Un laboratorio di esperienze. Simone Perinelli racconta Lavoratorio

Un laboratorio di esperienze. Simone Perinelli racconta Lavoratorio

Come in un laboratorio artigianale, durante il percorso di perfezionamento professionale Lavoratorio la trasmissione delle competenze avviene in maniera diretta. Le tecniche e i saperi dell’arte teatrale muovono da un corpo all’altro, da una mente all’altra, producendo un perpetuo rigenerarsi di pratiche e forme.

Tali pratiche, non guardano però alla creazione in un senso unicamente artistico, ma investono l’ambito lavorativo abbracciando l’intera macchina produttiva, approfondendone ogni aspetto ideativo e operativo. In questo processo, gli allievi e le allieve che partecipano a Lavoratorio sono coinvolti nella creazione di uno spettacolo teatrale tout-court, configurandosi come compagnia professionale al cui interno vi siano competenze trasversali. L’Accademia d’Arte drammatica Cassiopea di Roma, intende, attraverso questo progetto, investire sul centramento professionale dei suoi attori e delle sue attrici, consentendo loro di immettersi nel mondo del lavoro in maniera autonoma, avendo esperito esperienze di tipo artistico e manageriale.

Simone Perinelli, autore e attore della compagnia Leviedelfool, docente dell’Accademia Cassiopea e direttore artistico del progetto, racconta nascita e sviluppo di Lavoratorio

Insieme al corpo docenti e alla direzione artistica dell’Accademia d’Arte drammatica Cassiopea hai dato vita al progetto Lavoratorio. Come nasce l’idea di questo percorso?

Lavoratorio nasce dalla volontà di trasmettere delle pratiche teatrali in ambito lavorativo. La scelta del nome del progetto deriva proprio da questo.
Stiamo tentando di utilizzare la scuola, con tutte le sue cattedre, facoltà e competenze, come fosse un centro di produzione. L’obiettivo è che gli allievi del Lavoratorio inizino a interfacciarsi con il teatro soprattutto in ottica di un lavoro autonomo.

Il progetto è sperimentale, per cui non possiamo garantirne gli esiti, ma l’idea è quella di formare una compagnia professionale con gli allievi del terzo anno dell’accademia, al cui interno operino varie competenze. Lavoratorio sfocerà in uno spettacolo che parte da una drammaturgia originale, scritta in sala attraverso un lavoro di improvvisazione e scrittura scenica; da una lunga ricerca effettuata per la scelta di un tema e dalla creazione di un immaginario collettivo, che interessi tutti gli allievi che lavorano al progetto.

Lavoratorio vuole tradursi in una pratica che consenta a giovani artiste e artisti di accedere e muoversi sul mercato del lavoro in maniera autonoma e indipendente. Secondo la tua esperienza di artista, quanto conta ricevere già al termine del percorso accademico una formazione che vada in questa direzione?

Sono convinto che gli allievi e le allieve abbiano intuito la grande opportunità che Lavoratorio rappresenta. È un percorso che avrei seguito volentieri durante la mia formazione.
Il progetto nasce anche per combattere il disorientamento che la fine di un percorso accademico tipicamente produce, e durante il quale molto tempo viene speso nella ricerca di una propria metodologia di lavoro.
In questo modo, invece, i ragazzi hanno la possibilità di mettere a frutto immediatamente un percorso di cui hanno già conosciuto la varietà.

La caratteristica principale di Lavoratorio non risiede nella creazione di uno spettacolo finale, quanto nella facoltà di utilizzare questa esperienza formativa in futuro, esperendo nuovamente qualcosa di cui si conoscano già le tappe. Lavoratorio funziona come l’atto di trasmissione di un lavoro artigianale. Mi pongo con i partecipanti non come un regista ma come un artigiano che effettua un passaggio di nozioni ed esperienze. Usciti dal terzo anno, nella confusione dei  molteplici modi di trasformare la bellezza, avranno un metodo di partenza che speriamo diventi soggettivo col tempo. 

Come si struttura da un punto di vista artistico e didattico il progetto Lavoratorio?

