da Redazione Theatron 2.0 | 25 Set 2018 | Uncategorized
Sarah Biacchi, attrice soprano e regista, dal 16 al 28 ottobre 2018 nell’ambito del Prologo di Stagione Eliseo OFF, curerà la regia di HAMLETAS, un Amleto di Shakespeare tutto al femminile del classico shakespeariano, con un cast di altissimo livello composto da Francesca Ciocchetti, Galatea Ranzi, Ludovica Modugno, Debora Zuin, Federica Sandrini, Elena Aimone, Serena Mattace Raso, Caterina Gramaglia, Tullia Daniele, Diletta Acquaviva; aiuto regia Solimano Pontarollo. (Eliseo Off – Foyer II balconata – Tutti giorni, lunedì escluso ore 20.30).
Dieci attrici incarnano Amleto di Shakespeare; una piccola rivoluzione che capovolge il teatro precedente la Riforma, dove i ruoli femminili erano interpretati esclusivamente da uomini. È il viaggio di un’anima (Amleto), scolpito per la prima volta nel corpo di Francesca Ciocchetti, accompagnata da un solido gruppo di interpreti prestigiose. Una lettura registica “animica” dove il genere diventa importante per scorrere dentro le vene di una storia con un disegno predestinato.
“Essere pronti è tutto, dice Amleto. Rispondiamo alla chiamata come artiste, come creatrici, come donne. Siamo pronte, nel 2018, ad accettare la sfida” afferma la regista Sarah Biacchi, che racconta la lotta fra l’essere e il non essere che ogni essere umano deve affrontare, senza domandarsi se sia uomo o donna: semplicemente spirito. L’incontro fra aldilà, presenze intermedie e vita terrena si manifesta per risollevare, attraverso le labbra di chi non si sente in grado, un mondo “fuori sesto”.
Nella foto la regista Sarah Biacchi
Poco più di un anno fa il progetto HAMLETAS ha debuttato a Verona, presso Casa Shakespeare. “E’ un’idea che io definisco rivoluzionaria – dichiara Sarah Biacchi – perché per la prima volta in Italia viene proposto un testo di Shakespeare interamente interpretato da sole attrici donne di grande e riconosciuto talento, che interpretano indifferentemente i ruoli maschili e femminili. Ora siamo nel 2018, e siamo pronte a ribaltare la logica che governava i palcoscenici sino al 1670. Le donne oggi sono pronte a sostenere i ruoli maschili con classe, padronanza e senza stravolgere nulla. Basta il talento, la cosa che spesso viene accantonata”.
Il Teatro Eliseo, nell’ambito del Prologo di Stagione, ha deciso di produrre Hamletas come gesto di amore verso il teatro, le attrici, e l’uguaglianza di genere. Lo spettacolo nasce da un lungo percorso maturato nel tempo: “Oltre che attrice e regista io sono musicista – afferma Sarah Biacchi – una musicista innamorata dei grandi strumenti. Negli anni ho sofferto i tanti spettacoli visti sui nostri palcoscenici dove le attrici venivano utilizzate per suonare minuetti e valzerini, in un sacrificato contraltare a ruoli maschili smisurati. Ho visto artiste di immenso talento che avrebbero potuto suonare Wagner e Beethoven, per restare nella metafora, essere costrette a fare miracoli col solo uso delle loro corde. Il progetto Hamletas nasce dal mio amore per le interpreti fuoriclasse, che oggi hanno corde per interpretare molti più ruoli di quanti siano stati scritti loro. Voglio partire da Amleto perché per me è Alfa e Omega. Amleto rappresenta una certa qualità di anime che sono chiamate (“vocate”, appunto) a un compito esistenziale che condizionerà molte altre esistenze ad esse collegate. In un ipotetico viaggio dell’eroe, ad Amleto viene soprattutto richiesto di salvare un piccolo mondo individuale per salvare un’intera nazione, un’etica. E Amleto lo fa. Ma non con la spavalda incoscienza di Rinaldo o di Achille, ma con la disperata complessità della consapevolezza di essere incompleto, fallibile, imperfetto. Con la certezza di essere “nato sbagliato”, e quindi incomprensibilmente chiamato ad un compito più grande delle proprie possibilità. In questa fragilità, sta tutta la magnificenza di Amleto”.
