Per indagare lo stato del teatro contemporaneo e offrire processi di cura e di sostegno, il PimOff, per il secondo anno consecutivo, ha indetto un Premio che giungerà al suo esito finale il 23 ottobre. L’eterogeneità delle proposte presentate e selezionate è segno di un’attività fervente, non arenatasi a seguito delle difficoltà che hanno investito il settore dello spettacolo dal vivo negli scorsi mesi.
“Il teatro è ancora vivo”, si grida dalle tastiere e nei foyer, una vivacità che, però, non va rintracciata nella sola — ci si augura sempre maggiore — presenza in sala ma anche e soprattutto nella sperimentazione. La ricerca, croce e delizia dell’arte, richiede tempo, quello che PimOff intende fornire per consentire uno sviluppo creativo sganciato dalle vorticose dinamiche distributive. Proprio qui risiede l’alto valore del Premio PimOff, ideato da una realtà composta da professioniste attente ai processi di crescita dei progetti in concorso e del teatro tutto.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Paschitto della compagnia Ctrl+Alt+Canc, regista di Mastroianni e con Julieta Marocco e Chiara Fenizi di Muchas Gracias Teatro/Teatro C’Art, attrici e autrici di Lei Lear, due progetti dalla struttura originale che, attraverso la bizzarrìa, addomesticano il presente.
Mastroianni
Ctrl+Alt+Canc
Come si è avviato il percorso di compagnia di Ctrl+Alt+Canc? Vi è già una riconoscibilità stilistica che caratterizza le vostre produzioni? In questo senso, quali sono i vostri riferimenti?
La compagnia è composta da me, Francesco Roccasecca e Raimonda Maraviglia.Ctrl+Alt+Canc è la sequenza di tasti che si digita disperatamente quando non sa più che fare davanti a un pc malfunzionante, soprattutto se non si è a proprio agio con l’informatica. Ci è sembrato che avesse un significato intuitivo, che fosse un modo immediato e diretto per “contattare un tema”, pur consapevoli di non possedere lo strumento più adeguato. Il percorso è partito con il progetto Opera didascalica con cui debuttiamo a novembre al Teatro di Napoli.
I nostri lavori sono caratterizzati dalla sottrazione della forma: rinunciamo ai meccanismi classici della drammaturgia e della messa in scena ovvero la continuità psicologica, la trama e il personaggio. Cerchiamo di ridurre al massimo le strutture presenti e di lavorare nel qui e ora, sulla presenza e sulla specificità del performer. Non fornendoci appigli, siamo continuamente costretti ad aggrapparci a qualcosa e questa è la ragione drammaturgica che porta avanti il progetto. «Non potendo aggrapparci a niente, ci aggrappiamo alla caduta».
Mastroianni è la performance-concerto che presenterete al Premio PimOff, un progetto che dal divismo cinematografico vira verso una riflessione sulla contemporaneità. Intorno a quali temi ritieni sia urgente accendere o ri-accendere il dibattito? Su cosa riflette Mastroianni?
Cosa importa agli spettatori di ciò che facciamo? Come possiamo entrarci in contatto? Questo è il macro-tema all’interno del quale per me ogni tema è lecito. Dobbiamo lavorare su qualcosa che riguardi in maniera profonda e inattesa chi viene a vedere uno spettacolo teatrale. Un altro macro-tema su cui urge interrogarsi è la forma, non solo quella testuale o registica ma proprio la forma di interlocuzione, quella forma di relazione tra il performer e lo spettatore. Potremmo chiamarla la “cornice comunicativa” o in altri mille modi ancora ma resta il ventaglio di modalità con le quali si comunica con qualcuno. In questo senso Mastroianni parte da un’impossibilità molto concreta: è davvero difficile riuscire a capire attorialmente e performativamente come realizzarlo, c’è un piccolo bug per cui non si riesce a catturarlo. Questo bug, analizzato sempre più da vicino, ci porta lontani da Mastroianni che non è più solo una figura dell’immaginario, un attore, il volto sullo schermo che tutti conosciamo ma un fenomeno, qualcosa che ci abita e che si scompone, una sorta di virus, con un’estensione metastatica che scopriamo abitare tutte le cose.
