Sono stati assegnati i premi di produzione legati al 55° Premio Riccione per il Teatro, concorso biennale di drammaturgia vinto a fine 2019 da Tatjana Motta conNotte bianca. I premi di produzione si affiancano al concorso verso e proprio, che sin dal 1947 scopre testi teatrali inediti di particolare valore, e offrono una seconda opportunità a tutti i finalisti, per favorire la rappresentazione delle opere con cui hanno partecipato al concorso.
In palio due importanti contributi economici, a parziale copertura delle spese di allestimento scenico: un sostegno essenziale in una fase estremamente critica per le arti sceniche, colpite pesantemente dalla pandemia.
Renata Tosi, sindaco di Riccione. “E’ sempre un’enorme soddisfazione constatare la qualità e il grande valore culturale che riveste Riccione Teatro per la nostra città. Per l’amministrazione è sicuramente un patrimonio da valorizzare e stimolare per un futuro sempre più ricco di soddisfazioni, sia per chi fa teatro e sia per chi lo ama da spettatore.
Presto Riccione avrà il Nuovo Spazio Tondelli, il teatro si fa cuore della comunità aprendosi alla città da viale Ceccarini. Ai vincitori dei premi produzione vanno quindi i complimenti dell’amministrazione e di tutta la città di Riccione”.
Simone Bruscia, direttore di Riccione Teatro: “In un periodo così complesso e delicato, in una fase estremamente critica per le arti sceniche, colpite pesantemente dalla pandemia e dalle misure restrittive ordinate dal governo, l’assegnazione dei premi non è un fatto scontato.
Riccione Teatro è una realtà solida, di recente insignita anche del Premio Ubu a coronamento di un decennio di grandi trasformazioni che hanno confermato Riccione come osservatorio e centro di promozione teatrale tra i più attivi in Europa, e mai come questa volta Riccione Teatro decide di confermare un sostegno essenziale alla drammaturgia e al teatro. Un segnale forte e necessario di rilancio e vitalità, la parola del teatro che si fa respiro, riscatto e progetto, che si fa voce e soffio vitale.”
Tutti i finalisti sono stati invitati a presentare, nel 2020, un progetto di produzione dettagliato. Il presidente di giuria Fausto Paravidino, insieme a Daniele Gualdi e Simone Bruscia (rispettivamente presidente e direttore di Riccione Teatro), ha valutato sia i meriti artistici dei progetti che le concrete possibilità di rappresentazione scenica, e le valutazioni hanno confermato il risultato del concorso.
Il premio di produzione principale, da 15.000 euro, è stato assegnato alla vincitrice del 55° Premio Riccione, la giovane drammaturga veneziana Tatjana Motta, per il progetto collegato a Notte bianca. Gli altri finalisti chiamati a presentare il progetto di produzione erano Emanuele Aldrovandi (La morte non esiste più), Elvira Frosini e Daniele Timpano (Ottantanove), Renato Sarti (Il rumore del silenzio) e Christian Gallucci (La vita delle piante).
Un contributo a sé, da 10.000 euro, è stato riservato ai finalisti del Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”, sezione under-30 del concorso. In questa categoria il premio di produzione è andato a Tommaso Fermariello, già vincitore del Tondelli con la pièce Fantasmi. La partecipazione era inoltre aperta a Stefano Fortin (George II), Valeria Patota (Minotauropatia), Luca Tazzari (Il gallo del mal di testa) e Pablo Solari (Woody è morto).
Alla selezione del progetto vincitore in questa categoria ha partecipato anche Roberto De Lellis, direttore di ATER Fondazione, partner fondamentale che si impegna a favorire la circuitazione sul territorio regionale delle opere scoperte al Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”.
Con quest’ultimo atto si conclude il ciclo biennale del 55° Premio Riccione per il Teatro. Nelle prossime settimane sarà pubblicato il bando della 56a edizione, che culminerà a fine 2021 con la proclamazione dei vincitori del nuovo concorso.
Le motivazioni della commissione di valutazione presieduta da Fausto Paravidino
“Abbiamo discusso approfonditamente i progetti di produzione. Solo due autori non sono riusciti a presentare un progetto, gli altri, malgrado il periodo decisamente difficile per il teatro, hanno tutti presentato progetti molto ben strutturati per la messa in scena dei loro testi o domandato un contributo di produzione per il sostegno a produzioni già andate in scena.
Le domande, oltre a essere ben costruite, testimoniano anche una bella creatività da parte delle autrici e degli autori nel cercare di costruire relazioni artistiche e produttive e nel tentativo di posizionarsi nel teatro italiano percependosi non solo come autori chiusi nelle loro camerette ma come parte di una comunità viva di artisti e lavoratori.
