Il teatro di Vsevold Mejerchol’d tra stilizzazione e politica

Il teatro di Vsevold Mejerchol’d tra stilizzazione e politica

Censura e rivoluzione sono le due costanti della vita artistica e personale di Vsevold Emilevič Mejerchol’d. Indiscusso genio teatrale del ‘900, Mejerchol’d è stato un uomo controverso, di inaudita onestà nel perseguire i propri intenti politici e teatrali, in una Russia, quella degli anni Venti, rivoluzionaria e opprimente.

La carriera teatrale di Mejerchol’d iniziò presso alcune compagnie dilettantistiche e proseguì a Mosca nella scuola d’arte drammatica della Società Filarmonica con Vladimir Nemirovič-Dančenko. Diplomatosi, entrò a far parte della compagnia del Teatro d’Arte di Mosca guidata da Kostantin Stanislavskij, prendendo parte a Lo zar Fëdor Ioannovič di Tolstoj, spettacolo inaugurale del nuovo teatro, interpretando il ruolo del Principe Suiskij.

 K. Stanislavskij, Lo zar Fëdor Ioannovič di Aleksej Tolstoj, Teatro d’Arte di Mosca, 1898

K. Stanislavskij, Lo zar Fëdor Ioannovič di Aleksej Tolstoj, Teatro d’Arte di Mosca, 1898

Trascorsi quattro anni dall’avvio dell’esperienza moscovita con il firmatario del Metodo più famoso della storia del teatro, Mejerchol’d decise di abbandonare la compagnia in seguito alle continue dispute che lo vedevano contrapporsi al suo maestro. Nel 1902 lasciò la città per recarsi a Cherson, una piccola cittadina di provincia, dove costituì la Compagnia del nuovo dramma e iniziò a lavorare ad alcuni allestimenti già ascrivibili alla fase simbolista della sua produzione teatrale.

A causare i primi livori tra maestro e allievo fu il disinteresse di Mejerchol’d per la messinscena naturalista tanto cara a Stanislavskij: l’avventura del Teatro d’Arte fu sospinta dall’urgenza, sostenuta sia da Stanislavskij sia da Nemirovič-Dančenko, di riformare quel teatro russo in cui lo spettacolo era ancora concepito come evento commerciale e sociale piuttosto che artistico. Il progetto riformatore fu mirato innanzitutto all’ottenimento di una recitazione naturale, dal fare spontaneo, con rimandi alla gestualità in uso nella vita quotidiana. Gli attori dovevano avere, sulla scena e fuori di essa, un atteggiamento che perseguisse una moralità tale da dirigere la compagnia verso un’appropriata etica del lavoro.

Il pubblico, dal canto suo, fu educato attraverso piccole ma rivoluzionare accortezze al rispetto per il momento della messinscena: durante lo spettacolo, fruito a luci spente, doveva regnare il silenzio assoluto. La scenografia del Teatro d’Arte, affidata allo scenografo naturalista Viktor Simov, fu concepita come sostegno imprescindibile all’azione drammatica, costruendo ambienti praticabili e prevedendo la presenza sul palcoscenico di arredi e oggetti di scena, talvolta sistemati in modo tale da alludere alla presenza della quarta parete. L’incontro con l’opera di Čechov fu evento fortunato perché capace di condurre il prodotto spettacolare verso una deriva intimista, con un prepotente scavo psicologico delle vicende vissute dai personaggi, evitando così di scadere nella mera estetizzazione delle situazioni rappresentate.

Mejerchol'd

Interni del Teatro d’Arte di Mosca, 1902-1903

Attratto dall’antinaturalismo che dai primi anni del Novecento si diffuse nel resto della Russia e spinto dal personale interesse per il movimento simbolista, Mejerchol’d cominciò a delineare gli elementi caratterizzanti dei suoi successivi spettacoli, con un riguardo particolare verso l’opera del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck.
Inaspettatamente, fu lo stesso Stanislavkij a offrire a Mejerchol’d la possibilità di far germinare la sua nuova ricerca artistica. Resosi conto della forza seduttiva del simbolismo, nel 1905, il maestro russo affidò al suo ex allievo il Teatro Studio di Mosca, occupandosi di provvedere ai fondi necessari e all’ingaggio degli attori, affiancandogli gli scenografi Sapunov e Sudejkin, il musicista Il’ja Sac e il poeta Valerij Brjusov.

