TITOLO TESI > Scrittura e variazioni tra Settecento e Novecento: Jacques e il suo padrone di Milan Kundera ISTITUTO > Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Corso di Laurea in Lettere AUTRICE > Giulia Bernuzzi
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
Milan Kundera è uno dei nomi che più ricorrono nel mondo letterario contemporaneo. Autore di grande successo, è conosciuto soprattutto per i suoi romanzi (L’insostenibile leggerezza dell’essere, Lo scherzo, L’immortalità, Il valzer degli addii, La lentezza solo per citarne alcuni) e per i suoi importanti contributi saggistici circa la natura del romanzo e la sua storia (L’arte del romanzo, I testamenti traditi, Il sipario, Un incontro). Troppo spesso, però, passa in sordina la sua relazione con il mondo teatrale tramite l’opera Jacques e il suo padrone che si ispira esplicitamente al romanzo Jacques il fatalista scritto da Denis Diderot. La commedia è sicuramente degna di nota per l’abilità con cui Milan Kundera è riuscito a creare un dialogo fra l’originale e la sua variazione, ma anche all’interno della produzione dell’autore mostra molti motivi di interesse.
In questo breve articolo si intende analizzare la genesi dell’opera inserita nel suo contesto specifico prendendo in considerazione la situazione culturale e politica della Cecoslovacchia degli anni ’60 e ’70 per mostrare come essa abbia influito nelle variazioni a livello semantico che sono state inserite rispetto all’originale diderotiano. Si procede poi con l’analisi della dinamica strutturale del testo che mostra le due tecniche particolarmente care a Milan Kundera (la tecnica polifonica e la tecnica variazionale) applicate non a un romanzo bensì a un testo teatrale.
Non bisogna però dimenticare che i testi teatrali vivono per essere portati in scena. Viene quindi fornita una riflessione circa il rapporto dell’opera con il momento della sua rappresentazione che ha conosciuto una discreta fortuna, sia in Italia che all’estero.
Infine, vengono messi in luce gli aspetti che vanno a comporre la fittissima trama di riferimenti intertestuali sia interni con il secondo racconto della raccolta Amori ridicoli, La mela d’oro dell’eterno desiderio, sia esterni con Jacques le Fataliste et son maître di Denis Diderot.
Giulia Bernuzzi nasce a Milano il 21 novembre 1999. Si appassiona al mondo teatrale da adolescente assistendo a numerose rappresentazioni. Negli anni universitari focalizza il proprio percorso sulla teatralità inserendo esami che spaziano dal teatro greco e latino a quello contemporaneo. Ha studiato Lettere moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dove si è laureata nel 2021 con una tesi di laurea in Drammaturgia dal titolo Scrittura e variazioni tra Settecento e Novecento: Jacques e il suo padrone di Milan Kundera. Attualmente sta frequentando un Master di ricerca in studi letterari presso la University of Amsterdam.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
TITOLO TESI > Ohad Naharin e la tecnica coreografica Gaga ISTITUTO > Università degli Studi di Teramo– Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo AUTORE > FrancescoMastromauro
INTRODUZIONE DELL’AUTORE
Il nucleo che si è deciso di argomentare è il linguaggio di movimento del corpo elaborato dal coreografo e danzatore israeliano Ohad Naharin: Gaga. Oltre ad essere stato adottato da molti danzatori professionisti come pratica quotidiana di allenamento, questa metodologia viene utilizzata anche da individui di qualsiasi età che non hanno nessuna nozione tecnica della danza acquisita in precedenza e persino da persone con problemi motori; grazie alla connessione mente-corpo su cui Gaga si basa, è possibile riscoprire il piacere del movimento anche dove questo, per motivi più o meno debilitanti, risulti venire meno.
L’elaborato, dunque, illustra nei suoi vari aspetti quello che costituisce il pensiero e la poetica di uno dei più affermati artisti della danza dei nostri tempi. Con il suo operato, Ohad Naharin, mette in discussione i ruoli di coreografo, danzatore e fruitore della danza, concependo quest’ultima come un collante, una sorta di fil rouge, tra l’arte del gesto e la vita quotidiana, due aspetti che secondo il coreografo israeliano non possono e non devono essere divisi in quanto in uno coesiste inevitabilmente un po’ dell’altro e viceversa.