Lavoratorio si avvale del supporto dei docenti di Cassiopea che, durante l’anno accademico, dedicano parte delle proprie lezione a questo progetto. Una volta che gli allievi hanno strutturato un’idea artistica, le cattedre di drammaturgia, regia, trucco, light design, costume, drammaturgia, critica, organizzazione ne incrementano la pratica in modo che gli allievi possano imparare a portare avanti il lavoro previsto per la creazione spettacolare in completa autonomia.

Quali sono stati gli step creativi e come il gruppo di lavoro ha reagito alla realizzazione di questo progetto?

Il lavoro è diviso in fasi: vi è un lungo periodo di ideazione in cui si sviluppa il tipo di spettacolo che si vuole creare a partire da una materia inerte. Gli allievi e le allieve non hanno una base di partenza, iniziano a ideare e poi a progettare. Intervengono quindi i docenti di organizzazione dello spettacolo, in modo che insieme all’idea artistica vengano acquisite le informazioni per scrivere un progetto o per partecipare a dei bandi.
Il teatro richiede delle competenze che sono indirizzate verso la figura del teatrante, cioè di chi si occupa dello spettacolo in maniera totale, non intervenendo solo sui coefficienti artistici ma anche in ottica manageriale. Gli allievi escono da Lavoratorio con uno spettacolo ideato e creato interamente da loro, per il quale individuano anche una progettualità futura in maniera totalmente autonoma.

L’esito di un progetto come il Lavoratorio non può prescindere dall’umanità che sta abitando il percorso. Per questo motivo, può portare quindi con sé anche il germe del fallimento, che è assolutamente compatibile con l’orizzonte pedagogico.
Durante la fase ideativa c’è stato gran fermento, procedendo con il lavoro sono sopraggiunti momenti di crisi, com’è tipico del lavoro artistico. L’impasse è stata superata attraverso la struttura che il gruppo è riuscito a dare al progetto. Insieme siamo riusciti a capire come, mediante un’intelligenza collettiva, trasformare la frustrazione e l’inciampo in qualcosa che possa arricchire questo percorso.

Cosa puoi raccontarci dello spettacolo creato dalla compagnia nata in seno a Lavoratorio?

Stiamo lavorando su una sorta di scuola delle anime, queste vengono addestrate alla vita in società. Stiamo ripercorrendo il periodo dell’infanzia e il momento della scolarizzazione, intercettando il momento in cui gli infanti vengono plasmati per diventare degli ottimi cittadini nella società contemporanea. L’obiettivo è mostrare quale sia il passaggio che conduce alla nascita dell’”uomo perfetto” del 2021, guardando a chi eravamo e a chi diventeremo. La domanda sottesa allo spettacolo riguarda la proiezione di ciò che potremmo essere, seguendo canoni diversi da quelli richiesti oggi dalla società. 
Si tratta di un lavoro sul microcosmo composto da personaggi che impersonificano l’umanità. Stiamo lavorando con il concetto di “suono del tempo”: in scena potrebbe essere presente un grande orologio, il cui ticchettio scandirà lo svolgimento della vita di queste anime che, da potenziale tutto, devono diventare qualcosa effettuando delle scelte.

L’attore autore, laboratorio online di scrittura con Simone Perinelli

L’attore autore, laboratorio online di scrittura con Simone Perinelli

L’Accademia d’Arte Drammatica Cassiopea organizza un laboratorio di scrittura rivolto alla figura dell’attore/autore che attraverso un lavoro di creazione a partire dai progetti in cantiere dei partecipanti, siano essi in forma di idee o progetti già in stato avanzato, accompagna il lavoro nelle fasi di ideazione e di scrittura verso la progettazione che precede la messa in prova nello spazio scenico. La partecipazione è libera; per coloro che non abbiano seguito il primo step del corso è richiesto come unico requisito di portare un’idea di progetto di scrittura da sviluppare.

INCONTRO GRATUITO DI PRESENTAZIONE: 15 febbraio, ore 18.00 

Il percorso didattico/formativo

Il laboratorio avrà quindi come oggetto l’incontro con la scrittura teatrale come mezzo per affrontare il lavoro attoriale e quello registico, e l’obiettivo di consolidare l’aspetto drammaturgico della propria opera in cantiere.

