Barbonaggio teatrale delivery: il teatro a domicilio di Ippolito Chiarello
Anche in zona rossa, in questo secondo lockdown, la consegna a domicilio di beni di prima necessità è consentita senza limiti di orario. L’arte è un bene di prima necessità?
A partire da questa domanda provocatoria, Ippolito Chiarello ha dato il via nella città di Lecce a un progetto di teatro a domicilio, fondando le USCA: Unità Speciali di Continuità Artistica.
Il pubblico ordina da un menu online i pezzi, l’attore raggiunge in bici le case della gente, con uno zaino da food delivery rider, contenente il necessario per lo spettacolo, e recita all’aperto e a distanza, sotto una finestra, in un cortile o in un parco.
Il progetto partirà il 4 dicembre, il format è libero e molti artisti desiderano già replicarlo, in tutta Italia e non solo.
Teatro delivery: di che si tratta?
Si tratta di un’operazione teatrale nel senso più puro del termine: io, una bicicletta, una storia, un palchetto che metto all’interno dello zaino da delivery, nessun filtro tecnologico. Vado sotto i balconi e porto a domicilio gli spettacoli teatrali.
Com’è nata l’idea?
A partire da quello che da più di 10 anni è il mio percorso di artista e di cittadino: proporre soluzioni dove vedo problemi. Dieci anni fa, senza fare animazione né teatro di strada, ho dato il via al Barbonaggio teatrale, mi sono messo a fare teatro al centro di una piazza, provocando gli spettatori. Era un’azione politica e poetica che aveva la funzione, a lungo termine, di sensibilizzare il pubblico alla frequentazione del teatro e dell’arte in genere.
Spesso il mondo teatrale dimentica che il principale obiettivo del suo lavoro è il pubblico, non la recensione di un critico a un festival. Questa dimenticanza è la principale causa della autoreferenzialità che ci impedisce di intercettare nuovo pubblico. Non dico che l’arte debba sostenersi esclusivamente con gli incassi al botteghino, non è possibile, ma se devo vivere solo di sussidi preferisco cambiare lavoro: vuol dire che non ho nessuna funzione, nessuna importanza.
In questo momento storico l’arte deve dimostrare di essere necessaria, come sta urlando a tutto il mondo da mesi: ha detto di essere necessaria, ma ha tradotto questa sua necessità nella richiesta di un sussidio per esistere, senza provare a dare una risposta, se non quella web.
Un medico che non ha più spazio in terapia intensiva si lamenta e pretende una soluzione dallo Stato, certo, ma poi trasforma uno sgabuzzino in una terapia intensiva. Possibile che noi artisti non riusciamo, in questa emergenza, a reinventarci?
Hai invitato i tuoi colleghi a replicare il format in altre città, come procede la chiamata alle arti?
Ho creato una piattaforma proprio perché questa operazione possa essere ripetuta. Per ora gli artisti che mi hanno chiesto di replicare questo format sono 28, da tutta Italia e non solo: Rio de Janeiro, Nantes, L’Aquila, Assisi, Milano, Varese, Messina, Potenza, Roma, Alessandria, Firenze, Bologna, Parma, Padova.
L’idea è di creare un sistema semplice: voglio rimettere in moto il meccanismo del teatro così com’era, usando il mezzo tecnologico solo per far sì che avvenga un’azione concreta in presenza.
Ti definisci un pentito dell’online, che esperienza hai avuto?
L’8 marzo 2020 è scattato il primo lockdown e io dal 9 marzo al 3 aprile ho lanciato un festival online: Barbonaggio Teatrale Virtuale. Tutti i giorni alle 21 aprivo il sipario, con un programma preciso. Sentivo il bisogno di farlo e pensavo potesse essere una buona occasione per far conoscere il mio lavoro anche a persone che normalmente non vengono a teatro a vedermi.
Però poi, nei mesi successivi, mi sono reso conto del bombardamento di contenuti multimediali che ci stava sfuggendo di mano: tutti facevano dirette, caricavano video, organizzavano riunioni su Zoom.
Ho riflettuto: il teatro non lo puoi fare in video. Il teatro in video ha senso solo con una buona regia televisiva e usato come integrazione: chi non può permettersi il biglietto per l’Opera, per esempio, può guardarla in televisione o al cinema ad un prezzo molto contenuto.
Il web deve essere usato per integrare chi non può andare a teatro e soprattutto per parlare del teatro: approfondimenti, prove, backstage. Stop.
Pensando a quello che avevo fatto mi sono venuti i brividi, ma quando faccio un errore non ho problemi ad ammetterlo, anzi mi serve a comprendere.
Cosa vuole in questo momento il pubblico da un teatro delivery?
Vuole che accada qualcosa. Che non siano le sirene, che non sia il silenzio, che non siano le brutte notizie. Vuole un incontro.
Stai riscontrando opposizione o sostegno da parte delle istituzioni?
Questa proposta è attuabile anche nelle zone rosse. Ho parlato col sindaco di Lecce, con gli assessori, che si sono subito mobilitati. Lecce è una città d’arte: perché, oltre a fornire assistenza sanitaria e un’assistenza economica a sostegno delle attività produttive, non fornire anche arte e cultura per ristorare quello che non ristora nessuno, ovvero l’anima?