Piccoli comuni incontrano la cultura: l’arte per grandi e piccini

Piccoli comuni incontrano la cultura: l’arte per grandi e piccini

A due settimane dalla sua conclusione, Piccoli comuni incontrano la cultura, la rassegna organizzata da Atcl Lazio e Regione Lazio, propone nel  week-end tre spettacoli per l’intrattenimento di adulti e bambini. Ogni tappa di questo tour territoriale, prevede il supporto dei Comuni ospiti, attivando un percorso virtuoso di sostegno alla cultura. 

La Riscossa dei clown - Madame Rebiné
La riscossa dei clown – Madame Rebiné

La riscossa dei Clown della compagnia Madame Rebiné a Frosinone

Il 16 novembre alle ore 18:00 al Centro Studi Pasquale Mastroianni di CAMPOLI APPENNINO (FR), la compagnia Madame Rebiné presenta La riscossa dei clown: uno spettacolo in cui sono utilizzate tecniche di giocoleria, beat-box, rumorismo, commedia dell’arte, mimo, acrobatica, clown, tip tap e roue Cyr.

Racconta la compagnia: «La riscossa del clown nasce dal desiderio di tornare a sperare in un mondo che possa trasformarsi e in cui grazie all’impegno e alla partecipazione, anche i clown possano vincere. Tutto ciò al servizio di uno spettacolo comico in cui all’arte circense si unisce la spontaneità degli attori».

Dopo novant’anni di sfortuna, delusione e scivoloni un vecchio clown torna a cavallo della sua sedia a rotelle per farsi giustizia. Sarà un’impresa impossibile dove renne acrobate, giocolieri miopi e mosche assassine cercheranno di impedirglielo. A colpi di naso rosso, lotterà fino all’ultimo respiro per difendere la sua dignità. Se ci riuscirà sarà solo grazie al sostegno degli spettatori. Uno spettacolo di circo e teatro al servizio della leggerezza e del divertimento. Un cabaret alla riscossa in un cui il clown trionfa.

La compagnia Madame Rebiné racconta storie impregnate di una profonda coscienza ironica che permettono di giocare con le debolezze dell’essere umano. Convinti che le più grandi libertà nascano dall’accettazione dei propri limiti, hanno fatto della risata il proprio logo e della poesia lo strumento con cui trasmettere la  piena fiducia in tutto ciò che di bello c’è nel mondo.

L'albero di Rodari - Laboratorio integrato Piero Gabrielli
L’albero di Rodari – Laboratorio integrato Piero Gabrielli

L’albero di Rodari del Laboratorio integrato Piero Gabrielli a Viterbo

Il Laboratorio integrato Piero Gabrielli presenta L’albero di Rodari al Teatro Comunale di Canepina (VT), il 16 novembre alle ore 18:00. Le letture di fiabe e filastrocche drammatizzate dalla regia di Roberto Gandini e adattate da Attilio Marangon prendono vita per la gioia dei più piccoli che, insieme al pubblico dei più grandi, potranno lasciarsi rapire da un universo di fiaba, magici incanti e ricordi lontani. Storie di gioia e felicità, ma anche di solidarietà estrema. 

Soffici riflessioni sul rispetto dei diritti dei più piccoli, come quella di un tenero nonno alla ricerca dei giocattoli per i suoi nipotini, che si imbatterà in un ambiguo Mefistofele alle prese con un marchingegno che fa scomparire oggetti e persone non graditi ai bambini. O la tenera parabola di un presepe in cui verranno catapultati Toro Seduto, un tamburino e un aviatore con tanto di aereo. E ancora, il racconto della rivolta dei personaggi classici del presepe, pastori e vecchine delle caldarroste, con tre possibili finali a scelta, in un divertente gioco del destino nelle mani dei desideri dei bambini.

Letture recitate sotto l’albero, alla scoperta dei tesori che le fiabe e le filastrocche di Gianni Rodari raccontano e continuano a conservare, affascinando il pubblico con l’ironia, la fantasia e la capacità di immaginare un mondo migliore. 

