Carminati nominato direttore artistico del Teatro Massimo ‘Vincenzo Bellini’ di Catania

Carminati nominato direttore artistico del Teatro Massimo ‘Vincenzo Bellini’ di Catania

Fabrizio Maria Carminati è il nuovo direttore artistico del Teatro Massimo ‘Vincenzo Bellini’ di Catania. Operatore musicale di fama internazionale è stato in passato direttore artistico della Fondazione Arena di Verona. Lo ha nominato il commissario straordinario dell’Ente, Daniela Lo Cascio, su proposta del sovrintendente Giovanni Cultrera. Succede al pianista catanese Francesco Nicolosi.

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Fabrizio Maria Carminati, nato a Bergamo nel 1958, diplomatosi in pianoforte sotto la guida di Carlo Pestalozza, ha proseguito gli studi di composizione a Milano con Vittorio Fellegara. Ha conseguito il diploma di direzione d’orchestra a pieni voti. Entrato giovanissimo al Teatro Regio di Torino vi ha esordito come direttore d’orchestra dove entra a fare parte del Cda, dal 2001 al 2006, su indicazione ministeriale. Dal 2000 al 2004 è stato direttore artistico del Teatro Donizetti di Bergamo, dal 2004 al 2006 della Fondazione Arena di Verona. Nel 2008 è stato nominato primo direttore ospite fino al 2015.

AS-SAGGI DI DANZA #19 – Wim Vandekeybus, a rough collection of dreams and desires

AS-SAGGI DI DANZA #19 – Wim Vandekeybus, a rough collection of dreams and desires

Ultima Vez in “In Spite of Wishing and Wanting”

Ultima Vez in “In Spite of Wishing and Wanting”

Risale al 2012 quando vidi al Teatro Della Pergola di Firenze lo spettacolo Oedipus/Bêt Noir, e fui letteralmente conquistato da una serie di impressioni, descrivibili poi con quegli aggettivi e sostantivi che vengono da sempre utilizzati per descrivere il lavoro di Wim Vandekeybus: tensione, conflitto, istintivo, passionale, impulsivo, esplosivo…la lista potrebbe continuare a lungo su questa scia.

Vandekeybus, artista belga avvicinatosi al teatro tardivamente e uscito dalla fucina creativa di Jan Fabre, ad oggi è uno degli artisti di punta della danza contemporanea europea, che mantiene ancora strettamente il primato della ricerca sul corpo e un’idea della danza come spettacolo “totale”. Il suo legame con l’Italia e con il pubblico italiano non è mai stato un mistero, e così può capitare di vedere in programmazione – come un faro di speranza nelle tenebre – uno spettacolo della sua compagnia, Ultima Vez. Quest’anno il Teatro Bellini di Napoli, grazie all’accurata programmazione di danza di Manuela Barbato ed Emma Cianchi, ha portato ad un pubblico entusiasta uno spettacolo del 1999 di grande successo, In Spite of Wishing and Wanting. Il titolo dice molto e spesso quando si parla della danza pochi si soffermano sul significato di quelle poche parole. Va riletto alla luce di alcune impressioni.

Lo spettacolo inizia con due performer e una corda tesa, tenuta stretta fra i denti. Tutt’intorno gli altri uomini scalpitano come cavalli in uno stato di inquietudine e una malsana agitazione che va a contagiare anche il pubblico. Vengono utilizzati molti controluce e luci frontali, che rendono lo spazio del teatro come un continuum fra platea e palco, in particolar modo quando i performer agiscono – e succede in tutto lo spettacolo – sul proscenio. La corda tesa è una storia che non è narrazione ma che è esplorazione della natura più intima dell’essere uomo e maschio nella società odierna. Le persone sono in preda alla propria animalità: provano paura, desiderio, panico. Scappano e gridano, scalciano contro la scenografia. Il tutto però è orchestrato da uno stalliere che, come un deus ex machina, sposta, comanda, spaventa, in un crudele e malizioso gioco basato sulla paura. Questa paura esplode come il cuscino in scena, un colpo che libera nell’aria centinaia di piume, che rimarranno a svolazzare in scena fino alla fine dello spettacolo.

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Ogni performer acquista una propria personalità nel corso dello spettacolo: ci sono momenti di lite scherzosa e goliardica, momenti di contrasto e di sfida, momenti di espressione massima dell’istinto al nutrimento e ai bisogni più basici (eccezionale l’interpretazione di Knut Vikström Precht) dell’essere umano: ma soprattutto parti in cui loro si alleano, fanno gruppo, diventano consapevoli dei loro desideri e delle loro aspettative, e delle parole che più li corrispondono. Spesso anche momenti di tenerezza, ricerca di un contatto umano e protettivo, perfettamente incorporato in cui ognuno, con la sua parte di arancia in mano, cerca il partner che ha l’altra esatta metà. Il cibo e la fame, elementi che riconducono alle esigenze basilari dell’essere umano, sono presenti un po’ in tutto lo spettacolo.