Com’è avvenuta la scelta delle attrici? La regista Sarah Biacchi lo racconta così: “Amleto come lo conosciamo, in fondo è la storia di un’anima. Io ho cercato quest’anima, per qualche anno. E l’ho trovata fra i gesti di un’attrice di cui non posso fare altro che raccontare la caleidoscopica gamma espressiva, Francesca Ciocchetti. Accanto a lei ho immaginato una madre di altrettanta sensibilità: Galatea Ranzi. In lei vedo tutto quello che la contraddizione fra potere e disperazione può deflagrare in una disperata richiesta di accettazione, di necessità, di umanissimo attaccamento a ciò che ci tiene segregati qui, in questo luogo che non sappiamo perché costretti ad abitare. Nel corso di questo viaggio, ho incontrato poi un’artista che sembrava non solo un’ essere mitologico, ma un incrocio perfetto fra padronanza ed esplosione: Ludovica Modugno. Vicino a queste tre enormi figure ho incontrato su una scena napoletana una fragile anima anch’essa frantumabile, ma in pezzi più piccoli. Federica Sandrini. Poi dopo anni di stima brillante e sempre crescente ho scoperto che l’anima di Polonio si nasconde nel tono scanzonato, divertito e apparentemente rassicurante della pluripremiata Debora Zuin. A questo punto mi sono resa conto che anche le altre parti mi parlavano da anime femminili, da interpreti che da anni si sono distinte sulle nostre scene. Elena Aimone, Caterina Gramaglia, Francesca De Nicolais, Serena Mattace Raso, Tullia Daniele, Diletta Acquaviva. Tutte queste attrici strepitose hanno accettato di imbarcarsi in un’impresa enorme e rivoluzionaria: creare un gruppo di prime attrici, che collaborando raccontassero la storia di Amleto, un viaggio in cui dobbiamo e possiamo fare riconoscere lo spettatore, senza domandarci perché”.
Nella foto: Francesca Ciocchetti, Ludovica Modugno, Galatea Ranzi, Debora Zuin
Sarah Biacchi oltre che al Teatro Eliseo, sarà impegnata il 18 ottobre, all’interno della rassegna Shakespeare 2018 alla Cometa OFF, dove sarà Lady Macbeth in “Lady Macbeth Show”, affiancata dall’amichevole partecipazione di Roberto Ciufoli. In veste di attrice e soprano lirico spinto Sarah Biacchi passa dalle arie di Verdi agli immortali monologhi Shakespeariani fino ad arrivare ad una brillante intervista televisiva che Roberto Ciufoli, in un immaginario programma, conduce attraverso la vita dell’eroina shakesperiana più noir. Tutto il non detto viene affrontato, rivelato, scoperto, vissuto, trasformando Lady Macbeth in una diva con gli occhi bagnati per la telecamera, a metà fra un’assassina spietata ed arrivista e un’adolescente violata da un segreto più grande di lei. La regia è di Chiara Maione. “Lady Macbeth Show”, sarà in scena anche l’11 aprile al Teatro Flaiano, per la sua riapertura e a Torino al Teatro Nuovo a fine aprile.
Inoltre dal 19 novembre al 02 dicembre, Sarah Biacchi è Sharon Graham, attrice e soprano lirico spinto al fianco di Mascia Musy al Teatro della Cometa. Nella pièce Sharon sfida Maria Callas sul suo stesso terreno e cantando l’aria di “Lady Macbeth” si accorge, col cuore gonfio di amarezza, che la “Divina” da lei idealizzata ed amata è una donna incapace di donarsi ai propri allievi e che al talento artistico non ne corrisponde uno altrettanto forte umano. Coraggiosa e indomita, Sharon Graham fra le note di Verdi dice addio alla Callas che non riconosce, lasciandola sola coi suoi ricordi.
Inoltre nella prossima primavera – al Teatro Quirinetta – tornerà in scena “Edith”, lo spettacolo di teatro/musica – scritto e diretto da Davide Strava – che omaggia e rievoca il “passerotto di Francia” nel quale Sarah Biacchi interpreta Edith Piaf, accompagnata dal pianoforte di Alessandro Panatteri.
