44 ARTI è un’associazione culturale no-profit che nasce dall’esigenza di unione e sostegno reciproco tra alcune delle realtà artistico-artigianali presenti sul territorio romano. Uno spazio polifunzionale, un centro di aggregazione e residenza per l’attività artistica dedicato a workshop, laboratori, corsi e spettacoli, gestito da artisti dello spettacolo e professionisti del settore artigianale che fanno della complementarietà il loro punto di forza. Un ambiente in cui poter dare libero sfogo alla propria creatività, che si apre al quartiere in cui sorge, Centocelle, con l’obiettivo di creare un dialogo con gli abitanti. Abbiamo discusso con alcuni dei membri fondatori per capire la genesi e l’evoluzione di questo progetto fondato sulla strenua collaborazione di numerose compagnie under 35:
Come e quando è nata l’idea di fondare l’associazione culturale 44 Arti?
All’inizio è nata l’idea di comunicare con le realtà under 35 romane, composte da compagnie che lavorano principalmente nei teatri off di Roma, di creare una rete nella quale riconoscere i volti e le identità artistiche dei giovani professionisti che si mettono in gioco nel settore dello spettacolo dal vivo. Questa esigenza è partita in primis dalla compagnia teatrale artigianale I Cani Sciolti a seguito della riunione Roma Theatrum Mundi del 25 febbraio scorso al Teatro India, occasione a cui ha preso parte un caleidoscopio di identità teatrali molto diverse fra loro; la riunione ha mostrato frammentarietà e poca coesione fra i diversi ambienti teatrali e ha reso evidente quanto poco sia rappresentata la voce della fascia più giovane. Nonostante il panorama avvilente, si è sfruttata l’occasione per indire delle riunioni più piccole a cui invitare colleghi giovani, rappresentanti di altre compagnie, artisti singoli per dialogare sulle esigenze che ci accomunano: la voce si è diffusa e la partecipazione è cresciuta, sono state stilate delle proposte e si è giunti alla conclusione che fondare una casa dove creare che potesse essere un rifugio e residenza delle idee fosse uno degli step principali per avviare il cambiamento di cui sentiamo il bisogno e che vogliamo. La creazione dell’associazione è stata una piacevole conseguenza, un primo mattone posato come fondamenta di un progetto energico, condiviso e multiculturale.
Quali sono le direttive artistiche e politiche alla base di questo progetto?
Il progetto è apolitico e apartitico. La direttiva artistica non è di certo univoca: la moltitudine di voci che sono coinvolte hanno la propria cifra e poetica, gli ingredienti sono diversi così come le competenze di ciascun singolo. Alla base c’è la voglia di far combaciare queste diverse competenze, di favorire un’osmosi fra ciascun gruppo o compagnia, di collaborare alla creazione di un polo culturale che possa fornire qualità ed eterogeneità, fortemente interessato a dialogare con il pubblico. La diversità è la forza del progetto, lente che permette di guardare da diverse angolazioni un problema, è la risorsa. Indubbiamente questo aspetto ha anche l’altra faccia della medaglia possibile, quella che mostra la difficoltà di creare sintonia in un coro di solisti così diversi: ad oggi non c’è il timore di dover affrontare questa possibilità, siamo tutti positivi nel voler dialogare per una soluzione. In ogni caso siamo un gruppo che lavora con passione e che vuole dare dignità al proprio mestiere, costruendo un’alternativa valida al sistema fermo di questi ultimi anni e ostile alla fusione e alla condivisione.
Principalmente i fondi saranno utilizzati per portare a termine i lavori di ristrutturazione nello spazio che abbiamo trovato. Il progetto da realizzare è ambizioso ma possibile: vogliamo suddividere lo spazio in modo da accogliere gli artigiani e il loro laboratorio di manodopera e le sale prova per le attività artistiche. Lo spazio sarà inoltre adibito ad ospitare il pubblico per delle serate/evento: sarà una vera e propria casa delle arti, dove poter assistere al processo di creazione nelle sue fasi.
Quali saranno le attività artistiche e culturali che avete intenzione di proporre al pubblico?
