: liberatasi infatti dall’egemonia novecentesca del Regietheatre, tendente a minimizzare il ruolo della drammaturgia a favore della “dittatura della regia”, una nuova schiera di dramaturg viene integrata nei compartimenti del teatro.
Fra i risultati più felici, ambiziosamente raggiunti dal lavoro di Ostermeier in Germania, c’è sicuramente aver portato sul palco la nuova drammaturgia, tedesca e non, mantenendo un dialogo critico con gli autori e riponendo fiducia nelle nuove generazioni. Scovare nuove voci e nuove vie per la comunicazione scenica, rimane una delle costanti più urgenti nel teatro del regista tedesco.
Quello con il nuovo teatro è un incontro che ha inizio per Ostermeier da prima dell’esperienza a La Schaubühne, nel 1996, quando gli viene affidata la direzione artistica de La Baracke, una sala limitrofa al tradizionalissimo Deutsche Theater di Berlino e che, nelle sue mani, diventerà la costola sperimentale della città.
È grazie a Ostermeier che si deve l’arrivo in Germania delle cosiddette pièces sordides venute dall’Inghilterra, messe in scena in apertura della stagione a La Baracke: Knives in Hens di David Harrower, Crave di Sarah Kane, ma ancora di più Shopping and Fucking di Mark Ravenhill, annoverabile come spettacolo feticcio del regista, ovvero il racconto dei giovani degli anni ’90, che si racconta attraverso il canale caustico dell’In-Yer face theatre.
Sono passati 20 anni dal racconto delle imprese dei protagonisti dipinti da Ravenhill, che hanno così bene preso vita nelle mani di Ostermeier, e il regista adatta la propria estetica alle voci che cambiano.
Nascono allora progetti come la collaborazione con il filosofo Didier Eribon, da cui nasce lo spettacolo Ritorno a Reims tratto dall’omonimo libro, fra i cui argomenti, emerge con la forza dei ricordi sbiaditi, quello dell’attualità della contestazione sessantottina i cui inni di lotta si mischiano agli amori universali e malinconici cantati da Francoise Hardy in Toutes les garçons et les filles de mon age.
Fra i risultati più recenti e interessanti di questo focus di Ostermeier sulle nuove generazioni spicca la collaborazione con Edouard Louis, nuovo faro della narrativa francese contemporanea, ai cui romanzi Ostermeier ha dedicato ben due adattamenti: Histoire de la Violence e lo spettacolo in corso di preparazione Qui a tué mon père, in cui lo stesso Louis apparirà in scena in prima persona interpretando sé stesso.
Ciò che il giovane autore sembra fare è proprio colmare la crisi di contenuti che tanto preoccupa Ostermeier, riportando problemi universali, nel caso di Louis la violenza generata dall’omofobia, in un contesto personale, che attrae il lettore/spettatore in prima persona e lo costringe a un disagevole, ma necessario ruolo voyeuristico.
Se negli anni ’90, infatti, le nuove generazioni cercavano una via rappresentativa non edulcorata e diretta, i protagonisti del nuovo millennio hanno bisogno di far ascoltare le loro istanze estetiche, la cui voce può prendere vita grazie al lavoro capillare delle menti illuminate del teatro europeo, fra i quali Ostermeier può sicuramente annoverarsi come apripista.
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“Il teatro è luogo del confronto internazionale. L’Europa non esiste se non si confronta con il mondo”: questa la premessa del direttore Sergio Escobar alla nuova stagione del Piccolo, che vedrà in scena 11 nuove produzioni firmate – tra gli altri – da Emma Dante, Antonio Latella, Roberto Latini, Stefano Massini e Toni Servillo.
Tra i registi stranieri, sarà Thomas Ostermeier, al suo debutto al Piccolo, ad aprire la stagione con ‘Ritorno a Reims’, tratto dal libro di Didier Eribon, con Sonia Bergamasco. Declan Donnellan, che aveva aperto questa stagione con la sua Tragedia del Vendicatore diventa regista residente del Piccolo: una collaborazione che porterà a una nuova produzione nel 2020/2021. La stagione 2019/2020 vedrà anche il debutto mondiale di un’opera musicale su Leonardo creata da Michael Nyman in collaborazione con Studio Azzurro, e del progetto ‘La parola giusta: l’Italia delle stragi’ interpretato da Lella Costa e diretto da Gabriele Vacis.
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