In questo luogo di sperimentazione l’illusione di realtà dovette lasciar spazio alla stilizzazione e all’artificialità. Nessun rimando a situazioni realistiche e ai loro risvolti psicologici: le realizzazioni scenografiche, la recitazione degli attori, le musiche, l’intero disegno registico, ebbero il solo scopo di sprigionare la vera essenza del testo rappresentato. Allo spettatore, il delicato compito di comprendere lo spettacolo attraverso una decodifica immaginifica dei simboli stilizzati a esso predestinati.

Il primo testo che Mejerchol’d sottopose all’attenzione della compagnia del Teatro Studio fu La morte di Tintagiles di Maeterlinck la cui stilizzazione prese il nome di «uslovnyi teatr», «teatro convenzionale». Il progetto di tale allestimento è il manifesto del teatro simbolista mejercholdiano: fondali bidimensionali decorati dalla recitazione rigida e antinaturalistica degli attori, i cui movimenti altro non dovevano essere che la traduzione in gesto della struttura ritmica di una partitura musicale originale, pensata ad hoc per lo spettacolo.

I moti rivoluzionari del 1905, nonché l’avversità di Stanislavskij alla condotta artistica di Mejerchol’d, portarono all’annientamento dei progetti del Teatro Studio che non fu mai aperto al pubblico. La curiosità per l’ingegneria teatrale, la volontà di eliminazione della scatola panoramica, nonché la meccanizzazione della scena, derivano dal libro Die Schaubuhne der Zukunft (La scena dell’avvenire, 1905) di Fuchs, lettura decisiva per l’esperienza registica di Mejerchol’d.

L’anno successivo, Mejerchol’d ebbe finalmente l’occasione di vedere realizzate le sue messinscene simboliste gravide dei principi estetici elaborati nel periodo di sperimentazione presso il Teatro Studio: l’attrice Vera Fëdorovna Komissarževskaja propose al regista di assumere la direzione del nuovo Teatro Drammatico di Pietroburgo. La regia d’esordio dell’esperienza pietroburghese fu Hedda Gabler di Ibsen del 1906, primo vero esempio fattuale dei principi estetici del simbolismo mejercholdiano, con il monocromatismo della scenografia dipinta in bassorilievo e dei costumi, la restrizione del proscenio, la decorazione stilizzata in stile orientale e un movimento ritmico ascrivibile alla danzatrice Sada Yacco che suggeriva lo stato emotivo dei personaggi. Fin da questo spettacolo, la critica, ancora troppo legata alla concezione di un teatro d’attore, si scagliò furente contro l’operato del regista.

Due settimane dopo la messinscena di Hedda Gabler, fu rappresentata Suor Beatrice di Maeterlinck, uno spettacolo richiedente la partecipazione attiva del pubblico coinvolto in un rituale comunitario di matrice wagneriana. Qui, gli attori dovevano essere poco più che dei manichini con una dizione antipsicologica e una partitura gestuale ritmica, raggruppati in composizioni plastiche a creare dei tableaux vivants dal gusto preraffaellita. Quella stilizzazione voluta da Mejerchol’d affinché allo spettatore non rimanesse che un segno suggestivo di una spiritualità mai pienamente rappresentata, fu ancora una volta letta dai critici come un soffocamento eccessivo delle capacità attoriali dell’intera troupe e soprattutto della celeberrima e acclamatissima Komissarževskaja. L’attrice, lasciandosi convincere dalle osservazioni della critica, interruppe i rapporti col regista. Si chiuse così la fase simbolista di Mejerchol’d.