Alla luce di quanto appena detto, è impensabile, dunque, parlare della grandezza di Ohad Naharin senza accennare al suo linguaggio di movimento Gaga, così come quest’ultima non può essere pienamente compresa se prima non si contestualizzano gli eventi, le motivazioni e le circostanze che hanno portato il suo ideatore a sperimentare un modo unico nel suo genere di portare la danza sulla scena mondiale. Il lavoro di tesi è articolato in tre capitoli.
Il primo capitolo è dedicato interamente alla descrizione della biografia, dell’attività e dell’operato del danzatore e coreografo Ohad Naharin fino ad arrivare alla sua affermazione nel mondo della danza contemporanea, sancita dall’assegnazione della direzione artistica della Batsheva Dance Company. Il secondo capitolo tenta di descrivere in mondo puntuale il cosiddetto linguaggio di movimento Gaga e di come la Batsheva Dance Company si sia organizzata per le lezioni di Gaga durante il periodo del lockdown mondiale a causa della pandemia da Covid-19 del 2020/21. Infine, nel terzo ed ultimo capitolo, è proposta un’argomentazione che parte dalla teoria dell’avanguardia conservatrice esposta dal teorico teatrale statunitense, Richard Schechner, per arrivare alla comprensione di alcuni degli aspetti fondamentali su cui si basa il linguaggio di movimento Gaga, mettendolo in relazione ad altri fenomeni appartenenti al nuovo teatro e al mondo della danza movimento terapia, evidenziandone peculiarità affini e difformi.
Francesco Mastromauro, classe 1996, nasce in provincia di Foggia. Inizia la sua formazione come ballerino di Tango Argentino all’età di sei anni arrivando a vincere titoli nazionali per diversi anni consecutivi. La filosofia culturale del tango è ben radicata nel suo percorso di crescita artistica e personale grazie ad una borsa di studio che, nel 2015, gli permette di studiare a Buenos Aires. Nello stesso anno si diploma in Danza Classica presso il liceo coreutico di Teramo, per poi proseguire la sua carriera in materia di Danza Contemporanea e Arti performative in Italia e all’estero. Anovembre 2020, consegue la laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo della facoltà di Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Teramo. Durante gli anni universitari si avvicina al giornalismo culturale occupandosi per lo più di scrittura per la danza. La sua ultima esperienza in qualità di danzatore professionista lo vede esibirsi nel corpo di ballo dell’Opera lirica La Traviata degli Specchi ideata da Josef Svoboda e Henning Brockhaus, in scena al Macerata Opera Festival 2021.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
TITOLO TESI > La distorsione. L’arte intermedia per un viaggio introspettivo ISTITUTO > Accademia Nazionale di Danza – Istituto Superiore di Studi Coreutici AUTRICE > Martina Ferrante
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
Dopo un’attenta analisi in tutte le sue varie accezioni del termine distorsione, fulcro della sperimentazione, questo lavoro propone, attraverso un elaborato scritto e una ricerca pratica, un viaggio interessante alla scoperta dell’importanza del volume e della forma, scomposti, analizzati, deformati, rispetto al valore del colore, che viene eliminato quasi completamente. Gli elementi chiaroscurali sono dati dalla luce e dall’ombra, dalla prevalenza della gamma cromatica che va dal bianco al nero, a sostituzione degli altri colori, fattore di disturbo per l’artista e per lo spettatore, causa di distoglimento dalla necessità di analisi ed indagine della realtà e della perfezione.
La fase di sviluppo pratica del progetto presenta una disposizione, secondo un ordine voluto, di elementi di diversa natura e materia riuniti in un unico luogo con l’unica funzione di costruire un fatto plastico indipendente da qualsiasi intenzione imitativa della realtà e della natura, ma col solo intento di ricercare una personale sintesi nello smontare e rimontare la realtà stessa. Non vi è un metodo unico e comune a tutti per giungere alla comprensione di un concetto o alla realizzazione pratica della propria visione di esso, ognuno procede secondo un proprio iter e le proprie capacità esprimendo cosi se stesso, come di seguito verrà esposto analizzando le correnti artistiche contemporanee.
Lo scopo di questa ricerca, tramite lo studio sul corpo, passando attraverso la conoscenza e la consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si è diventati nel tempo, è arrivare a ritrovare quel Sé incontaminato, purificato dalla distorsione, ma allo stesso tempo, arricchito di nuove forme e di nuovi contenuti che presentano la traccia storica del vissuto.
