#FocusOn: TEATRODEKÈ, azioni urbane e contesti possibili

#FocusOn: TEATRODEKÈ, azioni urbane e contesti possibili

Articolo di Iris Basilicata

Abbiamo intervistato Riccardo Balestra, classe 1988, attore e regista formatosi nel 2006 presso il teatro stabile delle Marche. Nel 2013 incontra Federico Maugeri e insieme creano il collettivo Teatrodeké. Il nome del progetto nasce dalla volontà stessa di trovare un’identità ad un collettivo che ponesse come fulcro del proprio lavoro le relazioni umane, siano esse esperienziali, visive o sonore. La linea di pensiero del collettivo riprende quella della rivoluzione teatrale del Novecento: nuove tipologie di teatri (per pochi spettatori, terapeutici, di strada, per le masse, politici) non riscoprendo una propria funzione generale, moltiplicano le proprie funzioni possibili. Teatrodekè segue una propria volontà di creare una distinzione tra teatro e spettacolo, delineandone un diverso modo d’essere. Come ripete lo stesso Balestra “Ogni luogo diventa un contesto possibile dove far avvenire teatro”, ritornando a quello che Jerzy Grotowski definisce “teatro povero”, ossia quello che avviene tra attore e spettatore. Il fulcro di tutto è la relazione che si crea.

Ciao Riccardo, perché il nome “teatrodekè”, qual è il vostro concetto di teatro?

Il nome Teatrodeké è nato nella fase laboratoriale. Eravamo con gli allievi di un liceo a fare un sopralluogo in un centro commerciale, dove avevamo pensato di realizzare il nostro primo intervento artistico. Bisognava trovare un nome al progetto partendo dall’identità del progetto stesso, e ogni proposta sembrava non soddisfare a pieno gli intenti del gruppo (tra cui erano presenti aspiranti attori, scenografi e musicisti).  Che nome dare a un progetto di cui non erano chiare le linee guida, le modalità di intervento? Era una fase aperta del lavoro, ogni cosa avrebbe potuto essere realizzata. Come chiamare questi interventi?

“Gruppo de che”? “Teatro!” “Sì, ma teatro de che?”: qui ci siamo fermati e abbiamo cominciato ad agire. Teatrodeké è nata come, ed è rimasta, una domanda continua che contraddistingue il nostro lavoro.

Nel tuo lavoro parli spesso di “azioni urbane”. Cosa intendi e come lo applichi al tuo modo di fare teatro?

Affinché ci sia teatro è necessaria e sufficiente una relazione umana (visiva, sonora o comunque esperienziale).  Il teatro, e l’arte in generale, ha per noi l’obiettivo di offrire, a chi ne usufruisce, un sogno a occhi aperti. Il sogno in questo caso diventa una sospensione, a breve o medio termine, dalla propria gabbia cerebrale. Un brano musicale, un quadro, un’installazione e qualsiasi altra proposta artistica devono dare la possibilità di guardare la realtà da altri punti di vista, goderne, emozionarsene, rifletterci.

Chi decide di utilizzare il linguaggio teatrale può avvalersi di sistemi di produzione, distribuzione e circuitazione molto validi come bandi specifici, premi, associazioni di categoria, e quindi attingere la propria economia da organizzazioni e meccanismi governativi come il Fondo Unico per lo Spettacolo, trovare finanziatori privati, o riuscire a farsi produrre da qualche teatro o da qualche compagnia con il sistema dello “scambio”. Questi sistemi, però, non possono oggettivamente gestire tutte le proposte, seppur qualitativamente meritevoli, che ogni giorno cercano i loro spazi. Compito dell’artista è “piazzare” l’arte ovunque sia possibile, evitando la spocchia per colpa della quale, purtroppo, molti artisti rinunciano a proseguire la propria attività adducendo le cause o a loro stessi, o alla mala gestione delle attività distributive di cui sopra.

Vuoi recitare? Credi che il tuo intervento sia in qualche modo utile a te stesso o a qualcun altro? Lo fai. “In un teatro non riesco ad esibirmi”, si può andare dentro la vetrina vuota di un negozio sfitto. “A teatro non viene mai nessuno, se non i teatranti”, si va dove le persone già stanno, come la piazza o una struttura turistica nella stagione estiva. Se si vuole onestamente fare il proprio lavoro le occasioni non devono mancano, e non si andrà a inficiare sulla qualità soltanto perché in questi contesti “non c’è la gente che conta”. Ci sono persone. Possono nascere relazioni umane e quindi teatro. Nei limiti del rispetto verso l’altro e verso la società in cui mi esprimo, posso proporre qualsiasi cosa in qualsiasi contesto, e le possibilità ovvero i mezzi con cui realizzarle sono numerose.

Ogni luogo diventa un “contesto possibile” dove far avvenire teatro. Il contesto è e rimane un contesto (un Cum+textum) su cui agire e con cui agire. Tutti i contesti sono possibili. Il teatro è relazione. A questo proposito tutto ciò che contribuisce a creare una relazione (artistica o simbolica) con l’essere umano, noi la consideriamo azione, teatro. Urbano identifica ovunque l’uomo abbia possibilità di accesso.

