Suite Escape, in anteprima nazionale a Bari, la “dolce fuga” di Riccardo Buscarini

Suite Escape, in anteprima nazionale a Bari, la “dolce fuga” di Riccardo Buscarini

È andata in scena il 16 aprile, presso il Nuovo Teatro Abeliano di Bari, la nuova creazione di Riccardo Buscarini, Suite Escape, con la produzione della compagnia Equilibrio Dinamico. È stata un’anteprima nazionale nell’ambito della stagione di danza contemporanea del Comune di Bari realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese in collaborazione con Teatri di Bari e Compagnia AltraDanza.

Suite Escape rappresenta e suggella l’incontro perfetto tra due mondi della danza contemporanea, il coreografo piacentino Buscarini e Roberta Ferrara, la fondatrice e direttrice artistica di Equilibrio Dinamico. È una ricerca, uno studio minuzioso di famosi pas de deux ponendo al centro dell’attenzione il genere e il linguaggio coreografico. Le materie fondamentali di Suite Escape sono la fisicità dei corpi dei danzatori, le relazioni di fiducia che si instaurano tra di loro e l’equilibrio che consiste nel dare e ricevere sostegno. In questo lavoro vengono inoltre scardinati gli schemi canonici intorno al genere: la donna può sorreggere l’uomo come pure due uomini possono essere protagonisti e vivere il momento coreografico.

Riccardo Buscarini

Riccardo Buscarini

Viene esplicitato nelle note di regia che “l’illusione della leggerezza del partnering classico, si trasforma in Suite Escape in un linguaggio di “voli in caduta”, che porta l’interprete alla separazione da chi offre un sostegno ma anche, in qualche modo, rappresenta un ostacolo. Si indaga quindi sulla fuga e sul vuoto generato dall’assenza, un volume che può essere colmato dal desiderio o uno spazio potenziale in cui riconfigurare la propria indipendenza. Il modello passato si manifesta tramite la riconoscibilità coreografica e musicale, ma anche qui lo si scavalca. Un pianoforte suonato dal vivo ci riporta alla classe di balletto e alla musica da camera, ma anche al sottofondo di un ristorante jazz, un luogo d’incontro – ed, inevitabilmente, di scontro – tra identità diverse”.

In occasione dell’anteprima nazionale di Suite Escape abbiamo raggiunto e intervistato Riccardo Buscarini per un approfondimento sulla sua nuova creazione.

Come, dove e quando è avvenuto l’incontro professionale e artistico con Roberta Ferrara e come si è sviluppato successivamente?

Tutto nasce da due conoscenze in comune nel campo della danza a Bari, una città ricca di cultura e storia che ho avuto il piacere di conoscere grazie a diverse esperienze lavorative qui. La collaborazione con Roberta è nata poco più di un anno fa: era interessata ad avere una mia creazione nel repertorio della sua compagnia e mi chiese di pensare ad un lavoro sui classici. Io risposi con una lista di possibili idee che mi sarebbe piaciuto realizzare. Scelse Suite Escape. Dall’incontro e collaborazione con Roberta è nata una forte intesa non solo dal punto di vista professionale ma anche umano.

Cosa ritieni di aver dato e cosa invece hai ricevuto grazie a questo incontro e al progetto di lavoro insieme?

Roberta ha un’energia e una leadership invidiabili, è una gran lavoratrice, è ambiziosa e ama la bellezza. Abbiamo molti punti in comune: è stato fondamentale confrontarci e scoprirli insieme per Suite Escape e anche per il mio lavoro futuro, ne sono certo. Sono molte le cose che ho imparato durante questo progetto, la più importante riguarda l’esercizio di riscrittura delle partiture coreografiche dei passi a due scelti per l’opera dal punto di vista coreografico ma soprattutto drammaturgico. L’altro processo fondamentale è stato quello legato alla musica: sembra strano ma questa non arriva subito anzi, spesso quasi alla fine del mio processo creativo.

È stato un lavoro molto complesso ma sono contento dell’esperimento e del suo risultato: farò gran tesoro di questi processi. Ringrazio Roberta per avermi posto questa sfida e i suoi danzatori per essersi messi in discussione in uno sforzo creativo e interpretativo non facili. Condividere la propria visione vuol dire, in primis, imparare dalle persone con cui la si condivide e dalla visione stessa che, attraverso la pratica, si rigenera naturalmente creando nuovi stimoli e approcci. Ciò è valso anche per questa lunga residenza creativa a Bari.