Mejerchol’d

V. Mejerchol’d, Suor Beatrice di M. Maeterlinck, Teatro Drammatico di Pietroburgo, 1906.

Nel 1908 il direttore dei Teatri Imperiali, V. Teljakovskij, scritturò Mejerchol’d come regista dell’Aleksandrinskii e del Mariinskij tra lo scalpore di quanti non ritenevano idonea una tale infusione di modernismo in un teatro ancora fortemente legato ai valori attorici ottocenteschi. In questo periodo, Mejerchol’d iniziò ad appassionarsi ai teatri giapponese e cinese, al Siglo de Oro spagnolo, al teatro francese seicentesco e alla Commedia dell’Arte. Sotto lo pseudonimo di Dottor Dappertutto, nel 1910 fondò il teatrino-studio Don Intermedij e vi diresse La sciarpa di Colombina, una cerimonia grottesca dai morbosi riferimenti alla Commedia dell’Arte.

Il credo teatrale di Mejerchol’d fu raccolto per la prima volta nel volume Sul teatro del 1913, qui il regista specificò che l’attore doveva possedere doti da ginnasta, ballerino, clown, per potersi muovere in uno spettacolo che anziché imitare la vita, avesse una vita propria ricolma di grottesco. Dopo la Rivoluzione d’ottobre, fu nominato direttore della sezione teatrale del TEO dal Commissario del popolo per l’istruzione. Accostatosi ai futuristi e in particolare a Majakovskij, nel 1918 mise in scena il Misterja-buf majakovskiano a Pietrogrado. Da allora, Mejerchol’d si convinse che il teatro dovesse diventare la tribuna politica del comunismo, annunciando l’Ottobre Teatrale.

L’impegno politico gli valse l’allontanamento dal TEO e l’attacco da parte dei funzionari ministeriali. Nel 1921, direttosi verso il costruttivismo, fondò la sua scuola che prese il nome di GVYRM nella quale i suoi allievi erano istruiti all’arte della Biomeccanica, estrema esaltazione delle possibilità plastiche e acrobatiche del corpo, risultato degli studi mejercholdiani sulle tecniche dei teatri orientali e della Commedia dell’Arte. Nel 1922 mise in scena lo spettacolo biomeccanico Le Cocu magnifique di Crommelynck, costruendo sul palcoscenico un’enorme impalcatura di scale e declivi da cui gli attori, in tuta da lavoro, eseguivano una sequenza sinfonica di esercizi e acrobazie immersi in una scena dalla tipica nudità costruttivista.

Mejerchol’d

Le Cocu magnifique di Mejerchol’d, 1922

Nel 1932 stava per concretizzarsi il progetto di un teatro-arena con soluzioni meccaniche d’avanguardia, un sogno che si interruppe per via dell’indebolimento del potere politico di Mejerchol’d che ciononostante continuò a detenere uno straordinario successo teatrale. Era il 1938, quando fu pubblicato il decreto con cui il Comitato per gli affari dell’Arte proibiva al regista, che stava tentando di mettere in scena testi sovietici, di proseguire la propria attività. Nel mentre, la stampa e gli organi politici russi continuarono a bersagliarlo con continui attacchi. La notte tra il 17 e il 18 giugno del 1939 fu arrestato.

Nulla più si seppe sulla sua fine. Misteriosa morte colse un genio coraggioso, esempio di virtù politica e di teatrale fervore: il rivoluzionario Vsevold Mejerchol’d.

 

 

Il Metodo delle azioni fisiche. Intervista a Carlos Maria Alsina

Il Metodo delle azioni fisiche. Intervista a Carlos Maria Alsina

«Questo è quanto facciamo ora: oggi leggiamo un nuovo dramma e domani lo stiamo già recitando. Cosa possiamo recitare? Nel testo si dice il signor X entra e trova la signora Y… Sai come si entra in una stanza? Allora fallo. Nel dramma, poniamo, si incontrano due vecchi amici. Sai come si incontrano i vecchi amici? […] Cogli il succo dei loro discorsi? Allora di’ questo succo. Conosci le parole? Non importa, usa le tue. […] Entriamo nel dramma in questa maniera perché è più facile controllare e dirigere il corpo rispetto alla mente, che è più capricciosa. […] la linea fisica del corpo evoca simultaneamente la linea interiore del personaggio. Questo metodo distrae l’attenzione dell’attore dai sentimenti, li lascia al subconscio, che è il solo a poterli controllare e dirigere nella maniera giusta»

Era il 1933 e Stanislavskij scriveva così cinque anni prima di morire. Era il nuovo metodo, il punto di arrivo del suo Sistema. Partendo dall’approccio finale di Stanislavskij, ma anche dalle intuizioni dell’ultimo Brecht, Carlos María Alsina indica un percorso di formazione dell’attore basato sul metodo delle azioni fisiche. Un percorso costruito attraverso un’elaborazione concettuale profonda, che si esprime però in modo diretto ed empatico attraverso il racconto di esempi pratici e concreti tratti dalle lezioni e dalle prove teatrali realizzate dall’autore.

