Nell’ora dell’amore, l’arte è tutto. Intervista a Samantha Stella
Samantha Stella è un’artista genovese, di base a Milano. Una volta tanto il termine “artista” sembra veramente il più appropriato visto l’approccio estremamente poliedrico che la caratterizza: originariamente danzatrice, dal 2005 con CORPICRUDI insieme a Sergio Frazzingaro, è performer, videomaker, fotografa e costumista.
Il duo presenta i suoi lavori in numerose gallerie d’arte e su palchi prestigiosi da New York a Lione. La classicità impiantata nel contemporaneo, l’estetica rigorosa, che anela al trascendente, il contrasto tra innocenza e perdizione sono alcuni dei loro stilemi. Dieci anni dopo si apre una nuova fase, con la collaborazione con il musicista dark-folk Nero Kane.
Negli Stati Uniti, Stella gira un film a puntate per accompagnare l’album Love in a dying world, per poi prendere parte anche musicalmente al progetto. Infatti per il successivo Tales Of Faith and Lunacy compone alcuni testi a cui presta la propria voce oltre ad occuparsi dell’aspetto visuale, dalla copertina ai video, dove emerge la sintesi tra un immaginario western decadente e una fede religiosa tormentata, inappagabile.
L’occasione per l’intervista è la performance In Hora Amoris presso la casa-museo Palazzo Tozzoni a Imola dove, attraverso le poesie della musa dei preraffaelliti di Elizabeth Siddal Samantha, Stella darà corpo e voce alla storia d’amore tragica vissuta in quelle stanze dalla contessa Orsola Bandini e dal conte Giorgio Barbato Tozzoni duecento anni fa. Una versione video del lavoro è stata acquisita dalla collezione permanente del museo e sarà visibile almeno fino ad aprile.
Ripercorriamo l’esperienza del duo CORPICRUDI.
CORPICRUDI è nato nel 2005, un duo composto da me e Sergio Frazzingaro con cui ho condiviso dieci anni di progetti. Fin da subito abbiamo spaziato molto tra i linguaggi artistici, io ho un background di danza contemporanea e teatro danza e in modo del tutto naturale ho iniziato a praticare la performance.
Presto ho iniziato ad occuparmi anche di video e fotografia. Così si è delineata la nostra cifra, ovvero progetti che si declinassero contemporaneamente su piani di linguaggio differenti collaborando anche con altre figure come Matteo Levaggi, all’epoca coreografo residente del Balletto di Torino. Un lavoro quindi poteva essere pensato come una mostra in una galleria con fotografie, video e istallazioni, lo stesso concept poi prendeva vita come uno spettacolo di danza e magari un libro d’arte.
Ad esempio Le Vergini è stato un progetto molto ampio di questo tipo: ha debuttato come spettacolo a Miami all’International Ballet Fest e poi in Italia al Teatro Elfo per MilanOltre, ma era nato come una nostra mostra fotografica. Un altro lavoro importante che abbiamo fatto è stato Primo Toccare, una trilogia di spettacoli prodotti dal Balletto Teatro di Torino, con cui in quel periodo ho collaborato molto. Nel 2007 Matteo Levaggi aveva visto una nostra mostra, curata da Luca Beatrice, in una galleria a Torino. Ci ha contattati per chiederci di trasporre l’esposizione in un’istallazione di scena.
Io curai i costumi e Sergio Frazzingaro, architetto oltre che produttore di musica elettronica, disegnò delle teche in plexiglass nelle quali andavano a posizionarsi due modelle in scena, mentre i danzatori ballavano. Veniva quindi a crearsi un contrasto tra i corpi immobili, statuari e quelli in movimento. Lo spettacolo ha debuttato a New York al Joyce Theater e fu un momento che non dimenticherò mai, una grandissima emozione per me che ero un’autodidatta e venivo da una piccola realtà a Genova.
Un’altra collaborazione che mi piace ricordare è quella con lo stilista Alessandro De Benedetti, oggi direttore creativo di Romeo Gigli; abbiamo presentato la sua collezione con una performance ad AltaRoma. Nel tempo ho iniziato ad assumere sempre più il ruolo di regia, di direzione di corpi altri come quello di Valeriya Korol a cui sono molto legata.
Dal 2015 le strade con Sergio si sono separate e ho iniziato a firmare i lavori a mio nome, il primo fu la performance Sinfonia in rosso curata da Francesca Alfano Miglietti. Poco dopo ho conosciuto Nero Kane con cui è nata una nuova collaborazione, ma parallelamente il mio progetto “solista” continua.
Nella tue performance è molto forte il contrasto tra l’ideale classico di bellezza e un’estetica oscura, decadente. Ci sono poi alcuni elementi ricorrenti, come si inseriscono nella tua poetica?
Per Sinfonia in rosso ho deciso di continuare a inserire questi elementi che mi portavo con me già da alcuni anni: una figura geometrica disegnata a terra, ossia un triangolo con la punta orientata verso il pubblico; le sculture e i busti delle divinità, in questo caso si trattava di Ebe, la dea dell’eternità. Francesca Alfano Miglietti mi ha incoraggiata a continuare ad utilizzarli, sono come delle piccole ossessioni che poi vanno a formare lo stile e la cifra di un artista.