Tutto è infettato da questa cosa che ha ereditato il nome Mastroianni ma che si è completamente svuotata del suo significato: Mastroianni è tutto quello che non va all’interno di tutte le cose del mondo. La cosa interessante a cui arriviamo è che non siamo noi ad andare alla ricerca di Mastroianni ma siamo gli strumenti attraverso cui Mastroianni si manifesta. Scopriamo che non solo noi non siamo più noi, ma che siamo un’estensione di Mastroianni e questa cosa ci piace, ci fa comodo. Questo è l’altro aspetto interessante: non è solo la rinuncia di qualcosa che non va ma scoprire che siamo noi la cosa che non va.
In questo lavoro è molto forte la compresenza di linguaggi: dalla musica alla performance fino alle video-installazioni. Come avete strutturato questa ibridazione? I plurimi linguaggi utilizzati sono stati mezzo con cui tradurre in scena il piano ideativo dello spettacolo, o piuttosto elementi sorgivi del processo creativo?
La scrittura è stata la sorgente principale. Utilizziamo diversi linguaggi manon c’è la volontà di comunicare delle coseattraverso questo passaggio di testimone, quanto piuttosto di creare un “guazzabuglio” di immagini e musica: lo spettacolo inizia come una conversazionenel qui e ora tra noi e gli spettatori e man mano è come se marcisse. In questo caso, infatti, la commistione dei linguaggi non è una cosa che chiarifica ma che sporca la comunicazione. Intendiamo di fatti indagare come, attraverso il linguaggio, non si crei un mondo altro o una realtà diversa di rappresentazione, ma come si faccia emergere nella realtà scenica qualcosa di diverso. Attraverso il linguaggio la realtà stessa che stiamo abitando in quel momento si deforma e rivela valori inaspettati. Ci interessa più far emergere la realtà presente anziché fingere una seconda realtà a cui noi abbiamo sempre avuto difficoltà a credere. Abbiamo bisogno di sentire che stiamo parlando di cose vere e riconoscibili a cui chiunque può accedere.
Diverse realtà italiane stanno apprezzando il tuo percorso artistico. Il Premio PimOff è un’attenzione rinnovata verso la tua arte. Che tipo di sviluppo stimolerebbe la vittoria di questo premio?
Ci regala la risorsa più importante in assoluto: il tempo e, insieme, la sostenibilità di quel tempo. Sostenere un lavoro teatrale in questo periodo significa attingere a qualunque risorsa temporale e materiale, costruire uno spazio in cui non chiudere il prodotto velocemente ma metterlo in crisi e aprire delle domande. Ci piacerebbe porci una domanda e conservare la possibilità di non rispondere subito, per prendere un tempo di sedimentazione dentro di noi. Questo tempo consente al lavoro di diventare un frutto maturo uscendo dalla logica e dall’ansia prestazionale che in alcuni casi è sicuramente efficace perché può aiutare a dare il meglio, ma in altri significa non approfondire davvero la soluzione.
Oltre alla tutela di uno spazio protetto dal punto di vista del finanziamento, della risorsa e del tempo, c’è la possibilità di un seguito. Al posto di questo vecchio mito dei “contatti” ci sono degli interlocutori con cui condividere la volontà di continuare insieme un percorso. Abbiamo bisogno di incontrare lo staff del Pim Off perché vogliamo capire cosa vedono nel nostro lavoro e abbiamo voglia di incontrare la loro realtà. Successivamente, possiamo proseguire in qualche modo e andare fino in fondo a un certo tipo di percorso: quando questo capita il pubblico si sente infinitamente contattato.