> INFO E PRENOTAZIONI HAMLETAS
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da Redazione Theatron 2.0 | 18 Lug 2017 | Uncategorized
Il 6 Agosto presso il Teatro del Satiro Off di Verona, andrà in scena Hamletas, primo studio dell’opera shakespiriana tutto al femminile (maggiori informazioni). Sarah Biacchi, regista e ideatrice del progetto, ci svela la genesi dello spettacolo e le scelte artistiche:
Ciao Sarah, iniziando da qualche nota sul tuo percorso artistico ci racconti come e quando nasce il progetto Hamletas?
È una buona idea partire dal mio percorso perché oltre che attrice e regista io sono musicista. Una musicista innamorata dei grandi strumenti. Negli anni ho sofferto i tanti spettacoli visti sui nostri palcoscenici dove le attrici venivano utilizzate per suonare minuetti e valzerini, in un sacrificato contraltare a ruoli maschili smisurati. Ho visto artiste di immenso talento ed esperienza che avrebbero potuto suonare Wagner e Beethoven, per restare nella metafora, essere costrette a fare miracoli da uno spazio sempre più stretto, col solo uso delle loro corde. La loro personalissima potenza. Ma ho sentito questa emozione con attrici di profonda esperienza e sicurezza, con anni di lavoro sulle spalle e capacità interpretative inequivocabili. Il progetto Hamletas nasce dal mio amore per le interpreti fuoriclasse, che oggi hanno corde per interpretare molti più ruoli di quanti siano stati scritti loro.
Ci parli dal punto di vista contenutistico di Hamletas, partendo proprio dalla scelta del titolo?
Il titolo “Hamletas” è stato utilizzato nel 2002 dal maestro lituano Eimuntas Nekrosius, e ha in sé la lettera “A”, con una ” s” che la segue per sottolineare la puralita’. Esiste veramente una leggenda nordica che racconta di come Amleto fosse in realtà una donna costretta ad essere uomo per motivi dinastici. Ma per come la vedo io qui il genere è davvero l’ultimo dei problemi. Nel 2016 la casa circondariale di Rebibbia ha prodotto un Amleto interamente femminile diretto da Michele Sciancalepore, nel 1999 Valter Malosti fece parlare tutte le donne di Amleto da qualsiasi punto di vista: corale, archetipico, oratoriale. Negli anni sono stati fatti molti riusciti progetti su questo testo, da “Hamletelia” della bravissima Caroline Pagani a “Ghertruda” con Laura Piazza, alle decine di laboratori che indagano questo connubio fra Amleto e il femminile.
Il nostro percorso invece parte dal testo originale dell’edizione di Carlo Cecchi senza assumere un punto di vista, senza prendere posizioni specifiche. Solo la storia di Amleto, con le sue battute e i suoi personaggi che prendono carne e vita.
Voglio partire da Amleto perché per me è Alfa e Omega. Riassume tutto il viaggio dell’essere umano su questa terra. Non importa chi o cosa sia, Amleto rappresenta una certa qualità di anime che sono chiamate (“vocate”, appunto) a un compito esistenziale che condizionerà molte e molte altre esistenze ad esse collegate. In un ipotetico “viaggio dell’eroe” ad Amleto viene soprattutto richiesto di salvare un piccolo mondo individuale per salvare un’intera nazione, un’etica, un aspetto in cui il mondo si sia storto verso il male. E Amleto lo fa. Ma non con la spavalda incoscienza di Rinaldo o di Achille, ma con la disperata complessità della consapevolezza di essere incompleto, fallibile, imperfetto. Con la certezza di essere “nato sbagliato”, e quindi incomprensibilmente chiamato ad un compito più grande delle proprie possibilità.
Questa fragilità, questo senso di “essere a servizio” di una causa in cui percepiamo le nostre mani come insufficienti, e in cui ci scontriamo con le crepe di impotenza che leggiamo nella nostra immagine, sta tutta la magnificenza di Amleto.
Com’è avvenuta la scelta delle attrici?
Amleto come lo conosciamo, in fondo è la storia di un’anima. Io ho cercato quest’anima, per qualche anno. E l’ho trovata fra i gesti di un’attrice di cui non posso fare altro che raccontare la caleidoscopica gamma espressiva, Francesca Ciocchetti, a cui fa da contraltare un cuore che si spezza con pudico rumore, un crac percepibile senza che il suo viso tradisca un accenno della sofferenza. Solo un leggero aggiustamento delle spalle, quasi portare un immenso peso fosse una missione destinica.