Ogni partecipante lavorerà creativamente e in maniera attiva a tutti i progetti con la possibilità di esplorare i diversi processi creativi messi in gioco facendo esperienza del lavoro di gruppo nella ricerca di un metodo che consenta di trasformare l’idea in opera.

Scopo del laboratorio sarà quello di arrivare a testi teatrali finiti accompagnati dai relativi progetti di regia.

Al termine del percorso, su richiesta, sarà rilasciato un Attestato di frequenza.

Per maggiori informazioni e per iscriversi consultare il sito https://cassiopeateatro.org/content/lattore-autore

Biografia Leviedelfool

LEVIEDELFOOL è una compagnia teatrale fondata nel 2010 a Roma che vive del lavoro di e dei progetti artistici di Isabella Rotolo e di Simone Perinelli e della collaborazione con diversi artisti che lavorano alle singole produzioni della compagnia.
Leviedelfool rappresenta i propri spettacoli in Italia e all’estero lavorando su drammaturgie originali e focalizzando il proprio percorso sui possibili nuovi linguaggi del teatro contemporaneo.
Sede della compagnia è il Teatro Comunale di Calcata dove la compagnia ha creato nel 2012 il CALCATA TEATRO LAB, laboratorio permanente per le arti sceniche, e dove organizza incontri e workshop. Oltre al progetto di formazione, la compagnia si occupa di creare occasioni formative e creative attraverso workshop attoriali, di drammaturgia e incontri con il pubblico, al fine di proporre un nuovo tipo di rapporto tra pubblico e artista che permetta di abbattere le distanze e i ruoli e che non riduca l’espressione artistica teatrale alla mera rappresentazione di uno spettacolo, creando occasioni di dialogo aperto e scambio di competenze, esperienze e conoscenze. Nel 2010 la compagnia inizia un percorso di ricerca sul tema “Esistenza”, nato da una riflessione sull’opera e il pensiero di Albert Camus, che ha portato alla creazione della Trilogia dell’Essere, composta dai tre monologhi REQUIEM FOR PINOCCHIO (Premio Anteprima 2012, Premio Bianco e Nero della Civica Accademia di Arte Drammatica Nico Pepe 2012 e sostenuto da Concentrica), MACARON (Finalista Intransito 2013) e LUNA PARK (Finalista In-Box 2016 e Premio della Giuria popolare under 30 della selezione ‘In-Box Millennials’), presenti in molti teatri e festival di teatro contemporaneo in Italia (tra i più importanti ERA Festival, Teatri di Vetro, Trasparenze, Collinarea, Terreni Creativi) e all’estero a Oradea in Romania al Gala Trafcantului de Cultura International.
Nel 2012 la compagnia viene chiamata a far parte del progetto biennale “Scendere da cavallo” indetto dalla Fondazione Pontedera Teatro, il quale si è concluso a giugno 2014 con lo spettacolo collettivo “Era delle Cadute”, presentato all’interno del festival Fabbrica Europa 2014.
Dal 2013 la compagnia organizza a Calcata ITINERARIA FESTIVAL – Arti Sceniche in Transito, festival itinerante che, partendo da Calcata, trova durante l’anno altre tappe nel Comune di Modugno (BA) e nel Comune di Sarzana.
Nel 2014 la compagnia è stata coinvolta nel progetto InArea, organizzato all’interno del Festival Collinarea. Progetto formativo con esito finale che ha visto coinvolte più compagnie con lo scopo di creare nell’arco di cinque giorni un evento spettacolare di chiusura del festival con i partecipanti al laboratorio. Il progetto formativo è stato poi declinato nel progetto RITO con la stessa formula e replicato all’interno dei festival Trasparenze, Collinarea e Itineraria nel 2015.
Nel 2014 la compagnia ha partecipato al progetto della compagnia Biancofango ROMEO E GIULIETTA – Ovvero la perdita dei padri. prove di drammaturgia dello sport con gli adolescenti al Teatro di Roma con, percorso formativo della durata di un anno che ha portato alla messa in scena di uno spettacolo che ha debuttato al Teatro India e ha coinvolto 13 adolescenti (17/20 anni).
Nel 2014 la compagnia ha lavorato a MADE IN CHINA – Postcards from Van Gogh, spettacolo prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana, che ha debuttato nell’autunno 2015 al Teatro ERA ed è stato rappresentato tra l’altro a Roma al Teatro Vascello all’interno del festival Teatri di Vetro 9, a Modena al Teatro dei Segni per Trasparenze, a Firenze al Cantiere Florida e al Teatro della Pergola. Nel 2015 la compagnia viene selezionata tra le 100 eccellenze creative del Lazio e inserita nella sezione Teatro della pubblicazione LAZIO CREATIVO -100 storie di creatività curata da Giorgio Nisini e Graziano Graziani.
Dal 2015 la compagnia tiene laboratori intensivi di drammaturgia della scena in tutt’Italia.
Nel 2016 la compagnia lavora al progetto HERETICO – Dopo questo apparente nulla, prodotto da Gli Scarti, in coproduzione con Armunia, Fabbrica Europa e Triangolo Scaleno Teatro / Teatri di Vetro, e con il sostegno di PimOFF, Teatro Era – CSRT, Straligut Teatro, NTC Nuovo Teatro delle Commedie, e che ha debuttato nell’autunno del 2017 ed è stato presentato in molti festival e teatri di spicco tra cui il Festival Città delle 100 scale, FabbricaEuropa, Teatri di Vetro, Armunia, al Teatro India di Roma, al Teatro Era di Pontedera e al Teatro della Tosse di Genova. HERETICO viene poi rappresentato al Kilowatt Festival di Sansepolcro dove ha vinto il bando Italia dei Visionari 2018 e al Festival Mirabilia di Fossano dove vince il premio miglior spettacolo dell’edizione 2019.
Nel 2018 la compagnia lavora a YORICK – Un Amleto dal sottosuolo, coprodotto da Leviedelfool con la Fondazione Teatro della Toscana. Lo spettacolo ha debuttato il 13 ottobre al Teatro Era di Pontedera ed è stato poi presentato al Teatro Studio di Scandicci, al Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno e Roma al Teatro India per Teatri di Vetro per poi essere presentato nella sua versione definitiva YORICK [reloaded] al Festival Inequilibrio a Castiglioncello, al Teatro del Giglio di Lucca e al Kilowatt Festival di Sansepolcro dove ha vinto il bando Italia dei Visionari 2019.