Le porte del 44 ARTI si apriranno al pubblico per le prove aperte e per le rappresentazioni dei lavori. Stiamo già elaborando un ventaglio di proposte per gli abitanti del quartiere che possano coinvolgere in attività culturali: laboratori di teatro per tutte le fasce d’età, di artigianato, di scrittura creativa, di acrobatica e di danza. Le idee non ci mancano e nel momento in cui questa casa sarà pronta ad ospitare noi e il pubblico non perderemo occasione di proporle e metterle in atto. Non bisogna tralasciare un ingrediente fondamentale: il dialogo con il quartiere, che possa divenire fulcro della creazione della proposta, un momento di scambio utile e costruttivo, per creare dei veri e propri spazi di condivisione e di crescita con le persone in funzione del consolidare la relazione, di stimolare la curiosità.
“44 ARTI è aperta a professionisti, studiosi, creativi e curiosi. Si identifica come autonoma e indipendente, luogo di idee e processi in grado di offrire l’elaborazione di prodotti artistici a 360°. Il nostro lavoro si concentra sulla collaborazione, l’apprendimento reciproco e la tessitura di una rete unica e innovativa di realtà artistiche, che condividono un unico obiettivo comune, l’ARTE e l’importanza che essa ricopre nelle vite di ciascuno.”
“Una visione molto grande è necessaria e l’uomo che la sperimenta deve seguirla come l’aquila cerca il blu più profondo del cielo.”
La citazione qui riportata appartiene a Cavallo Pazzo, un capo Sioux, ed è ciò che meglio esemplifica quello che sta accadendo in questi giorni al Castello Cantelmo di Alvito: dal 3 al 10 di agosto, il festival organizzato dalla compagnia Habitas, “CastellinAria”, dimostra come grandi progetti possano diventare realtà grazie alla volontà di più persone nel voler perseguire un sogno. Inoltre, non è un caso che il tema di quest’anno sia “Segnali di fumo”, incentrato sulla cultura dei nativi americani: l’atmosfera è pregna delle peculiarità della popolazione pellerossa quali la condivisione e la solidarietà tra i partecipanti. Come previsto dal programma, anche la quarta serata è stata caratterizzata da uno spettacolo, ovvero “Pezzi” di Rueda Teatro, regia di Laura Nardinocchi con Ilaria Fantozzi, Ilaria Giorgi e Claudia Guidi. È l’8 dicembre, giorno della festa dell’Immacolata durante il quale le famiglie preparano l’albero di natale.
Non sottraendosi a questa tradizione, una madre e le sue due figlie, Maria e Marina, con rami, palline, luci e festoni decorano l’albero ma le loro emozioni tradiscono parole e azioni. Le discussioni a voce alta celano un disagio di fondo che culminerà, gradualmente, nella scoperta da parte del pubblico della morte del padre/marito. Il rapporto tra le tre donne è inevitabilmente segnato dalla scomparsa dell’uomo fin dall’inizio dello spettacolo: la madre assume il ruolo del patriarca ma vorrebbe vivere il suo lato femminile ballando il tango e facendosi stringere da forti braccia, Maria assume comportamenti infantili, Marina è ribelle e vorrebbe evadere verso terre lontane.
Tutte loro hanno sviluppato un meccanismo di difesa per cercare di dimenticare, ma il ricordo si insinua, involontariamente, all’interno dei momenti apparentemente lieti e negli oggetti, lasciando il posto a silenzi vuoti in realtà assordanti. Il momento clou rimane la preparazione dell’albero, evento che scaturisce lo svilupparsi del simbolismo della vicenda: l’arbusto consiste in un asse in cui infilare dei rami. È spoglio, come se comunicasse allo spettatore un presagio di morte in contrapposizione allo spirito superficialmente allegro della madre che lo prepara recitando i numeri della tombola, coadiuvata da una spensierata Maria.
È proprio la figura della madre che cerca di reggere la parvenza di serenità natalizia, come quando cerca di rievocare l’attesa dello spirito dello Scarpariello per la figlia Maria, vedendo vanificato il suo sforzo da Marina che riporta alla mesta realtà presentandosi con una scatola colma di cravatte appartenute al padre. La contrapposizione principale rimane in ogni caso quella tra la vita e la morte: l’immacolata concezione, giorno nel quale si annuncia alla Madonna la nascita imminente di Gesù nel presente e i funerali del padre nel passato; un gioco di luci calde intervallato da quelle fredde, blu, del colore della malinconia per antonomasia; le luci natalizie e le luci dei ceri funerari; la preparazione dell’albero e il conseguente disfacimento di esso.