L’idea di bellezza e di eternità sono sempre state presenti nei miei lavori. Io amo molto l’antichità e la cultura greco-romana, sono interessata alle divinità perché mi interessa molto la tematica del confine tra vita e morte. Gli elementi ricorrenti sono dei simboli che mi permettono di fare da ponte con questo tipo di indagine. Il triangolo lo vedo come un punto di non-tempo, non-dimensione, un po’ lynchiano nella mia idea.
Hai degli artisti o artiste come riferimento principale?
Non ho nessun riferimento particolare. Certamente ci sono degli artisti che amo molto, come Romeo Castellucci e la Societas. Un’altra ispirazione è stata Vanessa Beecroft con i suoi corpi immobili in scena, strada che ho percorso molto anch’io, e il fotografo Erwin Olaf. Comunque sono più legata all’arte di epoche precedenti rispetto a quella contemporanea, amo moltissimo Canova ad esempio. C’è poi tutto il discorso relativo alla musica, che ho sempre utilizzato nei miei progetti.
La collaborazione con il musicista e cantante Nero Kane ti ha spinta a praticare ulteriori linguaggi. Da un punto di vista artistico rappresenta una nuova fase?
In tutti i lavori con CORPICRUDI c’era la totale assenza della parola, a fronte della presenza della musica. In seguito, con la collaborazione iniziata con Nero Kane, ho scoperto la voce in scena: nel 2016 nella performance Hell23 a Los Angeles ho preso per la prima volta in mano un microfono. Poi dopo aver girato negli Stati Uniti il film di accompagnamento al suo album Love in a dying world, per il disco successivo Tales of faith and lunacy ho composto alcuni testi e abbiamo deciso che avrei cantato anch’io.
Un’altra tappa importante di questa nuova fase legata alla voce è stata la performance di due anni fa Death speaks sempre con Matteo Levaggi al Museo Madre di Napoli, correlata ad una mostra bellissima del fotografo newyorkese Robert Mapplethorpe, in cui lessi alcuni estratti del libro Just Kids di Patti Smith, compagna del fotografo per alcuni anni.
Parliamo ora di In Hora Amoris. Hai avuto l’intuizione di accostare due storie di amori tragici molto peculiari.
Ero entrata in contatto con i musei civici di Imola per un lavoro precedente e così ho scoperto la storia del Palazzo Tozzoni e della contessa Orsola Bandini, che sposò il conte Giorgio Barbato Tozzoni. Attraverso la documentazione d’archivio è stato ricostruito che lei perse il primo figlio nel 1820, circostanza che innescò un rapporto di odio-amore con il conte, situazione poi peggiorata dalla morte del secondogenito alcuni anni dopo. La stessa contessa morì in preda alla depressione a 39 anni.
L’aspetto particolare però viene dopo: in seguito alla morte, il conte fece costruire una bambola ad altezza naturale con le sembianze della moglie, a cui fece applicare i suoi capelli. Sembra che continuò a dialogare con il manichino per il resto della sua vita, prassi a cui fu costretta anche la successiva consorte del conte. Siamo vicini alla soglia della follia, rimasi subito colpita dalla storia e mi vennero in mente numerose similitudini con quella di Elizabeth Siddal, musa dei preraffaelliti, pittori che amo profondamente e da cui avevo già preso ispirazione in passato.
C’è una distanza di trent’anni tra le vite delle due donne. Siddal fu moglie di Dante Gabriel Rossetti e modella per il famosissimo quadro Ophelia di John Everett Millais, la cui posa, in una vasca di acqua gelida, la fece ammalare fortemente. La sua salute fragile da quel momento in poi non le permise di avere figli e anche in questo caso prese il sopravvento la depressione e un rapporto conflittuale con il marito, fino al suicidio. Lei non proveniva da una famiglia agiata ma aveva una sensibilità spiccata, fu pittrice e poetessa, circostanza non comune all’epoca.
In Hora Amoris è nato come un progetto performativo da svolgersi nella camera da letto della contessa Bandini e del conte Tozzoni dove si trova anche la culla del loro bambino, vorrei ridare corpo e voce a queste due donne leggendo alcune poesie della Siddal, a cui si aggiungerà un’ambientazione musicale curata da Matt Bordin e Nicola Manzan. Successivamente il museo mi ha chiesto di realizzare anche un’opera video per la collezione permanente, che sarà indipendente dalla performance.
Lucrezia Ercolani è nata a Roma nel 1992. Interessi e mondi diversi hanno sempre fatto parte del suo percorso, con alcuni punti fermi: la passione per le arti, soprattutto quelle dal vivo; l’attenzione per le espressioni sotterranee, d’avanguardia, fuori dai canoni. Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza, è stata redattrice per diverse riviste online (Nucleo Artzine, Extra! Music Magazie, The New Noise, Filmparlato) e ha lavorato al Teatro Spazio Diamante. Ultimamente collabora con Il Manifesto.