DRAMMATURGIA: Made in China postcard from Van Gogh di Leviedelfool

DRAMMATURGIA: Made in China postcard from Van Gogh di Leviedelfool

Introduzione al testo

Una cartolina dall’Olanda: saluti da Parigi! Sotto: una foto di Hong Kong. Ecco il cortocircuito che prende vita e nella mente trasforma per qualche secondo un ombrellino cinese in un girasole in pieno stile “Van Gogh”. Due universi molto distanti, eppure vicino Hong Kong esistono fabbriche a cielo aperto interamente dedicate alla riproduzione di opere d’arte destinate al merchandising dei Musei.

Tra le opere più gettonate La Gioconda di Leonardo da Vinci e Dodici girasoli in un vaso di Vincent Van Gogh. Van Gogh, l’artista/operaio (846 tele, 1000 disegni, 821 lettere), e l’operaio/artista impiegato a Shenzhen. Da una parte il genio, la follia, il caso. Dall’altra la ricerca di un metodo infallibile per riprodurre miracoli su richiesta. Entrambi specializzati in girasoli ma scommettendo su destini diversi. Uno spettacolo su Van Gogh, ma soprattutto per Van Gogh.

Note degli autori

Lo spettacolo si svilupperà attraverso quadri, il cui flusso verrà interrotto da episodi a sé stanti che si esauriscono nel loro stesso compiersi. La ricerca scenica punterà a trovare delle note nuove circa il lavoro attoriale a due, cercando di contrastare quelle che sono le garanzie, ma anche i cliché, del rapporto uomo-donna sulla scena. Lo stile del tutto sarà suggerito dal titolo dello spettacolo. Richiamerà quell’universo kitsch ed effimero proprio dell’oggetto cinese a basso costo.