LeiLear
Muchas Gracias Teatro / Teatro C’Art
Come è avvenuta la scelta di collaborare con Teatro C’Art? Come hanno trovato una sintesi le vostre modalità compositive?
Julieta Marocco: Abbiamo conosciuto André Casaca durante un laboratorio da lui condotto e a noi interessava avere uno sguardo “clownesco” sul nostro lavoro – che di per sé ha una carica clownesca importante – nato da una collaborazione con Alfonso Santagata. Abbiamo creato tre personaggi in un contesto noir da cui spesso partiamo per dirigerci verso una comicità naïf legata all’improvvisazione, al contatto con il pubblico e all’assurdo. Eravamo sicure che avremmo trovato la forma scenica più adeguata anche grazie al supporto di André. Ci siamo trovati subito bene nonostante le diverse modalità di lavoro completandoci a vicenda. È stato un bell’incontro perché ci ha fatto crescere e lavorare in modo naturale, fluido e nel rispetto del materiale che avevamo già.
Durante la finale del Premio PimOff presenterete lo spettacolo Lei Lear, l’ultima parte di una trilogia di spettacoli di creazione denominata “Trittico Urbano”. Mi parlereste di questa trilogia? Perché Lei Lear ne è l’epilogo?
J.M: La trilogia è una produzione internazionale, soprattutto per il mio essere fortemente radicata in Brasile e in Spagna. La trilogia nasce da un’attenzione alle differenze tra lo sguardo pubblico e privato. Io provengo da una realtà in cui lo spazio è molto differenziato rispetto a quella europea: ciò che è pubblico fa parte di un universo completamente distante da ciò che è privato. L’idea di indagare il senso della condivisione è cambiata nel tempo ma è sempre rimasta nel nostro lavoro, tornando con forza nell’ultimo anno e mezzo.
Chiara Fenizi: Volevamo finire questa trilogia con la volontà di lavorare su uno spazio virtuale. Abbiamo una modalità di lavoro poco predefinita, ci piace iniziare dalla forma dei personaggi o dalla suggestione di un’immagine o di un luogo; le nostre decisioni vengono assieme alla ricerca poi, a un certo punto, emerge una particolarità tematica che mette fine al lavoro. Ci facciamo tante domande e non riconosciamo quello che sta succedendo. Risulta difficile fare una previsione, è come se vivessimo per la prima volta un momento storico per cui non abbiamo riferimenti e facciamo fatica a immaginare quale sarà il prossimo episodio.
Questo è il luogo che stiamo cercando di far emergere nel nostro lavoro, anche perché abbiamo preparato questo spettacolo in casa, in piena pandemia proprio quando la chiusura ci ha fatto vivere il rapporto con lo spazio in modo diverso: da lì è venuto tutto. A parer mio i lavori vengono sempre contaminati da ciò che avviene nel proprio tempo.
Nei materiali di presentazione Lei Lear viene definito uno spettacolo “cacofonico”. Perché? Quali atmosfere lo caratterizzano?
J.M: È concretamente cacofonico. La simbiosi tra i due personaggi crea nervosismo, precarietà. La tensione che si è generata nei mesi di preparazione è diventata parte del lavoro. Questo crea cacofonia, una strana interferenza mentre parliamo all’unisono e che va trasposta all’intera struttura dello spettacolo: è come se mancasse una certezza drammaturgica e registica
C.F: Emergein questo senso la volontà di avere l’altro, di dominarlo e di averlo sotto controllo. C’è la costante necessità di dare la battuta all’altro e queste dinamiche sceniche raccontano spontaneamente ciò che volevamo raccontare non sapendo inizialmente come farlo.
In cosa la vittoria del Premio PimOff potrebbe essere d’aiuto alla crescita del progetto?