Il finale dello spettacolo è significativo, rappresenta il punto di svolta nel quale si comprende che il dolore non può essere evitato, che l’assenza di una persona amata non è colmabile con la presenza di altre, che la mancanza è percepita in ogni angolo della casa e non può essere adombrata dall’illusione. La morte del padre/marito ha lasciato solo frammenti di ciò che è stato. Le tre figure, in conclusione, realizzano in una sorta di epifania, che quei pezzi, quelle cravatte e quei ricordi, vanno rimessi insieme per commemorare l’assente figura maschile rendendola ancora viva, in una maniera serena, celebrativa e intrisa allo stesso tempo di nostalgia.
I pezzi rappresentano anche le tre figure femminili, sconnesse e divise a partire dal momento della tragedia, che arrivano a capire, sul finale, che solo attraverso l’unione e la forza reciproca potranno continuare a guardare avanti. “Pezzi” ci insegna come le tragedie possano facilmente creare barriere tra individui e al medesimo tempo come queste barriere possano essere abbattute attraverso il sostegno incondizionato e la comprensione dei sentimenti più disperati e infelici affinchè possano incubare il dolore e razionalizzarlo.
Marcel Proust diceva “l’assenza è, per colui che ama, la più sicura, la più efficace, la più viva, la più indistruttibile, la più fedele delle presenze.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo
Vincitore del Roma Fringe Festival 2019, Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo, è il risultato di nove mesi di scrittura scenica, attraverso un continuo scambio artistico tra la regista e drammaturga Laura Nardinocchi e le attrici Ilaria Giorgi, Claudia Guidi e Ilaria Fantozzi della Compagnia Rueda Teatro. Ogni elemento della storia è nato dalla compagnia e si è evoluto attraverso un lavoro comune: i dialoghi, i personaggi, la stessa scenografia. Ogni elemento si è sviluppato nel corso di diversi e lunghi esperimenti scenici. Probabilmente un lavoro così viscerale, praticamente materno, tra la compagnia e questo spettacolo lo ha reso così intenso, efficace, toccante.
Tutto parte da un dato autobiografico della regista Laura Nardirocchi, incontrata subito dopo lo spettacolo: “L’aspetto autobiografico è stato il motore, la spinta necessaria poiché avevamo l’urgenza di inquadrare il lavoro sotto il tema del lutto. Tutto quello che è nato è giunto successivamente dalle attrici; di me c’è molto poco dentro lo spettacolo. Bisogna premettere che questo spettacolo è nato come saggio di regia del mio terzo anni di studi registici e, dopo aver lavorato tanto con persone della mia scuola, volevo un po’ estendere le mie conoscenze. Dato che con Claudia Guidi e Ilaria Giorgi già avevo avviato un rapporto amicale oltreché artistico, tutto il progetto è nato con loro. Solo successivamente ho avuto questo bisogno di una persona esterna. Dopo vari incontri, ho trovato Ilaria Fantozzi.
Cercavo di creare un gruppo affiatato e lei si è proprio inserita subito all’interno della compagnia, senza neanche troppo difficoltà devo dire, anche perché il lavoro era talmente corale, che tutte noi a nostro modo amavamo collaborare e insieme, giorno dopo giorno, aggiungevamo qualcosa al lavoro. Questo è secondo me ciò che mi ha aiutato a crescere di più sia dal punto di vista registico sia nel modo di vedere il teatro e la figura del regista. Tutte noi condividiamo un teatro che nasce dal corpo e dal lavoro attoriale: partendo quindi dall’improvvisazione, abbiamo creato un senso drammaturgico, lavorando sul tema e sui ruoli, sugli oggetti e sul ricordo. Come un sacco di Babbo Natale, per rimanere in tema con lo spettacolo, dove ognuna di noi metteva qualcosa, questa è l’immagine che darei del nostro lavoro.”