Accanto a lei ho immaginato una madre di altrettanta sensibilità: un’attrice che ha segnato la mia immaginazione teatrale per tutta la mia formazione, Mascia Musy. In lei vedo tutto quello che la contraddizione fra potere e disperazione può deflagrare in una disperata richiesta di accettazione, di necessità, di umanissimo attaccamento a ciò che ci tene segregati qui, in questo luogo che non sappiamo perché costretti ad abitare.
Nel corso di questo viaggio, su un palco romano ho incontrato poi un’artista che sembrava non solo un’essere mitologico, ma un incrocio perfetto fra padronanza ed esplosione. Mi ha schiaffeggiato facendomi pena, in scena, e a questo non sono abituata. Avevo incontrato Claudio nei panni di Ludovica Modugno. Vicino a queste tre enormi figure ho incontrato su una scena napoletana una fragile anima anch’essa frantumabile, ma in pezzi più piccoli. Federica Sandrini, una giovane creatura nei cui occhi leggo amore e spavento e coraggio e follia. Le ho chiesto di essere innamorata di Amleto e di morire per lui, e lei ha accettato di trovarsi nella difficile parte di un’Ifigenia dell’uomo che ama. Poi dopo anni di stima brillante e sempre crescente ho scoperto che l’anima di Polonio si nasconde nel tono scanzonato, divertito e apparentemente rassicurante della pluripremiata Debora Zuin, attrice ruvidissima e morbidissima, con corde al tempo stesso spiazzanti e precise come un bisturi. A questo punto mi sono resa conto che anche le altre parti mi parlavano da anime femminili, da interpreti che da anni si sono distinte sulle nostre scene. Elena Aimone, Caterina Gramaglia, Francesca De Nicolais, Serena Mattace Raso, Tullia Daniele, Diletta Acquaviva.
Tutte queste attrici insieme hanno accettato di imbarcarsi in un’impresa titanica, innovativa, rivoluzionaria. Creare un gruppo di prime attrici, che collaborando raccontassero la storia di Amleto, un viaggio in cui dobbiamo e possiamo fare riconoscere lo spettatore, senza domandarci perché.
Perché donne che interpretano personaggi maschili?
Perché siamo corpi e anime. Corpi coraggiosi, corpi espressivi, corpi che non devono essere catalogati ed etichettati in pura aderenza, ma utilizzati ed esplorati nelle pieghe di conoscenza indiretta. Perché il mondo è cresciuto, è diventato adulto, ed è pronto a questa rivoluzione (la direttrice del Globe Theater di Londra ha espressamente promosso spettacoli in collaborazione in cui venissero utilizzate donne anche in abiti maschili). Perché il futuro ci è a un passo, e vogliamo provare a toccarlo, esattamente come quando Shakespeare scriveva e Ofelia o Gertrude erano interpretate da uomini.
Vogliamo andare oltre, e vogliamo farlo per mano a una casa che ci accolga. Al momento abbiamo una “gestazione”, un grembo in cui esplorare e fare crescere le prime prove dello spettacolo. Devo ringraziare appunto Casa Shakespeare di Verona e il direttore artistico Solimano Pontarollo che produce questo primo studio. Desidero che chiunque assista a questo progetto si dimentichi che “gli uomini sono fatti da donne”, ma veda semplicemente dei personaggi, credibili, vitali, veri. Solo allora, e solo in quel momento, avremo vinto la nostra sfida.
Quali sono i vostri progetti in cantiere per il futuro?
Al momento il futuro si ferma il 6 di agosto a Verona, nel corso della nostra prima prova aperta. Saremo sulla Darsena, ovviamente ancora in work in progress, ma in un primo vero confronto con il lavoro, per capire cosa stiamo costruendo e se siamo nella direzione giusta. Nei giorni di lavoro produrremo inoltre un cortometraggio di documentazione del backstage, sul modello di “Looking for Richard”, e le ultime sere veronesi il pubblico avrà la possibilità di conoscere i personaggi in delle interviste aperte. Questo lavoro è talmente delicato che non possiamo che intraprenderlo con rispetto e calma. Sono certa che se troveremo la chiave, andrà avanti da se’. Vi aspettiamo a Verona.
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