In questo senso chiunque può sentirsi autorizzato a proporre o ad agire. Se c’è onestà d’intenti l’arte è sempre contemporanea e l’azione crea relazione.

Mi racconti qual è la “linea di pensiero” dei vostri progetti?

La nostra linea di pensiero risponde a due valori (o princìpi) fondamentali per l’arte: il valore artistico, e il valore commerciale.

Il valore artistico dell’arte ci spinge a creare azioni libere, senza commissioni, dettate soltanto da un’esigenza espressiva, da un desiderio, da un sogno. Il teatro libero ci dà la possibilità di realizzare un evento con i mezzi che abbiamo a disposizione, o di cercarne e trovarne liberamente altri. Non ci blocca il pensiero di non avere risorse (economiche, umane, politiche). Il valore commerciale dell’arte ci porta, attraverso un filtro artistico, al servizio di una comunità, sotto forma privata o pubblica. In base a questo principio il teatro diventa un mezzo efficace attraverso cui creare relazione.  Se parti dal pregiudizio che l’arte legata al commerciale sia un’arte “venduta” e di basso valore, sottovaluti un aspetto efficace del fare arte: la sua potenza come mezzo di comunicazione. Se il lavoro che svolgi è onesto e segue il tuo gusto per rispondere alle esigenze del commercio, ben venga. La sponsorizzazione di una compagnia telefonica attraverso il teatro, in questo senso, potrebbe essere un buon esempio di cooperazione.

Quando ci troviamo di fronte a un lavoro da svolgere cerchiamo di rispondere ad alcune domande principali:

-cosa dobbiamo fare

-che pubblico vogliamo raggiungere

-quante risorse abbiamo già

-cosa ci serve

-di cosa possiamo fare a meno.

Queste domande ci pongono in una conversazione preliminare in cui ogni pensiero è libero di essere espresso, in cui ogni cosa pensata può essere realizzata e modellata. Cerchiamo di avere la resa migliore con il minimo di mezzi, e questo lavoro di sottrazione è molto stimolante e divertente, perché ti accorgi di quanto sia più efficace una buona idea che l’accanimento a realizzare qualcosa di cui non si ha possibilità.

A cosa state lavorando ultimamente?

Stiamo lavorando a un progetto di riqualificazione di un quartiere considerato degradato nel Comune di Ancona. Il degrado è considerato tale per via di una presenza massiccia di immigrati nel quartiere.

Come può l’arte essere al servizio di un progetto simile? L’importante per noi è stato subito ideare gli interventi senza sottolineare le differenze etniche e razziali. Ogni progetto realizzato (installativo o performativo) deve tendere a essere il più “pop” possibile, comprensibile ed estraneo (o al di sopra) rispetto a qualsiasi caratteristica etnica. In ambito performativo abbiamo ad esempio previsto l’intervento di un extra-terreste, un alieno appunto, estraneo a tutto e a tutti, non italiano, non nigeriano, non senegalese, ma alieno, di un altro pianeta. Questo essere si muoverà nel quartiere rispettando le regole, attraversando la strada sulle strisce pedonali, andando al bar aspettando il proprio turno etc…

Quando si riqualifica un quartiere per noi è importante considerare anche la durata degli interventi per non rischiare di creare iniziative fini a sé stesse. La riqualificazione è gettare un seme di cui poi prendersi cura, far sì che la sua efficacia resti tale nel tempo.

Presentazione Teatrodeké :

Teatrodeké è un collettivo artistico nato dall’incontro tra Riccardo Balestra e Federico Maugeri nel 2013. La prima opera realizzata è stata Città Viva, classificandosi al II° posto al contest P.A.C. di InteatroFestival. Nel 2014 si è aggiunta Antonella Spirito, ed è stato l’anno in cui Teatrodeké ha deciso di lavorare con 15 ragazzi del liceo e permettere loro di esprimere la propria creatività in contesti extra – teatrali, nel loro libero arbitrio. Sono così nate 3 azioni performative: ConSumErgoSum, performance sul consumismo realizzata all’interno delle Gallerie Auchan di Ancona e centro storico. Carnevaledeké, manifestazione di carnevale volta alla riapertura di Via dellaPescheria (Ancona). I7Vizi, in collaborazione con la Blu Nautilus S.r.l. e realizzata durante la Fiera di San Ciriaco 2015. Nel 2015 ha realizzato all’interno del progetto SottoSopra di Save The Children Italia Onlus un laboratorio sulle performazioni artistiche volte alla riqualificazione territoriale, lavorando con 70 ragazzi provenienti da tutta Italia. Nel 2015 realizza Welcome Back Dorica, spettacolo di musica e poesia per il Grand Tour dei Musei, presso il Museo della Città di Ancona. Sempre nel 2015 prende parte alla Giornata Internazionale dei Diritti Dell’Infanzia e dell’adolescenza in collaborazione con Save The Children Italia Onlus – sede Ancona, realizzando un’installazione all’interno della Mole Vanvitelliana. A Natale 2016 realizza Flöten aus dem Fenster, performance musicale sulle finestre di Via degli Orefici (An). Nel 2017 il Comune di Ancona affida a Teatrodeké la realizzazione del Carnevale in Via degli Orefici, Carnevaledeké II°ed.