Martina Ferrante nata ad Avellino nel 1992. Si forma come danzatrice classica, moderna e contemporanea, dall’età di 4 anni, in varie scuole di danza di Avellino, e dal 2010 inizia un percorso di insegnamento. Perfeziona i suoi studi a Modena nel Corso di Formazione con la Compagnia di Alex Atzewi. Si diploma al Triennio Tecnico-Compositivo, Scuola di Coreografia, dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma, con sede presso il teatro Carlo Gesualdo di Avellino, con la votazione 110/110 con lode. Durante il terzo anno di studi accademici aderisce al programma di mobilità studentesca, Erasmus, intraprendendo gli studi presso l’Escola Superior de Dança di Lisbona. Dopo l’incontro con la coreografa Adriana Borriello, durante i suoi studi accademici, e le varie produzioni con e per lei messe in scena, “Beltà, poi che t’assenti”, “Rito urbano in forma di processione” e un intervento come performer durante il Festival Internazionale del Film Laceno D’oro in “80 kg. In mortem Johann Fatzer”, si avvicina alla ricerca, all’esperienza pratica e alla conoscenza del corpo che suona. Partecipa al Festival di Danza Urbana e d’Autore come artista di Nuove Traiettorie nel 2014 a Ravenna, realizza un progetto nel 2015, “Only a note”, per la Rassegna Coreografica On Stage con la Direzione Artistica di Adriana Borriello. Attualmente studessa del corso di Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale, all’Università degli studi di Salerno, a Fisciano.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
TITOLO TESI > Lo spazio femminile nel Titus Andronicus di Shakespeare ISTITUTO > Università degli studi di Napoli “L’Orientale” – Corso di laureain Lingue e culture comparate AUTORE > Immacolata Balestrieri
Laura Fraser nel ruolo di Lavinia, Titus, Julie Taymor, Regno Unito, Italia e Stati Uniti d’America, 1999.
Indira Varma nel ruolo di Tamora, Titus Andronicus, Lucy Bayley, Globe Theatre, Regno Unito 2014.
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
Nel corso le Quindicesimo secolo il teatro inglese ha subito degli enormi cambiamenti, acquistando una dignità sempre maggiore. Fino alla prima metà del secolo, infatti, il teatro si limitava ad accompagnare le cerimonie religiose – e in questo caso si parla di mystery plays – o civili utilizzando sia il latino che il volgare, mentre il teatro professionale faticava ancora ad affermarsi, con le compagnie costrette a spostarsi di villaggio in villaggio utilizzando gli spazi più disparati per le proprie esibizioni.
La seconda metà del secolo vide invece l’affermarsi del teatro professionale, con la nascita di numerosi teatri al chiuso e nuove compagnie teatrali; il protagonista indiscusso di questa fioritura artistica è William Shakespeare, senza dubbio il più celebre drammaturgo dell’età elisabettiana. Nel 1593 Shakespeare presenta la sua prima tragedia, The Most Lamentable Roman Tragedy of Titus Andronicus, conosciuta più semplicemente come Titus Andronicus. L’opera è ricca di numerosi riferimenti al mondo del teatro e della letteratura greci e romani, in questo breve articolo analizzo le principali fonti testuali che fungono sia da sfondo che da ispirazione per la tragedia, analisi a mio parere necessaria ai fini della comprensione dell’opera.
Immacolata Balestrieri nasce a Napoli l’8 maggio 1997. Si avvicina al mondo del teatro da piccola, frequentando alcuni corsi; negli anni universitari intraprende poi un percorso laboratoriale di recitazione per circa due anni presso il Centro Teatro Spazio. Ha studiato Lingue e culture comparate presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Ha trascorso un semestre di studio presso l’Uniwersytet Jagielloński di Cracovia. Insieme a Kathrin Komp-Leukkunen, Gustav Syrstad e Maria Varlamova, è autrice di Using experential knowledge in teaching about life-courses, pubblicato dalla Faculty of Social Science dell’University of Helsinki. Si è laureata con una tesi in Letteratura inglese dal titolo Lo spazio femminile nel Titus Andronicus di Shakespeare, da cui è stato tratto un saggio omonimo pubblicato sulla rivista online Aura. Attualmente studia Lingue e comunicazione interculturale in area euromediterranea presso lo stesso Ateneo.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
TITOLO TESI > Per una nuova semiotica del teatro – Approcci del passato e nuovi orizzonti ISTITUTO > Università degli Studi di Torino– Corso di laureain Scienze della Comunicazione AUTRICE > Carlotta Lando
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
“Per una nuova semiotica del teatro – Approcci del passato e nuovi orizzonti” è una tesi semiotica che cerca di unire passato e presente al fine di delineare un possibile futuro sviluppo della semiologia teatrale. Questa idea trova le sue radici in Umberto Eco, il quale sosteneva che la semiosi non potesse mai nascere dal nulla, ma avesse sempre bisogno degli apporti di studio precedenti. Si è reso, inoltre, necessario parlare di futuro, dato che la semiotica teatrale a livello di ricerca ha subito un brusco arresto verso la fine degli anni 80 del 900.