J.M: Mi piacerebbe inserirmi in un contesto che per la nostra compagnia è abbastanza sconosciuto. Mi piace l’idea di raccogliere e unire proposte che si dicono contemporanee e dare loro visibilità pur essendo in fase di crescita. Lavorando a livello internazionale, abbiamo ancora tanto da conoscere del mondo teatrale italiano.
C.F: Per noi lavorare in Italia non è stato semplice. Questo ci spingerebbe un a inserirci nel contesto italiano che a noi è risultato abbastanza difficile. Vorremmo continuare la nostra ricerca in Italia. Questo premio può essere un accesso, un’occasione di condivisione e di studio.
Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Su cosa si interrogano gli artisti di oggi? Quali occasioni hanno le compagnie contemporanee per portare all’attenzione del pubblico il proprio lavoro? E con quali mezzi?
A queste domande tenta di rispondere il Premio PimOff per il teatro contemporaneo, realizzato da PimOff, realtà milanese che fonda i propri principi identitari sulla messa in campo di processi di cura e di sostegno nei confronti di progetti inediti del panorama teatrale nazionale. Tramite una call pubblica sono state selezionate quattro compagnie che, il 23 ottobre, durante la finale del Premio, potranno presentare i propri progetti artistici in forma di studio. Una giuria composta da operatori e pubblico decreterà lo spettacolo che avrà diritto a un prolungato periodo di residenza presso PimOff e gli spazi dei partner associati, oltre a un supporto concreto nelle fasi di ultimazione e circuitazione nazionale.
Per approfondire i processi artistici che sottendono le creazioni teatrali in concorso al Premio PimOff, abbiamo dialogato con le compagnie finaliste, aprendo spazi di riflessione sui loro progetti e sullo stato dell’arte.
Iniziamo con il Collettivo BEstand e la Compagnia Basti/Caimmi, rispettivamente in gara conOccidente e What is a fancy word for ending, due lavori accomunati da un approfondimento tematico lirico e cosciente, che muove agilmente tra le contraddizioni del presente e le ricadute di queste ultime sul futuro.
Collettivo BEstand
OCCIDENTE
Collettivo BEstand si prefigge l’obiettivo di portare avanti un’indagine sull’immaginario collettivo, fornendo nuove possibilità di riflessione sul contemporaneo. Che cosa significa per voi fare un teatro politico oggi?
Giuseppe Maria Martino: Fare un teatro politico significa per noi ragionare su un certo tipo di immaginario, con la consapevolezza di vivere il proprio tempo, di essere pienamente nel nostro contemporaneo. Decidere di di fare delle scelte politiche per il nostro collettivo ha a che vedere con chi ti produce, a chi vuoi proporre il lavoro. Non parlare di politica ma fare un teatro consapevole, in questo senso è politico.
Dario Postiglione: Per me politico è soprattutto critico, ovvero non ignorare tutti gli elementi critici che accompagnano la produzione: la proposta artistica da un lato e lo sguardo sul contemporaneo dall’altro. Non proponiamo una denuncia e non invitiamo il pubblico a schierarsi in senso strettamente politico. Il nostro teatro è politico per via di qualcosa che è insito nello sguardo e nel modo di lavorare. Sappiamo che l’idea che l’arte possa essere distaccata dalla politica è solo un’illusione, per questo cerchiamo di esserne consapevoli a livello ideale e lavorativo.
Volendo approfondire le tecniche compositive che sottendono il vostro lavoro, in che modo si struttura l’intervento artistico di BEstand e come interagiscono sulla scena i diversi linguaggi adottati?
G.M.M: Lavoriamo a partire dalla scrittura scenica, dalla scelta di alcuni temi, di una domanda intorno alla quale fare ricerca. Non ci prefiggiamo un obiettivo in termini di linguaggio, perché esso è aderente all’opera e quindi alla domanda che cerchiamo di formalizzare nel miglior modo possibile. Per quanto riguarda Occidente abbiamo sperimentato un approccio diverso: per la prima volta siamo stati sostenuti da una produzione che ci ha offerto la possibilità di scegliere, di fare ricerca.