Callas d'incanto - Debora Caprioglio
Callas d’incanto – Debora Caprioglio

Debora Caprioglio in Callas d’incanto a Rieti

Debora Caprioglio è la protagonista di Callas d’incanto, scritto e diretto da Roberto D’Alessandro, in scena il 16 novembre ore 21:00, presso il Teatro S. Michele Arcangelo di Montopoli (RI)

Bruna, fedele governante, è stata l’ombra della Callas e come una Vestale ne custodisce la memoria, i ricordi, l’idea di una donna che ha rappresentato tutta la sua esistenza. Così ascoltiamo la storia che Bruna ci racconta e ci troviamo al suo fianco a spiare, quasi con vergogna, i palpiti di quel cuore, la sua felicità, il suo tormento, tutta la tristezza del mondo. 

Cos’è un mito? Nelle religioni, è la narrazione sacra di gesta e origini di Dei ed Eroi. Può essere l’esposizione allegorica di un’idea, o il racconto di un’illusione. Per estensione, è l’immagine idealizzata di un evento o di un personaggio che svolge un ruolo determinante nel comportamento di un gruppo umano. Una leggenda

Maria Callas è tutto ciò. La sua statura artistica ha diviso il mondo dell’opera “in prima e dopo la Callas”. La sua capacità di interpretazione ha strappato la scena operistica all’artificio dei gorgheggi fini a se stessi, riuscendo a dare un’armonia ai personaggi del melodramma. La Callas nel nostro racconto non è una voce in una donna, bensì una donna con una voce. La sua vita, al di là della legenda, si consumò nella tragedia. 

Bruna racconta con fervore e passione quasi religiosa il tormento di Maria Callas per una grande storia d’amore, quella con Aristotele Onassis. La loro relazione e il suo triste epilogo concorrono ancor di più a dare alla vicenda una sacralità mitica. Bruna durante tutto lo spettacolo attende il ritorno della sua Madame. Alla fine il desiderio di veder rientrare Maria Callas si fa irresistibile. La divina non può tornare: Il suo corpo non c’è più ma il suo mito continua ad aleggiare in mezzo a noi.

Non domandarmi di me, Marta mia – Intervista a Katia Ippaso

Non domandarmi di me, Marta mia – Intervista a Katia Ippaso

Non domandarmi di me, Marta mia ribalta la prospettiva di un sodalizio artistico e sentimentale che lega il nome di Marta Abba a quello di Luigi Pirandello, autore simbolo della letteratura italiana. Il testo di Katia Ippaso, portato in scena da Elena Arvigo, per la regia di Arturo Armone Caruso, sarà presentato al pubblico di Piccoli comuni incontrano la cultura, l’8 novembre alle ore 21:00 al Teatro Ignazio Gennari di Casperia (RI). Nell’ambito della rassegna è prevista una replica al Teatro comunale di Collevecchio (RI), il 9 novembre alle ore 21:00.

Non domandarmi di me, Marta mia testo di Katia Ippaso - Foto di Manuela Giusto
Non domandarmi di me, Marta mia – Foto di Manuela Giusto

La morte di Luigi Pirandello sancisce il momento di un’introspezione delicata e profonda per l’attrice Marta Abba, che si ritrova a far fronte alla solitudine e al senso di abbandono, mostrando un’inedità vulnerabilità. Intervistata, la drammaturga Katia Ippaso chiarisce gli intenti della propria operazione artistica.

Non domandarmi di me, Marta mia è il racconto di un rapporto elettivo e di un legame immutabile tra due personaggi che hanno fortemente influenzato la storia della letteratura e del teatro: Luigi Pirandello e Marta Abba. Da cosa nasce l’esigenza di raccontare questa vicenda?

Il mondo di Luigi Pirandello mi è sempre stato familiare. L’insularità  – anche io sono nata in Sicilia – mi ha portato a confrontarmi presto con il suo linguaggio e le sue figure. Negli anni dell’Università, a Roma, ho approfondito il versante saggistico di Pirandello, gli scritti sull’arte e la scienza. L’ho sempre considerato prima di tutto un pensatore, uno di quegli intellettuali ipersensibili capaci di cogliere l’assurdo e l’insensata meraviglia dell’esistere. Infine, si è presentata l’occasione di lavorare sull’epistolario tra Pirandello e Marta Abba, e l’ho considerata una benedizione. 

