«Ci si incontra nelle lotte e nell’arte», la coscienza politica nel teatro di Progetto Nichel
Un assunto, quasi superfluo nel suo ribadirsi, lega arte e politica come le due facce rilucenti di una stessa medaglia.
Se è vero, come Majakovskij insegna, che il teatro non è specchio che riflette ma lente che ingrandisce, allora la proposta di Progetto Nichel può rientrare nel novero delle esperienze teatrali di cui abbiamo bisogno.
Il concetto di necessità torna di frequente nei discorsi sull’arte del funesto biennio appena trascorso, come fosse urgente ribadire che la sparizione a cui il settore pare condannato non sia un processo naturale. Ebbene no, non lo è, si tratta piuttosto di una condizione indotta da mala gestione e consuetudini cancerose che sono andate sedimentandosi ma, a quanto pare, l’arte in quanto tale non ha responsabilità dirette. Se non quella di essere passivamente svilita dal tentativo di paragonarla all’intrattenimento, con il suo assoluto diritto di esistere ma senza quello di essere equiparato a delle riflessioni dell’uomo e sull’uomo che accompagnano da secoli il processo di crescita sociale, individuale e collettivo.
In questo solco, germina il lavoro di Progetto Nichel, collettivo artistico e politico napoletano, rivolto verso una ricerca performativa che non è solo sperimentazione, ma anche e soprattutto indagine profonda del contemporaneo. Questo fil rouge lega le diverse anime progettuali di Nichel, dalla produzione alla formazione, passando per l’attività spettacolare, in un ecosistema intelligentemente strutturato che consente alla creazione il giusto tempo di gestazione.
Ne abbiamo parlato con Pino Carbone e Anna Carla Broegg, approfondendo nascita e intenti di Progetto Nichel, con un focus sui lavori più recenti del collettivo.
Presentando il vostro collettivo fate riferimento a un’allergia diffusa, quella al nichel, che si tramuta nel vostro percorso artistico in un’allergia all’arte come intrattenimento. Vi va di raccontarmi quali sono le caratteristiche identitarie della vostra produzione artistica, anche in riferimento ai progetti di formazione che conducete?
Anna Carla Broegg: Nichel è un progetto di formazione, di residenza e di produzione, è un collettivo artistico, politico. Cerchiamo, in maniera indipendente e autonoma, di portare avanti tutti questi percorsi, con tutte le difficoltà che comportano.
Al momento stiamo conducendo un laboratorio presso un centro di salute mentale, con persone dai 20 ai 65 anni, un gruppo meraviglioso con una materia umana delicata, in cui stiamo facendo un esperimento di trasformazione del linguaggio.
A breve partirà un ulteriore lavoro di formazione con i giovani, legato al tema dell’ambiente, che avrà come focus creativo le favole, in quanto archetipo da cui partire. In tutto ciò che facciamo, il tentativo è di legare la ricerca artistica alla ricerca critica, alla coscienza politica.
Ridire – Parole a fare male
Progetto Nichel/99 Posse
“Ci si incontra nelle lotte e nell’arte che in fondo sono la stessa cosa”. In questa frase è racchiusa la sostanza di Ridire – Parole a fare male, un lavoro che ripercorre 30 anni di musica e battaglie dei 99 Posse, riflettendo sul ruolo dell’artista come “strumento sociale”. Cosa si trova nel mirino di queste parole?
Pino Carbone: Il senso di Progetto Nichel può essere racchiuso in questa frase: l’atto artistico è atto politico. Partiamo da un principio in realtà ovvio, ma non è scontata la scelta di percorrerlo. Per noi non si tratta di una scelta, è piuttosto un’indole determinare una fusione tra l’arte e la politica. Progetto Nichel vuole dichiarare questo approccio artistico ogni volta in maniera chiara, comprensibile artisticamente e politicamente.
Ridire – Parole a fare male è uno dei nostri progetti che ha proprio questo senso, come ce l’ha l’intero percorso dei 99 Posse e di Zulù, con un credenziale di 30 anni rispetto a questa materia, che abbiamo deciso insieme di trasformare in un lavoro teatrale. Abbiamo unito 99 Posse e Progetto nichel, lo spettacolo è stato co-prodotto, proprio perché la collaborazione sposava questi intenti, la volontà di non svendere il proprio contenuto. La forma è un’altra questione: ci possiamo ragionare, ci possiamo divertire creativamente a trovare una soluzione ma il contenuto deve essere chiaro. Ridire racconta una storia e nel mentre comunica continuamente che forse è il caso di sporcarsi le mani artisticamente e umanamente.