Il titolo Suite Escape contiene i due termini “composizione” e “fuga”. È già questa una prima dichiarazione di intenti? Fuga e organizzazione?

Assolutamente. É proprio su questa dicotomia che si basa il lavoro. I brani musicali non sono l’unica “delimitazione”: l’idea di organizzazione si manifesta in geometrie molto evidenti sia nel movimento – del singolo o di gruppo – che nell’impianto scenico. L’idea di “fuga” è una delle mie personali ossessioni. Credo che il gesto di separarsi, allontanarsi sia molto evocativo. In termini astratti, mi piace pensare anche al movimento come una proiezione del corpo nel futuro, una fuga dalla sua configurazione passata. E la danza stessa è un’arte in costante fuga dal proprio passato, senza mai però perderlo completamente di vista.

Contatto fisico, umano, spirituale…è quello che manca in generale. Riesce meglio realizzarlo attraverso la danza?

Non lo so. La danza di certo ci porta alla primitività del corpo e del suo sentire. Il movimento, dentro o fuori la scena, compie sempre un atto di seduzione. Bisognerebbe tornare ad apprezzarlo a dovere.

In un mondo fortemente tecnologizzato un ritorno al classico, non solo come danza, è ancora possibile o necessario?

Il classico è classico perché parla di noi, è il contenitore degli archetipi, basti pensare alle fiabe a cui tra l’altro si rifanno proprio i balletti da cui le musiche di questo spettacolo sono tratte. Non so se è necessario – dopotutto l’uomo si arrovella da sempre sugli stessi temi, no? – ma tornare ai classici di certo è sempre possibile, dipende dalla visione e dalla profondità delle ragioni alla base di questa scelta artistica. In ogni caso anche gli autori classici sono stati “contemporanei” a loro volta, con i loro riferimenti da rielaborare e i loro personali slanci di innovazione.

Scriveva Pasolini: «…Io vorrei soltanto vivere / pur essendo poeta /perché la vita si esprime anche solo con se stessa. /Vorrei esprimermi con gli esempi. Gettare il mio corpo nella lotta». Che lavoro di ricerca è stato realizzato corpo, sul potere della sua espressività? È stato “gettato nella lotta” con tutto il carico della  sua potenza estetica?  

Grazie di questa citazione. In Suite Escape e nel mio lavoro coreografico in generale emerge sempre un certo atletismo. Dello sport mi ispira l’idea di competizione che dal punto di vista coreografico traduco spesso nel voler superamento l’altro, lo spazio – o se stessi – come un ostacolo. La tensione del corpo degli atleti fotografato nella corsa scattante, spigolosa, le torsioni scultoree nella lotta greco-romana o nel salto con l’asta, sono elementi che spesso ritornano nel mio lavoro. Le geometrie del balletto classico riemergono non più come gesti vuoti, decorativi ma vengono reinterpretate attraverso una maggiore densità e carica muscolare per assumere un significato più viscerale.

In Suite Escape possiamo intravedere un richiamo all’estetica della lotta anche nell’allestimento scenico, un rombo che assomiglia a un ring (il quadrato come il numero 4 sono simboli di instabilità e scontro) al cui lato suona un pianoforte, compagno e allo stesso tempo “rivale” della danza. A tutti questi elementi si giustappongono le pagine romantiche di Tchaikovsky, Minkus, Adam di cui la danza vuole esaltare la forza drammatica piuttosto che la patina fiabesca. Aiuta in questa operazione un’estetica asciutta sia nelle luci sia nei costumi, dalle linee secche e senza tempo, in una scala cromatica che prende ispirazione dai non colori dei tasti del pianoforte.

Il nostro è un tempo senza memoria e senza felicità? Quanto di tutto ciò c’è nella  tua ricerca coreografica in generale?

Molto del mio lavoro degli ultimi anni, se non tutti i miei primi dieci anni di carriera da coreografo, è stato dedicato al passato e al recupero nostalgico, mai melenso, di un certo lirismo. Un tempo senza poesia, dentro o fuori la scena, dentro o fuori dalle persone, è per me un tempo morto. Non possiamo vivere senza magia, anche se siamo consapevoli che è solo un’illusione.