Carlos Maria Alsina, argentino, autore, regista, attore teatrale e didatta. Quali sono stati gli incontri determinati per il suo percorso artistico?

È bene che io faccia una premessa: è necessario separare con precisione l’esperienza personale artistica dall’esperienza pedagogica, dal momento che si tratta di due campi differenti. Io potrei essere un insegnante eccellente e un pessimo regista, o al contrario. Sono convinto che nessuno può insegnare a creare. E questa considerazione è molto importante nel campo che ci riguarda, ossia quello della pedagogia, perché quello che è importante è la capacità di dimostrare l’applicazione di un procedimento tecnico, descrivendo i suoi passaggi successivi nel modo più obbiettivo possibile. Non si tratta dunque di trasmettere un’esperienza di vita artistica personale. Questo è accessorio nella pedagogia teatrale, anche se può aiutare. Si tratta invece di trasmettere una tecnica verificabile che faciliti l’apertura di ”porte creative” negli studenti. Nessuno crea con la volontà. Il momento creativo si incontra e appare improvvisamente. La questione è chiedersi (e dimostrare) quali sono gli elementi tecnici necessari da mettere in gioco affinchè questa creatività abbia possibilità di apparire. La tecnica, o un metodo nell’arte, sono sempre mezzi, strumenti perchè la creazione, a seconda del talento di ognuno, possa arrivare oppure no. Io posso insegnare a fondere il bronzo ma non posso insegnare ad un altro a fare una bella statua. Quello che deve avere questa statua è la solidità necessaria per non cadere e questo lo può offrire il “come” la si costruisce. Dal punto di vista pedagogico la mia formazione si è sviluppata attraverso la profonda investigazione dell’ultimo periodo stanislavskijano, e il metodo delle azioni fisiche (1928- 1938), che provocano un ribaltamento copernicano nella teoria della recitazione di Stanislavskij. Durante i miei studi poi al Berliner Ensemble tra il 1988 ed il 1989, sono riuscito ad incontrare i punti di contatto tra il Metodo delle Azioni fisiche e le osservazioni sul lavoro dell’attore, realizzate da Brecht alla fine della sua vita e che si riflettono nella messa in scena de “il cerchio di gesso del Caucaso”. Dal punto di vista artistico sono molte le influenze ricevute. Quelle fondamentali arrivano da Checov e da Shakespeare. Sono due autori, che in qualche modo, strutturano il teatro occidentale.

Partendo dall’approccio finale di Stanislavskij, ma anche dalle intuizioni dell’ultimo Brecht, hai esplorato un percorso di formazione dell’attore basato sul metodo delle azioni fisiche. Ci parleresti di questo metodo e delle sue implicazioni?

Il Metodo delle Azioni fisiche provoca una rivoluzione nella storia della tecnica attorale, dal momento che ci permette di comprendere quale sia la specificità del lavoro dell’attore che in questo modo può lavorare rispettando la sua condizione di essere umano che ha la più assoluta libertà di esprimersi. Lo chiamiamo attore perché sa eseguire delle azioni. E’ per questo che non si chiama oratore, o avvocato o ballerino. È necessario definire, dunque che cosa si intende per azione e che differenza c’è tra l’azione ed il movimento. Il Metodo delle Azioni fisiche fa sì che l’attore, in relazione con gli altri, con l’ambiente che lo circonda o con i conflitti interni del suo personaggio, sia un creatore di totalità, per meglio dire costruisca fatti che prima non esistevano. E inoltre, che questi fatti posseggano determinati elementi tecnici relazionati dialetticamente tra di loro. In questo modo l’attore riuscirà ad oggettivarsi liberamente nella situazione teatrale, essendo il suo creatore e non soltanto un interprete della volontà di un regista. L’importanza di chi si oppone agli obbiettivi di un personaggio, diventa fondamentale, perché da quella lotta si troverà la sintesi. La filosofia che sta alla base de il Metodo delle Azioni fisiche è la logica dialettica. Da lì nasce l’interesse di Brecht per questo modo di lavorare dell’attore pensata da Stanislavskij nell’ultimo periodo della sua vita, perché sintetizzava quello che lui stesso (Brecht) pensava dovesse essere il lavoro dell’attore che abbandonava la concezione essenziale e formale del primo periodo di Stanislavskij (il metodo più diffuso) e che potremmo chiamare come metodo della memoria emotiva