Le parole: sono i pilastri fondamentali di questo spettacolo. Le parole non conoscono lingua di trasmissione (si parla in italiano, in inglese, in francese e spagnolo) e sono il filo conduttore di tutto l’atto. Le parole diventano presa di coscienza di ognuno, vengono rubate dallo stalliere e rese una proprietà privata. Il tentativo di descriversi corrisponde al tentativo di ogni uomo che si sta formando di prendere coscienza di sé stesso e di trovare i termini per descriversi e per parlare di ciò che vuole e di ciò che non è riuscito ad ottenere. In un gioco drammaturgico estenuante, che ricorda il tentativo vano del personaggio di Beckett nei suoi Atti senza parole. Lo stalliere possiede le parole di tutti i presenti, ne ha il potere e quindi ha in pugno anche la loro volontà. Vandekeybus innesca su questo tema un meccanismo di continuità fra i diversi piani di lettura dello spettacolo che interagiscono fra di loro: il parlato, la danza, i momenti di attesa e silenzio e il cinema. Ad un certo punto lo spettacolo è interrotto da un estratto di Racconto senza morale di Julius Cortàzar: le parole, i sospiri, le grida sono la merce che un uomo vende ai mendicanti, ai passanti e persino al tiranno.

La danza in questo spettacolo rimane però non sostanziale ma strutturale, risultando spesso chiusa in sequenze giustapposte tra un momento drammatico e l’altro: il vocabolario di Vandekeybus non brilla per varietà di linguaggi e qualità, ma sicuramente si distingue per la capacità immaginifica che le sue danze creano insieme alla musica (originale) di David Byrne e ai costumi larghi, aerei, in contrasto fortissimo con la violenza e poderosità della danza. Moltissima l’energia esplosiva fra salti, acrobazie e movimenti raso terra, sempre però direzionata ad una chiara conclusione verso un passaggio alla scena successiva. Da un lato la tensione del corpo è mantenuta su un filo teso come in una situazione di tregua sul campo di battaglia, dall’altra la danza viene usata nella natura stessa di espressione del mondo maschile, ovvero di essere presente, estemporanea, di non poter essere fermata nel momento in cui si manifesta. In una visione che strizza l’occhio a Schopenhauer, la catarsi che provoca il vedere la danza aiuta l’uomo a liberarsi ma non gli permette né pace né riposo dei sensi.

In questo spettacolo l’uomo “sublima” sé stesso nei desideri e nella sua identità: In spite of wishing and wanting… nel titolo risiede il significato di questa eterna ricerca: nonostante il desiderio e la volontà, questi 11 uomini mostrano che sotto l’energia della superficie tutto il resto nella loro natura è profondo e ancestrale. Come nel finale, anche quando tutti si addormentano sui propri corpi, un cavallo continua a percorre il palcoscenico, senza redini e, stavolta, senza alcun controllo.