La narrazione si sviluppa a partire dal 10 dicembre 1936, data della morte di Luigi Pirandello, e si sofferma sulla solitudine di Marta Abba dopo la scomparsa del suo Maestro. In che modo ha lavorato sulla figura di Marta facendo emergere l’inedita vulnerabilità di una donna, rimasta a lungo soffocata dai personaggi che ha interpretato nel corso della sua carriera?

La vulnerabilità di Marta credo che sia una mia invenzione. Leggendo approfonditamente il carteggio, mi sono fatta l’idea che Marta Abba fosse fondamentalmente una donna pragmatica, concreta, molto poco idealista. Se non fosse stato così, non sarebbe riuscita nell’impresa di diventare capocomica a soli 29 anni. Marta era una donna molto vigile, controllata. Ho voluto però immaginare che quella notte, quell’unica notte di veglia, dopo aver dato l’annuncio a Broadway della morte di Luigi Pirandello, una volta tornata nel suo appartamento, in una città a lei estranea, Marta si fosse sentita tremendamente sola, abbandonata. 

Non domandarmi di me, Marta mia - Foto di Manuela Giusto
Non domandarmi di me, Marta mia – Foto di Manuela Giusto

Il profilo psicologico di Marta Abba, come donna e come artista, è indagato a partire dal carteggio intercorso tra Pirandello e l’attrice. Rispetto alle fonti, che tipo di operazione è stata svolta sui documenti e quanto di ciò che viene portato in scena prende fedelmente le mosse dal contenuto di quelle lettere?

Del gigantesco epistolario, che raccoglie dieci anni di corrispondenze – infinite le lettere di Pirandello, scarne le lettere di Abba –, ho isolato principalmente le parti in cui emergeva l’elemento della fragilità. Non è consueto confrontarsi con le insicurezze, le paure, gli smarrimenti di un premio Nobel, fanciullescamente innamorato di una attrice-musa alla quale riconosceva una fermezza e uno sguardo d’autore.

Elena Arvigo è un’interprete caleidoscopica che, nel ruolo principale di Marta, convoglia su di sé l’inquietudine di molte delle eroine pirandelliane cui il Maestro aveva dato vita pensando alla sua amata attrice. Come è riuscita a rievocare e a far convivere nel suo testo lo spettro di queste donne?

Il regista Arturo Armone Caruso, che è anche stato il primo lettore del mio testo, ha scelto un’attrice di grande talento e sensibilità come Elena Arvigo, per lavorare insieme sulla costruzione di una partitura molto raffinata che ha lo scopo di mettere lo spettatore in una condizione di sogno e di ragionamento. I testi di Pirandello che si ascoltano in questo spettacolo sono frammenti delle opere che lo scrittore compose proprio per Marta Abba. Già a livello testuale, ho immaginato che quella terribile notte del 1936 Marta, in uno stato di dormiveglia, si trovasse a rileggere brani delle lettere e a recitare frammenti dei testi che il suo maestro aveva scritto per lei. Pirandello muore e c’è il rischio che anche Marta muoia con lui. Per questo continua a recitare tutta la notte: le parole di Diana, Donata Gensi, Ilse, la tengono in vita. 

Che valore ha, in un periodo storico come quello in cui viviamo, intorbidito dal femminicidio e dalla violenza di genere, raccontare la storia di una donna – la cui fama sembra imprescindibilmente legata alla sua celebre liaison – liberandola dalla dipendenza da un uomo illustre che la sua figura sembra detenere?

Attraverso il gesto di ribellione di una donna, passa il destino dell’umanità. Non voglio fare di Marta Abba un’eroina. Ma è indubbio che sia stata una donna capace di dialogare con un uomo illustre senza farsi schiacciare dal giudizio sociale. La loro è stata una relazione elettiva, rispettosa, e soprattutto creativa. Ecco, se c’è un messaggio è proprio questo: le donne non dovrebbero mai aver paura delle proprie capacità creative e della propria facoltà di giudizio. Marta Abba ne era talmente consapevole che Pirandello arrivò spesso a chiedere a lei consiglio sulle opere che andava scrivendo.

Mi auguro che molte donne, vedendo questa pièce, riconoscano il proprio valore, introiettando lo sguardo di Pirandello dentro le loro stesse vite di donne combattenti. Spero anche che gli uomini arrivino ad ammettere con più agio le proprie stesse vulnerabilità, così come fece Pirandello quando arrivò a confessare alla sua Marta le sue più profonde paure.