Attualmente svolge la sua attività nel Teatro Indipendente El Pulmón in Argentina, continuando a lavorare anche in Europa e in particolar modo in Italia. Com’è nato il legame con il nostro Paese?

È nata attraverso Dario Fo, che ho conosciuto durante la mia permanenza di studio al Berlin Ensamble. Dario era venuto a Berlino a vedere la prima di una sua opera e li ci siamo conosciuti. Mi aveva interessato il suo teatro e alcuni mesi dopo, gli chiesi se potevo assistere ad alcune sue prove, per studiare la relazione tra i personaggi delle sue opere e la commedia dell’arte. Lui molto generosamente accettò la mia proposta e così mi sono trasferito a Milano. Dopo aver dato alcuni seminari con il metodo che insegnavo ed insegno, il mio lavoro ha iniziato a svilupparsi anche in Italia. Sono arrivato in Italia la prima volta nel 1990. Da allora ho sempre lavorato in Italia continuando però anche a lavorare in Argentina, in America Latina ed in Europa.

Da ottobre 2018 a maggio 2019 ripartiranno anche quest’anno i tuoi laboratori a Milano. Qual è il percorso didattico proposto e quali sono gli obiettivi del laboratorio?

Il percorso didattico è il seguente: 1) descrizione teorica e applicazione pratica dei fondamenti del Metodo delle Azioni fisiche. Elementi della situazione teatrale, definizione e classificazione delle stesse relazioni tra gli elementi e incorporazione del testo 2) il teatro di Tennessee Williams, dal momento che affrontare questo autore mi permette dimostrare come sia possibile costruire un’emozione scenica “senza” partire dall’esperienza personale o memoria emotiva 3) Autori del 900 con i quali si può spiegare l’applicazione dell’azione fisica, come creatrice/costruttrice di diversi generi teatrali e non solo del realismo. 4) il teatro di Anton Cechov che ci fa comprendere più precisamente, la specificità del lavoro dell’attore dal momento che in Cechov i personaggi “non dicono” facilmente quello che desiderano 5) il teatro di William Shakespeare perché ci mette di fronte alla sfida di lavorare con la parola poetica ma in un modo per nulla retorico o impostato. Semmai tutto il contrario, la sfida è quella di dare a quella parola, corpo e passione 6) il teatro di Bertolt Brecht, perché rappresenta un momento di passaggio che cerca di rompere con la concezione aristotelica del teatro, e mette l’attore di fronte a nuove sfide, che consistono nel rifiutare il comportamento considerato abitualmente normale dalla cultura borghese e per il teatro realista del dramma borghese. Si tratta di spiegare un nuovo tipo di realismo, che possiamo definire realismo dialettico. L’obbiettivo generale di questo percorso, è dare all’attore tecniche che, a seconda della condizioni imposte dalla costruzione di differenti generi o stili teatrali, gli permetta di esprimersi sempre con libertà e come proprietario della totalità del suo atto creativo.

A chi si rivolgono i suoi seminari e cosa sente di consigliare a chi ha intrapreso da poco questo percorso?

I miei seminari sono diretti a quelle persone che desiderano comprendere, in modo concreto e con il minor livello di generalizzazione e astrazione possibile, quali sono gli strumenti necessari per esercitare l’arte dell’attore in modo libero e cosciente. A questo cammino possono partecipare persone che si avvicinano per la prima volta alla recitazione, così come persone che hanno già esperienze e che hanno studiato altre tecniche teatrali.

MAGGIORI INFO SUI SEMINARI > https://www.facebook.com/events/711157195944012/