Ancora l’osservazione della società contemporanea, quasi una cifra stilistica di Progetto Nichel, è presente in Un canto di Natale – Processo al consumismo, che si interroga sul consumismo indotto e sulle differenze sociali. Assurto ad archetipo, il Natale diventa il giorno simbolo della decadenza dell’oggi. Come avete lavorato su questo tema e come vi siete serviti del racconto di Dickens?
ACB: Sono anni che portiamo avanti la ricerca su Un canto di Natale perché è una ricerca sulla società, e in quanto tale è diventato strumento di un’indagine. Si è quindi trasformato con i risultati raggiunti nel tempo, lo si capisce dallo stesso sottotitolo che è cambiato tante volte: processo al capitalismo, ai fascismi quotidiani, alla società del consumo, al consumismo. Un’indagine che abbiamo affrontato in maniera artistica, leggendo alcune situazioni con le loro modifiche.
Abbiamo studiato insieme, esaminato testi, partendo dal concetto di neofascismo in quanto fascismo della quotidianità, del pensiero, di ciò che insinua nelle nostre menti diventando normalità, logorandoci dal di dentro.
PC: Dickens ci è sembrato subito un giusto strumento di indagine e di analisi: intanto perché è l’autore stesso che sceglie il giorno di Natale come giorno simbolo delle differenze sociali fornendoci un lasso temporale dentro il quale è possibile concentrare la creatività e non disperderla. Si tratta poi di un racconto talmente popolare da permetterci di concentrarci sulle questioni. Soprattutto, c’è una struttura geniale: il centro del racconto è suddiviso in tre momenti, passato, presente e futuro, un’ulteriore lente di ingrandimento.
Stringendo il campo d’azione siamo arrivati al consumismo in quanto strettamente legato alle differenze sociali. Il consumismo esiste perché esistono le differenze sociali o le differenze sociali sono assolutamente ingranaggi del consumismo. Abbiamo analizzato il consumismo come tre cerchi concentrici: il passato si interroga sull’ambiente, sul consumo del contesto; il presente si concentra sul consumo della società, sul lavoro quindi sui rapporti; il futuro analizza il consumo dell’individuo.
Un canto di Natale – Processo al consumismo
Progetto Nichel
Un canto di Natale prevede la visione in Virtual Reality. Come convive la tecnologia con i sostrati linguistici, i diversi piani che irrorano il vostro lavoro?
PC: L’utilizzo dello strumento tecnologico all’interno di questo lavoro è un’esigenza drammaturgica. L’importante è che permanga il senso di andare a teatro per fare questa esperienza. C’è da dire però che noi teatranti, rispetto a questi oggetti, siamo come dei bambini. Dobbiamo darci il tempo di sbagliare tanto, tantissimo. Purtroppo il sistema non lo consente, e molti finiscono per assumere passivamente questo strumento. In Un canto di Natale lo strumento tecnologico è uno dei tanti elementi dedicati ai giovani, alle nuove generazioni: ad esempio il passato che si concentra sull’ambiente, non nasce da una nostra predisposizione predisposizione tematica, ma dai suggerimenti che ci hanno dato gli adolescenti di oggi che sentono come urgenti e rilevanti tali questioni.
L’esigenza di poter dedicare il giusto tempo di sperimentazione, di ricerca e di maturazione al singolo lavoro artistico che ideiamo, ha fatto nascere questo progetto. Un canto di Natale ha avuto 4 anni di gestazione, non perché ce lo possiamo permettere ma perché crediamo che quel tempo che non ci viene offerto dal sistema, non possa diventare la gabbia. Sono dei tentativi che vanno fatti.
Progetto Nichel è una realtà indipendente che affronta la complessità del quotidiano a viso scoperto. La resistenza, dunque, può essere definita il fil rouge del vostro lavoro. Di quale atto di resistenza ha bisogno il teatro contemporaneo?
PC: Trovo necessario qualsiasi atto di resistenza in quanto tale. Abbiamo bisogno di sentirci meno soli nel mondo e in particolar modo in questo settore. Ideologicamente mi viene da rispondere che il teatro contemporaneo ha bisogno di verità, per ristabilire un rapporto vero con le persone, con il pubblico. Ci hanno convinto che le parole sono vaghe, innocenti invece non lo sono mai. Occorre ridare valore a determinate parole.
Il vero atto di resistenza che ci spetta sta nel prendersi ognuno le proprie responsabilità. Stiamo giocando una partita impari, contro strumenti che ci distruggono in un attimo, internet ci distrugge in un attimo perché il mondo ha uno spettacolo gratuito e fruibile sul proprio telefono 24 ore su 24. Dobbiamo ritrovare il senso, la risposta al perché e una volta trovata iniziare a pretendere.
ACB: II teatro deve avere il coraggio di guardarsi in faccia in maniera spietata come ci si guarda al mattino davanti allo specchio. Serve un atto di follia sicuramente.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.