L’elaborato è suddiviso principalmente in due parti. Nella prima, dedicata agli approcci del passato, vengono analizzati gli autori Barthes, De Marinis, Segre, Elam e Volli, descrivendone i principali apporti teorici alla disciplina in questione. Nel dettaglio, ogni capitolo dedicato a ciascuno di loro si suddivide in tre momenti: un breve accenno biografico per collocarli storicamente, un resoconto sui concetti chiave da essi elaborati e una breve riflessione su questi ultimi. Nella seconda parte, invece, dedicata ai nuovi orizzonti, vengono analizzate tre recenti correnti della semiotica contemporanea (semiotica delle passioni, tensiva e semiotica della cultura) al fine di comprendere se e quanto esse possano aggiungere elementi nuovi sulla scena semiologica teatrale. In particolare, sono stati analizzati i semiologi Greimas, Pezzini, Fontanille, Lotman e Lorusso attraverso alcune loro opere cardine.
A questo, sono stati aggiunti due paragrafi in cui rispettivamente vengono approfonditi alcuni concetti delineati dagli autori, ritenuti utili per un’applicazione teorica al teatro, e un caso concreto, in cui sia possibile mostrare la validità tangibile dei metodi di approccio semiotici. Per quest’ultima parte è risultata molto utile la mia esperienza in prima persona, in veste di operatrice dello spettacolo.
Nella sezione delle conclusioni, è presente un breve excursus storico sugli autori più importanti che dagli anni 70 agli anni 90 del 900 si sono occupati di semiotica del teatro, per cercare di fornire un quadro generale sullo sviluppo della disciplina, dalla nascita alla sua presunta saturazione. La vera e propria conclusione a cui si giunge ammette il fatto che le passioni di Greimas, le pratiche e il corpo di Fontanille e i “filtri di traduzione” di Lotman possano effettivamente concedere alla semiotica del teatro una nuova, seconda vita. Questo proprio perché, come aveva affermato Camilleri, “il teatro è come la società: è sempre in crisi, perciò non potrà morire mai”. È, quindi, necessario parlarne, ancora e una strada in questo senso si è iniziato a percorrerla nel 2009, quando semiotici e critici teatrali si sono ritrovati per tentare di capire i problemi di un’analisi semiotica della rappresentazione scenica. Nulla di concreto è ancora stato prodotto, ma, il teatro avrà l’ultima parola, comunque.
Carlotta Lando, classe ’95. Diplomata al Liceo Classico “Maurilio Fossati” di Rivoli (TO), conseguo la laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino. Attualmente sono laureanda al corso di laurea magistrale in Comunicazione e Culture dei Media, sempre a Torino, con una tesi di ricerca incentrata sullo sviluppo della rappresentazione della morte in teatro tra XIX e XXI secolo, in un’ottica di semiotica della cultura. Parallelamente alla mia formazione, da quando ho dieci anni, incontro il mondo della recitazione, formandomi tra Torino e provincia, sotto l’egida di grandi insegnanti, quali Eugenio Allegri, Ester Ruggiero e Stefania Rosso. Attraverso la Scuola di Teatro Sergio Tofano di Torino, diretta da Mario Brusa, ho la fortuna di fare della recitazione un vero e proprio lavoro, soprattutto grazie al regista Oliviero Corbetta, il quale mi permette di esibirmi al fianco di grandi personalità del panorama teatrale italiano, quali Giuliana Lojodice, Angela Brusa, Francesca Vettori e molti altri. Durante il percorso universitario, frequento un stage di alta formazione all’Associazione Tedacá di Torino, diretta da Simone Schinocca, grazie a cui, con gli insegnamenti di Francesca Montanino, scopro il mondo dell’organizzazione e della distribuzione teatrale. A partire da quest’esperienza, decido di dedicare le mie energie al dietro le quinte. Ad oggi, rivesto il ruolo di responsabile organizzazione e distribuzione e assistente di produzione per la Compagnia teatrale Contrasto di Torino.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
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