La commissione ha scelto di assegnare il premio di produzione legato al premio Riccione al progetto di produzione di Tatjana Motta per Notte bianca e quello legato al Premio Tondelli a Tommaso Fermariello per Fantasmi. Di fronte a progetti di messa in scena ben strutturati, seri e, da questo punto di vista, quasi equivalenti, abbiamo scelto di privilegiare con i contributi alla produzione i due testi già vincitori del premio letterario.
Nel caso i due spettacoli, malgrado l’assegnazione del contributo del Premio non riuscissero ad avviare il loro percorso produttivo entro il 31 gennaio 2022, il contributo alla produzione andrà a un altro progetto seguendo la graduatoria.”
Il Premio Riccione per il Teatro è organizzato da Riccione Teatro, con il sostegno di: Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Regione Emilia-Romagna, ATER Fondazione, Comune di Riccione.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
“La democrazia è un’infezione dello spirito”. Sostiene l’uomo stanco, piegato, sofferente, protagonista di Mai Morti, andato in scena nell’ambito della stagione TPE 19.20 al Teatro Astra di Torino dal 15 al 17 ottobre 2019. Lui però è percorso dal virus antidemocratico del fascismo, che sembra minarlo e invece, lentamente, anziché annichilirlo, lo rianima e lo rende vivo.
La memoria di quando patria e onore avevano la forma esatta della camicia nera e di una X, quella della Decima Mas, il gruppo armato della repubblica di Salò comandato da Junio Valerio Borghese che si rese responsabile di anni di torture inenarrabili nei confronti dei partigiani. E sono proprio quelle torture, enumerate col petto gonfio d’orgoglio e la freddezza del burocrate fiero del proprio operato a dare forza al nostalgico sotto la cui giacca, da quasi due decenni, si nasconde Bebo Storti. Lo spettacolo, racconta Renato Sarti – autore del testo e anima del Teatro della Cooperativa milanese – ha debuttato nel 2001, e da allora continua a far dipanare sui palcoscenici il filo nero che lega le torture della Decima Mas al commerciante veneto che ha venduto le borse che si sarebbero disintegrate il 12 dicembre 1969 nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana insieme a decine di vittime innocenti. Un filo che passa anche per il massacro delle centinaia (ma altre fonti riportano migliaia) di vittime civili della strage dei copti a Debre Libanos, in Etiopia: soltanto una delle occasioni in cui l’armata coloniale italiana fece forza dei suoi sogni d’impero su cascate d’iprite, noto ai più col suggestivo nome di gas mostarda; e arriva alla “macelleria messicana” dei giorni del G8 di Genova, all’indomani dei quali lo spettacolo ha preso forma.
La necessità della memoria
C’è tutto questo e molto di più nel vortice temporale cui Storti dà vita e dentro cui le pagine “nere dentro e fuori” del più breve e drammatico dei secoli si concentrano e si tengono insieme. Dalla centrifuga rapida e spietata della narrazione di Storti resta però il precipitato chimico più inquietante, che ha il viso del presente. Ha le fattezze di un uomo stanco, ma vivo come non è stato mai. Cui non importa più il colore della camicia (bianca, nera, verde) ma che rivendica appartenenze con un orgoglio per anni rimasto sopito. Lo fa, a luci accese, davanti alla platea di un tempo in cui i testimoni uno dopo l’altro se ne stanno andando, occupata da ragazzi che, mentre i nostalgici si ripetevano “i nostri a Genova dovevano fare come noi allora”, stavano ancora nascendo. Una generazione per cui Piazza Fontana è soltanto un luogo, nella cui memoria la mano dell’assassino è spesso diventata quella delle Brigate Rosse (che non esistevano), nel cui vocabolario Ordine Nuovo non ha nessun significato, a cui certa politica può parlare di partigiani e repubblichini in termini di derby. Ed è davanti a questa realtà che sorge una domanda, a patto di accettare che le risposte possibili sono inquietanti. Come si racconta l’orrore a chi non lo ha vissuto?