Un lavoro attoriale a due su una drammaturgia originale fortemente condizionata dall’opera del pittore olandese. La produzione pittorica, quella letteraria: le lettere a Theo, ma soprattutto quelle a Emile Bernard e alla sorella Wilhelmina. Il lavoro nasce da un’attenzione meticolosa ai dettagli degli ultimi quadri, quelli dipinti durante il periodo di maggiore agitazione psicotica. Proprio da quei dettagli il testo prende vita e scorre attraverso suggestioni e richiami a quattro dipinti scelti: “autoritratto con orecchio bendato”, “la sedia vuota”, “la notte stellata”, “la camera di Vincent ad Arles”.

LEGGI > MADE IN CHINA di Leviedelfool

Biografia Leviedelfool

Leviedelfool è una compagnia teatrale fondata nel 2010 a Roma che vive del lavoro e dei progetti artistici di Isabella Rotolo e di Simone Perinelli e della collaborazione con diversi artisti che lavorano alle singole produzioni della compagnia. Leviedelfool rappresenta i propri spettacoli in Italia e all’estero lavorando su drammaturgie originali e focalizzando il proprio percorso sui possibili nuovi linguaggi del teatro contemporaneo. Sede della compagnia è il Teatro Comunale di Calcata dove la compagnia ha creato nel 2012 il CALCATA TEATRO LAB, laboratorio permanente per le arti sceniche, e dove organizza incontri e workshop.

Oltre al progetto di formazione, la compagnia si occupa di creare occasioni formative e creative attraverso workshop attoriali, di drammaturgia e incontri con il pubblico, al fine di proporre un nuovo tipo di rapporto tra pubblico e artista che permetta di abbattere le distanze e i ruoli e che non riduca l’espressione artistica teatrale alla mera rappresentazione di uno spettacolo, creando occasioni di dialogo aperto e scambio di competenze, esperienze e conoscenze.

Il Pinocchio de Leviedelfool. Un Requiem per il teatro: Intervista a Simone Perinelli e Isabella Rotolo

Il Pinocchio de Leviedelfool. Un Requiem per il teatro: Intervista a Simone Perinelli e Isabella Rotolo

Requiem for Pinocchio
Requiem for Pinocchio – Ph Manuela Giusto

Quando Requiem for Pinocchio è andato in scena sul palco del Thesorieri di Cannara, aprendo le danze di Strabismi Festival 2020, il teatro fronteggiava la ripresa, proponendo lo spettacolo dal vivo in sicurezza. Per l’alto senso di responsabilità che ha contraddistinto il lavoro degli organizzatori e delle organizzatrici della rassegna; per la solerzia di un pubblico che ha reso quel teatro un presidio d’arte e coscienza.

A poche settimane dalla conclusione del festival, il settore dello spettacolo dal vivo si trova nuovamente risucchiato in una bolla apocalittica che lo fa implodere in sé stesso. Nella nube di detriti che si leva da quest’ennesimo incendio d’intenzioni, finisce la vita di quanti hanno fatto dell’arte la propria professione, il proprio sostentamento.

Ecco che il Requiem non è più la funzione di congedo di un Pinocchio che, nell’imposizione del tramutarsi umano, rinuncia alla libertà d’essere ciò che desidera. Requiem è l’atto finale di un rito che, soffocato dal terreno umido della manovra politica che ne cosparge il capo, grida, a sordi orecchi, la necessità della propria funzione.

Con Requiem for Pinocchio, spettacolo del 2012, che, a otto anni dalla sua creazione, è capace ancora di innescare una riflessione archetipa sulla crudeltà dell’esistenza, della manipolazione imposta dalla società, della violenza del lavoro, Leviedelfool, compagnia romana formata da Isabella Rotolo e Simone Perinelli, intavola un discorso sul mito che parla di tutti noi. Perinelli, marionetta in Converse e calzoncini, continuamente rovescia i punti fermi di un racconto che viene scardinato e attualizzato con la lucidità propria dei bambini.

La favola che si fa manifesto pop, tra citazioni musicali e una partitura gestuale che trasforma Pinocchio in un “atleta del cuore” di artaudiana memoria, porta in scena una vita presa a frustate, catturata e poi condotta sulla strada della costrizione sociale.