Un processo quindi che parte dalla radice stessa, mettendo in discussione qualsiasi costruzione a tavolino. Ilaria Giorgi, che interpreta la madre vedova di questa famiglia mutilata, chiarisce come anche il suo personaggio sia stato concepito nel corso di questi nove mesi (quasi una vera e propria gravidanza): “ Gli stessi personaggi, ad esempio, non li avevamo definiti all’inzio. Noi volevamo lavorare su questa famiglia, ma non sapevamo quali dovevano essere questi ruoli. Poi provando a lavorare, facendo all’inizio molto lavoro sul fisico, “staccando” la testa e caricandoci di suggestioni, abbiamo lasciato che tutto quell’immaginario acquisito scorresse nel nostro corpo. Da lì in poi, le risposte ti salgono a galla da sole. Tutto è nato spontaneamente, con una cura costante. Ciò che è stato fondamentale è stata la cura e la passione. “
Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo
Perfino il titolo, Pezzi, è il risultato di un lavoro comune della compagnia, scelto dopo aver vagliato diverse scelte proposte di comune accordo. Il risultato finale rispecchia effettivamente la frantumazione data dal trauma, esattamente come avviene fisicamente in scena con la frantumazione delle palle di Natale; ma giustamente, ci ricorda Claudia Guidi:
“Tutto ciò che si rompe in pezzi può essere ricostruito, rimesso insieme. Il titolo anche è nato dopo aver cominciato a lavorare sullo spettacolo, ed è arrivato. Partendo dal sottotitolo, si tratta di una frase di un testo di William Faulkner, Mentre Morivo. Tra i metodi di lavoro che abbiamo usato per arrivare alle scene, Laura ci ha anche proposto delle frasi, di poesie o di testi. Noi da quelle suggestioni dovevamo creare un’immagine dandole successivamente una corporeità. Da una frase così lunga, cercavamo un titolo breve, una parola massimo. Pezzi è il frutto di una decina di titoli portati da ciascuna di noi. Pezzi però è una parola che ne può vuol dire mille altre: frammenti, i cocci di qualcosa che si è rotto, donne a pezzi, crepe. Ma pezzi anche di cose che unite: pezzi di persone creano una famiglia, pezzi di legno come nel caso della la struttura dell’albero o come i pezzi di cravatta che creano l’addobbo dell’albero.”
Pezzi racconta di una perdita, una lacerante mancanza nella vita di tre donne. Questo tema viene affrontato in una limpida e dura rappresentazione della realtà di tre donne, in tre diverse fasi della vita, messe di fronte al lutto e costrette a dover in qualche modo reagire, attraverso percorsi tortuosi, che separandole riescono infine a ricongiungerle. Il tutto si svolge in un giorno di festa, quello prima di Natale: c’è da fare l’albero, si parla del cenone, degli ospiti, dei regali e dei desideri e di un magico Scarpariello, una sorta di Babbo Natale. Ma il lutto, il dolore, il fantasma di una figura maschile strappata via aleggia ancora su queste donne. Mentre molte cose perdono di senso, come lo spirito di una festa, altre ne acquistano nuovi, come la figura dello Scarpariello per la più piccola delle figlie.
La regista Laura Nardinocchi conclude dicendo che: “ Non volevamo fare uno spettacolo sul pathos, l’aspetto patetico del dolore, ma su come tre donne, senza più una figura maschile, vivano all’interno dello stesso contesto. Ognuna di loro trova il modo di reagire: la madre lo affronta con la negazione, cercando di caricarsi di un’energia palesemente inesistente con la quale spera di eccitare le figlie. Una, ancora bambina, che non si rende conto di cosa sia la morte e che ancora spera in questo ritorno, ancora attaccata al passato; e l’altra, una figlia grande, che vorrebbe mandare a quel paese il Natale. “Come si reagisce al lutto?”: questa è la domanda che ha mosso il nostro lavoro, accompagnandolo con suggestioni visive, ma anche acustiche. ”
La scenografia, nel suo minimalismo, non è solamente funzionale al racconto ma anche ricca di simbolismi e di riferimenti: pochi cubi e parallelepipedi di legno che da salone possono diventare lapide; un albero di Natale composto di canne di bambù e montato su di un asse di ferro, che diventa croce. Una scenografia quindi componibile e scomponibile, mossa dai ricordi e dalle emozioni dei suoi protagonisti.
Proprio rispetto alla costruzione visiva dello spettacolo così risponde Laura Nardinocchi: “ Questa è una scelta stilistica personale, più che legata allo spettacolo: io amo lavorare con una scenografia che si costruisce man mano, e questo proprio perché mi piace lavorare con gli attori. Lo faccio anche per abituare il pubblico a sforzarsi a vedere qualcosa oltre il semplice cubo di legno. Non ho interesse a inserire elementi comuni come sedie, tavoli, cellulari, parolacce nei miei spettacoli. Sarebbe stato molto più facile ed economico comprare un albero da mettere in scena, ma avrebbe inevitabilmente perso tutta la sua forza poetica, dalla quale io parto e alla quale tengo tantissimo.
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