Napoli Teatro Festival: Glob(e)al Shakespeare al Teatro Bellini

Napoli Teatro Festival: Glob(e)al Shakespeare al Teatro Bellini

Rinasce al Napoli Teatro Festival Italia l’atmosfera del Globe Theatre di Londra. Dal 6 all’8 giugno apre il Glob(e)al Shakespeare. Un progetto speciale curato da Gabriele Russo che trasforma in teatro elisabettiano gli spazi del Teatro Bellini per accogliere, tra tragedie e commedie, sei titoli scespiriani riscritti e diretti da alcuni dei più interessanti registi del nostro teatro, da Andrea De Rosa, a Emanuele Valenti, Francesco Saponaro, Giuseppe Miale Di Mauro, Serena Sinigaglia, allo stesso Gabriele Russo, impegnando 40 attori, oltre a Francesco Esposito (per le scene), Chiara Aversano (per i costumi), Salvatore Palladino (disegno luci), G.U.P. Alcaro (suono) nei vari allestimenti, tutti in prima assoluta a Napoli. Smontate le poltrone del teatro, con il palcoscenico che si prolunga ben oltre il centro della sala ed il pubblico accomodato nei palchi tutt’intorno, il Glob(e)al Shakespeare inizia martedì 6 giugno (dalle ore 20) con i primi due debutti. Si comincia con la tragedia ‘Giulio Cesare. Uccidere il tiranno‘,  riscrittura originale di Fabrizio Sinisi e regia di Andrea De Rosa con Nicola Ciaffoni (Casca), Daniele Russo (Cassio), Rosario Tedesco (Antonio), Isacco Venturini (Bruto). ”Il rapporto fra popolo e Tiranno è ambiguo, amoroso e violento, ricorda molto, nel profondo, quello tra padri e figli – sottolinea il regista che si chiede – La storia del Novecento è stata attraversata da molte infami dittature e altre sembrano affacciarsi in questo oscuro inizio del nuovo millennio…. si vuole, si può, si deve uccidere il Tiranno?”. 80 minuti intensi che cedono il passo, dopo una pausa tecnica di circa 20 minuti, al secondo titolo in programma ovvero ‘Una commedia di errori  di Punta Corsara  nella riscrittura originale di Marina Dammacco, Gianni Vastarella e di Emanuele Valenti, che firma anche la regia dello spettacolo.  La vicenda è trasportata nella New York di inizio secolo, di Ellis Island e delle varie Little Italy dagli attori Giuseppina Cervizzi (Adriana / Vincent), Christian Giroso (Mimì Petrosino di New York / Pit Marrone), Vincenzo Nemolato (Mimì Petrosino di Buenos Aires / Jack Cervello), Valeria Pollice (Luciana / Prostituta cinese), Emanuele Valenti (Tony Capanera di Buenos Aires / Joe Artiglio), Gianni Vastarella (Tony Capanera di New York / Eduardo Capanera), la voce fuori campo  è di  Adriano Pantaleo,  le musiche originali di Giovanni Block. Mercoledì 7 giugno, alle 20, debutta ‘Racconto d’ inverno‘, rappresentazione sulla gelosia, sull’errore e sul tempo, nella riscrittura di Pau Mirò ed Enrico Ianniello, per la regia di Francesco Saponaro con Luigi Bignone (Florizel), Rocco Giordano (Palluso/Carceriere), Tony Laudadio (Antigono/Pastore), Mariella Lo Sardo (Paolina), Vincenzo Nemolato (Autolico), Francesca Piroi (Perdita/Emilia),  Marcello Romolo (Camillo), Leonardo Antonio Russo (Mamilio), Eduardo Scarpetta (Polissene). “Ho scelto di ambientare il racconto in una fulgida ‘Sicilia dei principi’ – scrive Saponaro – a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento”. La commedia, a seguire, è ‘Otello‘ proposta dalla Compagnia Nest, nell’adattamento e regia di Giuseppe Miale Di Mauro, con la drammaturgia di Giovanni Speziano che rilegge il testo in chiave contemporanea, puntando lo sguardo   sul rapporto uomo donna ed il drammatico fenomeno dei femminicidi. Con Francesco Di Leva nel ruolo del titolo, in scena anche Viviana Altieri (Emilia), Martina Galletta (Desdemona), Giuseppe Gaudino (Rodrigo), Adriano Pantaleo (Iago), Andrea Vellotti (Cassio) e con la partecipazione del gruppo #GiovaniO’Nest, le  musiche originali di Ralf P, e la cura del movimento  di Anna  Carla Broegg. Giovedì 8 giugno, per chiudere il ciclo, alle ore 20 debutta ‘Tito‘ riscritto da Michele Santeramo per la regia di Gabriele Russo, con Roberto Caccioppoli (Bassiano), Antimo Casertano (Lucio), Giandomenico Cupaiuolo (Marco), Gennaro Di Biase (Saturnino), Piergiuseppe Di Tanno (Aronne), Maria Laila Fernandez (Tamora), Fabrizio Ferracane (Tito), Daniele Marino (Demetrio), Francesca Piroi (Lavinia), Leonardo Antonio Russo (Alabro), Filippo Scotti (Marzio), Isacco Venturini (Chirone). ”Potremmo dire che Tito Andronico sia l’equivalente di un film splatter dei nostri tempi – nota Gabriele Russo –  ed è stato ancora più interessante lavorare ad un processo di scarnificazione, Andronico è diventato più semplicemente l’antieroe Tito”. Seguono e chiudono ‘Le allegre comari di Windsor‘ riscritto da Edoardo Erba, per la regia di Serena Sinigaglia dove  ”le signore Page e Ford, come le casalinghe di ‘Desperate Housewives’, sono donne di mezza età, borghesi, annoiate” spiega la regista. Con Giulia Bertasi (fisarmonicista), Mila Boeri, (Anna Page), Annagaia Marchioro (Comare Page), Chiara Stoppa (Quickly/Falstaff), Virginia Zini (Comare Ford);  consulente musicale Federica Falasconi, scene e costumi Federica Pellati.

Durata spettacoli 80 minuti, con intervallo di 20 minuti per il cambio scena. Il biglietto va da 8 a 5 euro ed è valido per l’intera serata. Info: www.napoliteatrofestival.it