In questa intervista Simone Perinelli e Isabella Rotolo approfondiscono la linea estetica de Leviedelfool, analizzando le tematiche e i metodi di creazione del loro Requiem for Pinocchio.

Requiem for Pinocchio è uno spettacolo che circuita da 8 anni, come è cambiato nel tempo, su cosa avete continuato a lavorare? 

Simone Perinelli: I piani sono tanti e diversi, uno è sicuramente quello contemporaneo del mondo del lavoro in cui Pinocchio si destreggia . Ci serviamo di alcune critiche, di questo mettere in vetrina alcuni aspetti negativi del nostro quotidiano, per portare avanti una storia che ha a che fare con Pinocchio ma, soprattutto, con l’urgenza. Lo spettacolo cavalca delle tematiche trovando sempre la stessa forza interiore e la stessa risposta nel pubblico, forse perché tocchiamo delle corde universali.

Quel che è certamente cambiato è la nostra percezione: le tante repliche che si sono succedute negli anni ci hanno fornito tante chiavi di lettura che inizialmente non avevamo neanche individuato, delle sfumature, dei fantasmi che si sono palesati. Ahimè le cose non sono cambiate molto da quando avevamo immaginato Requiem for Pinocchio e questa cosa è positiva, quanto negativa ma è un dato di fatto.

Approfondendo il tema del lavoro, qual è il valore di Requiem for Pinocchio oggi rispetto alla scoperchiata questione delle lavoratrici dei lavoratori dello spettacolo dal vivo?

SP: Durante la quarantena sono rimasto in contatto con tanti colleghi che fanno questo mestiere da tanti anni e c’è stato anche chi non è riuscito a sopravvivere alla chiusura. La lamentela era forte, alcuni hanno cercato lavori altri dovendo convertire il teatro da professione in passione. Un discorso del genere, portato avanti da professionisti, assume dei risvolti molto gravi. Mi risuona, a tal proposito, la scena del colloquio tra Pinocchio e il suo datore di lavoro, in cui Pinocchio dice: «Devo tornare alla missione, sono artista, fui Pinocchio».

C’è un forte nesso in ciò con il nostro spettacolo, con il tempo presente, perché innesca una riflessione sul tema della vocazione: che fine, oggi, la vocazione? Il lavoro d’artista è veramente una missione, non dà alternative, è un mestiere immenso portato avanti attraverso delle scelte difficili, ma che soprattutto ricadono su se stessi. A un certo punto i teatri chiudono, c’è una pandemia, tutto sembra andare in fumo. Ecco perché, parlando di Pinocchio il mio pensiero va alla vocazione degli artisti.

Come si è avviato, a livello drammaturgico, il rovesciamento dei personaggi e il loro posizionamento nella realtà contemporanea, attraverso l’individuazione dei tipi psicologici della nostra società? 

SP: Penso, ad esempio, alla fatina che abbiamo sottoposto a una lettura rivoluzionaria. Questo personaggio, che continuamente consiglia a Pinocchio di fare delle azioni che ne trasformino il sentire, la personalità, mi ha fatto pensare a tutta quella parte della società che nutre una fascinazione per la chirurgia estetica, per quella rinuncia all’autenticità volta abbracciare un’idea di sé, dettata da parametri imposti. Allora, mi sono chiesto, e se Pinocchio volesse essere semplicemente quello che è?

Nella fatina ho individuato il personaggio più negativo di tutta la storia, quasi più del gatto e la volpe, perché quella falsa bontà, che induce a subire un’imposizione esterna, sociale, è una menzogna dalla quale è difficile difendersi. In tutti i suoi incontri, Pinocchio rimane l’innocente deve destreggiarsi nel riconoscimento di tutto ciò che di negativo gli si manifesta intorno.

Geppetto è un uomo che usa le mani, lavora il legno, è un artigiano nel cuore, è l’aspetto veramente più umano della faccenda. Mi piaceva conferire a questo personaggio quella follia dell’eremita che, ritirandosi, crea un mondo parallelo. Stando lunghi periodi da soli, i pensieri assumono un’altra onda, è quella che Jung chiama “la vita in divenire”, quella fatta di pensiero, di immaginazione.