Gli strumenti per raccontare
Bebo Storti (e Renato Sarti, che firma questa regia e numerose altre appartenenti a un genere che ancora porta il nome nobile di teatro civile) in questo caso scelgono di dar forma a quello che lo storico Giovanni de Luna, a fine messa in scena, descrive come un vortice che travolge tutto, ma più ancora optano per una forte scelta di campo. Quella che porta l’attore a svelarsi come tale al momento dei saluti, a rifiutare di prendere gli applausi con addosso la divisa pesante dei repubblichini. Quella dell’uomo che si fa vedere, più che intravedere, anche quando si nasconde sotto il personaggio. Che dovrebbe, vorrebbe essere disturbante e finisce con il non esserlo più, forse proprio perché somiglia troppo a chi ci è accanto tutti i giorni. Il “Mai morto” è nato per sconvolgere, per angosciare, per terrorizzare. Ma oggi appare fin troppo normale. Per chi è cresciuto con una solida cultura antifascista, senza lasciarsi fuorviare dalle distorsioni storiche, la rottura della finzione scenica è un sospiro di sollievo. Ci si appiglia con ogni forza alla consapevolezza che l’orrore cui si sta assistendo è recita, che dietro al braccio teso e al Sieg Heil su cui il sipario cala c’è un uomo che da anni veste la maschera grottesca dei grandi dittatori per essere sentinella del momento in cui si smette di accorgersi che stanno tornando, che a prescindere dai nomi sulle carte intestate dei ministeri le vie dedicate ai fascisti sono sempre di più, le riscritture storiche sempre più pervasive. Ma la rassicurazione, almeno sul palcoscenico del teatro Astra, arriva. C’è ancora chi ha la voce per urlare, ma lo fa per distinguere i colori. Perché Storti questa volta non vuole fare paura. Lui sa chi ha davanti, conosce la realtà che ha intorno. E ha scelto la via della didattica. Paradossale e scomoda, sì, ma chiarificatrice.
Antifascismo 2.0
Da questo spettacolo si può uscire profondamente perturbati. E non è raro che accada. Ma, se ci si arriva sapendolo, potrebbe accadere che ci si stupisca. Che, usciti dal teatro, ci si aspettasse di esserlo di più. Ed è inevitabile soffermarsi a chiedersi quale sarebbe stata la giusta scelta. È utile che un ragazzo che non conosce esca angosciato, o perversamente affascinato, da quello che ha visto? Che l’antifascismo, in un momento storico in cui nelle piazze si dice che “il saluto romano è sacro”, abbia bisogno di ribadirsi è un fatto. Come farlo resta però il grande interrogativo. Esiste il pericolo che il cattivo non sia più riconosciuto come tale anche dopo che ha enumerato un campionario d’orrore di cui non si accenna a vedere la fine? Qual è oggi la funzione dell’antifascismo chiamato a farsi corpo scenico, sapendo – chiosa acutamente nell’incontro finale lo storico De Luna – “di essere chiamato a farsi tramite di una conoscenza storica chiamata a combattere con modalità più seduttive” dove mostro ed eroe coincidono?
In un tempo condannato all’opacità, allora, anche piazza Fontana non è solo un exemplum dell’orrore di mano fascista, ma piuttosto l’esempio di quando anche ciò che rassicura e da fiducia, come lo Stato, condanna e tradisce se stesso, proteggendo e difendendo per decenni i cancri di cui è incistato con una catena di menzogne dove sono le vittime a pagare, non soltanto le spese dei nove processi. Ed è ancora De Luna a chiarire che “questa opacità è pericolosa, perché una democrazia vive della sua trasparenza”.
Così la democrazia raccontata come infezione sembra di nuovo tutt’altro che lontana, e resta da chiedersi: ha davvero ancora senso osservare messe in scena con questo contenuto? Riflettendo cioè su cosa ci sarebbe piaciuto vedere, quanto ci sarebbe piaciuto essere sfidati, infastiditi, lasciati scomodi dal gesto artistico? Analizzare quanto scenicamente risulti riuscita una particolare scelta registica o efficace un’interpretazione. In un momento storico come quello attuale, in cui la realtà ha travalicato ogni (lungimirante) idea autorale, qualsiasi orpello scenico non può che scomparire dentro “le cose per come sono successe”, che ci stupisca o meno. E ancora: la fame d’essere ulteriormente stupiti potrebbe essere già una resa al meccanismo di spettacolarizzazione che ha reso, è ancora De Luna a sintetizzare “I colpevoli eroi e gli eroi colpevoli”. Da quanto e di quanto si è superato il limite fisiologico del segreto di stato, dell’ombra che ogni istituzione cova in sé, per cadere (irrimediabilmente?) nell’abisso del patologico? E quando abbiamo smesso di accorgercene? Sei mesi dopo Piazza Fontana si parlava di strage di Stato. Oggi, fuori dai comitati della memoria, nelle classi dei licei, non ci si ricorda più cosa vuol dire. E la colpa non può essere di chi non c’era. Ma è di fronte a questo stato di realtà che bisogna chiedersi quale è il modo giusto di rispondere, e di tornare ad agire, sapendo che “c’è un fango che si annida nei gangli vitali della democrazia. Sta a noi non lasciarlo diventare cancro”.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti per garantirti la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.