Isabella Rotolo: Il nostro Pinocchio è accompagnato da quattro adulti le cui azioni hanno a che fare con la manipolazione. Oltre alla fatina, abbiamo il datore di lavoro che è l’adulto che manipola in favore del sistema;Geppetto che pur di non manipolare si ritira; il giudice, l’adulto silente che guarda, ascolta ma che giudicherà quello che è stato fatto durante il viaggio; abbiamo invece salvato Lucignolo, trattandolo come un compagno di gioco, perchè è l’unico che veramente fa qualcosa insieme a Pinocchio, riscattando la grande solitudine, il senso d’abbandono del personaggio.

SP: Lucignolo è molto importante, è quell’amico vero che, pur rappresentando un esempio negativo, aiuta nell’individuazione, nell’accettazione del proprio daimon. Attraverso Lucignolo ritroviamo noi stessi.

Qual è stato il processo di costruzione della partitura fisica? In che modo il gesto si inserisce in quel sostrato di cultura pop che traslate sulla scena attraverso il portato testuale e la scelta musicale?

SP: Il lavoro fisico è stato importante fin dall’inizio. Appena è nato il testo, lo abbiamo portato sul palco. Essendo Pinocchio un impulso vitale, il movimento è stato la prima tappa di questo percorso. Puntiamo sul lavoro teatrale, sul fatto che la parola si manifesti per ultima, fuoriuscendo dal gesto come la lava fuoriesce da un vulcano. A livello di linguaggio, è questa la ricerca teatrale che portiamo avanti.

IR: Quando cerchiamo una partitura fisica per un personaggio, ci agganciamo innanzitutto a delle immagini: con Pinocchio per noi siamo partiti da quella di un carillon inceppato che, nel gesto, desse idea di una nevrosi data dall’impossibilità di essere quel pezzo di legno fantastico incastrato nel mondo reale. I suoi movimenti, i suoni che emette, le piccole risate, è come se contenessero il repertorio di azione che aveva imparato a fare nella fase intercorsa tra l’essere un pezzo di legno e la sua trasformazione marionetta. Come fosse l’evocazione del ricordo di ciò che era e di ciò che gli è stato negato.

Questa fisicità lignea è stata avanti anche in momenti come quello della corda o delle frustrate, che sono appunto molto fisici, e che ci sono serviti soprattutto a raccontare la crudeltà di questo mondo con un’azione decisa che andasse contro le parole. Nel saltare la corda, Pinocchio parla in versi, utilizzando un testo più poetico che accompagna un’azione quasi sportivo-agonistica che si fa metafora della fatica della vita.

Allo stesso modo, le frustrate, che si manifestano solo in un suono violento, hanno una ricaduta così fisica sul corpo di Pinocchio da riuscire a raccontare di più di qualcosa che, assecondando la didascalia, muove nella stessa direzione di ciò che viene proferito. Facciamo questa operazione per aprire i sensi, per capire quali visioni ulteriori possono nascere nell’incontro con lo spettatore.

Trattate la storia di Pinocchio come un archetipo, come materiale mitologico che si trasforma, facendosi strumento di lettura della realtà. Come cambia il mondo se viene visto con gli occhi di un bambino? In che modo, da adulti, avete scoperto o riacquisito questo sguardo?

SP: Ho sempre mantenuto uno sguardo ingenuo rispetto alla vita, trattenendo lo stupore per ciò che osservo. È qualcosa che consente di toccare un infinito, offrendo, allo stesso tempo, una grande ricchezza e una grande pena. Quando ho scritto Requiem for Pinocchio, lo sguardo del bambino mi ha aiutato a trovare visioni altre del mondo. Quello di Pinocchio è uno sguardo sull’esistenza. Quando, a 30 anni, ho riletto questo racconto mi sono davvero reso conto della mancanza del lieto fine e l’ho indagato, mantenendo quell’inclinazione ingenua dell’atto del guardare.

IR: Per quanto riguarda il discorso sul mito, cerchiamo proprio di lavorare in questa direzione. In particolare, su quella che poi abbiamo definito La trilogia dell’essere, siamo partiti da tre grandi archetipi: Pinocchio per raccontare la scoperta dell’esistenza; Ulisse per narrare la resistenza, attraverso il suo ritorno a Itaca; Don Chisciotte per affrontare quella che per noi era la soluzione esistenziale, una possibile risposta a tutte le grandi domande.

In generale, anche negli spettacoli più recenti, Yorick e Baccanti, per noi è molto importante l’aspetto del mito, proprio perché ci consente di scardinare il preconcetto che è legato a un archetipo. Assumere l’archetipo ci consente di trovare il senso profondo delle cose: ecco che Le avventure di Pinocchio diventano la scoperta dell’esistenza.

SP: Sono contento che tu abbia tirato fuori l’aspetto del mito, perché è importante rispetto al lavoro che facciamo a livello concettuale rispetto alla drammaturgia.

IR: Nel nostro Pinocchio il mito si intreccia con il mito pop: alla base vi è una modalità di stratificazione che non è semplice citazionismo. Quelle citazioni funzionano come delle scatole cinesi, si aprono porte che poi portano ad altre vie. Anche se non vengono colte singolarmente, nel loro complesso rappresentano un filo che permette di seguire la storia. Pinocchio è il nostro manifesto pop.

SP: Pinocchio, in primis, è un animale di scena, un animale da palco. Il mio paese dei balocchi si ispira a lui: è un palco su cui posso essere libero di fare il teatro che voglio.

Il terzo week-end di “Piccoli comuni incontrano la cultura” tra musica e teatro

Il terzo week-end di “Piccoli comuni incontrano la cultura” tra musica e teatro

La chitarra tra sogno e gioia - Conservatorio Santa Cecilia di Roma
La chitarra tra sogno e gioia – Conservatorio Santa Cecilia di Roma

Per il terzo week-end di programmazione della Rassegna Piccoli comuni incontrano la cultura, Atcl Lazio e Regione Lazio, invitano a visitare le province di Roma e Viterbo per due imperdibili serate di musica e teatro.

La chitarra tra sogno e gioia a Poli (RM)

Si inizierà venerdì 18 ottobre alle ore 21:00, presso la Chiesa di San Pietro Apostolo a Poli (RM), con La chitarra tra sogno e gioia: gli studenti laureandi presso il Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, ci condurranno in un percorso onirico e gioioso, proponendo brani di Bach, Haendel, Pachelbel, Vivaldi, Giuliani, in un tripudio di energia benefica. Sognare e gioire della Musica, suonata in quest’occasione da quattro dolcissime chitarre può aiutare a vivere un’esperienza meravigliosa, rilassante e rigenerante.

Requiem for Pinocchio a Vallerano (VT)

Requiem for Pinocchio - Leviedelfool

Sabato 19 ottobre, alle ore 19:00, presso la Sala Otello Benedetti di Vallerano (VT), si terrà lo spettacolo Requiem for Pinocchio della compagnia Leviedelfool. Simone Perinelli, attore e regista, racconta l’attualità attraverso la favola per bambini più famosa del mondo:

Nel dare voce al famoso burattino, abbiamo lavorato cercando di immaginare un possibile percorso che desse un seguito alla favola stessa raccontando la vita che Pinocchio “vivrà” nel mondo reale. Pinocchio diventa così un pretesto, uno sguardo preso in prestito dal quale osservare con occhio limpido, infantile e ribelle il mondo che ci circonda e la vita che affrontiamo quotidianamente.

Così ci siamo concessi questa chiave di lettura per andare più a fondo nell’affrontare le tematiche del lavoro totalizzante e precario, dell’emancipazione, della mercificazione del tempo e dell’essere, dell’anestesia dei sogni e del consumismo di ennesima generazione per operare un’analisi attenta e reattiva rispetto ad un quesito significativo della vita: cosa significhi essere umano. Il burattino diventato umano suo malgrado si stacca dalla classica messa in scena del testo di Collodi, per destreggiarsi nel nostro mondo dove la favola non è che un lontano ricordo, una delle tante versioni dei fatti.