D.P: Sono un autore abituato a scrivere in solitaria e a vedere come il testo venga tradotto sulla scena. Con Occidente,però, non siamo partiti dal testo, abbiamo cercato un cuore concettuale artistico, qualcosa che ci premesse particolarmente, pensando a come tradurlo in scena a partire dall’interazione tra la nostra poetica e gli attori. Ciascuno porta un proprio linguaggio. Normalmente svolgiamo una ricerca per tentativi: si forma progressivamente un’immagine, un’idea estetica, poi capiamo in che direzione stiamo andando.
A proposito dell’indagine sul contemporaneo condotta dal vostro collettivo, Occidente alza la posta in gioco, prendendo le mosse dal tempo presente e immaginando un futuro possibile in cui convenzioni e contraddizioni della società occidentale di oggi vengono scandagliate e messe in discussione…
D.P: Per Occidente ho estratto dal genere fantascientifico alcuni elementi che mi interessavano per utilizzare il futuro come una di cartina di tornasole, come una cassa di risonanza del presente. Per questo motivo Occidente è stato definito distopico, anche se noi preferiamo definirlo “realismo distopico”. Non ci sono i termini di una distopia, si tratta della nostra proiezione di ciò che sarà la civiltà occidentale tra venti, trenta o quaranta anni. Ho incrociato tre cose nella scrittura di Occidente: l’immaginario fantascientifico/distopico; la filosofia critica della sinistra dialettica della scuola di Francoforte – la decadenza, l’inefficacia e la vecchiaia di un certo tipo di critica –; la poesia e il suo destino in quanto forma d’arte che per prima in Occidente ha cercato un rapporto verticale e sacro con la realtà. Unendo questi tre piani, la storia è venuta da sé.
G.M.M: Nel passaggio alla messa in scena i temi della morte della poesia, la tirannia del talento, la crisi degli intellettuali, non cercano il realismo o la sola leggibilità dell’opera. Dal momento che i personaggi sono diversi, ognuno di loro mantiene un codice teatrale, musicale e cinematografico e sviluppa un linguaggio: dall’incontro tra questi linguaggi ne risulta uno solo ma vincente.
La finale al Premio PimOff, rappresenta una possibilità che si innesta in un panorama funestato dalla crisi del settore, amplificata più che generata dalla diffusione della pandemia. Che vantaggi comporterebbe la vittoria del PimOff ? In quanto giovani artisti, quali azioni ritenete necessarie per il futuro del settore?
Chiara Cucca: Il collettivo BEstand è costituito da un gruppo di fondatori ai quali, seconda del progetto, si aggiungono maestranze e attori che scommettono con noi e che decidono di abbracciare una modalità di lavoro che spesso non è né sostenibile né sostenuta. Per me anche questo è molto politico: la cura delle relazioni all’interno del collettivo, l’apertura nei confronti di tutte le professionalità della città.
Per quanto riguarda la politica culturale chiederei alle direzioni artistiche degli stabili e delle produzioni medio-grandi, più coraggio nel guardare a una scena contemporanea che a Napoli risulta ancora claustrofobica. Abbiamo deciso di partecipare al PimOff proprio per cercare di uscire dalla realtà napoletana in cui lavoriamo ormai da 4 anni. È un momento di apertura utile a capire cosa sta succedendo nel resto d’Italia e per intercettare altri artisti che, come noi, cercano di vivere una realtà teatrale non elitaria, che portano avanti i propri progetti anche nella mancanza.
D.P: Mostrare il nostro lavoro al PimOff diMilano rappresenta già una vittoria per noi, perché ci consentirà di mostrare il nostro lavoro a un pubblico diverso. A Napoli abbiamo dimostrato già una credibilità, ora la sfida è ampliare il confronto.
BASTI/CAIMMI What is a fancy word for ending
Come è nata la vostra compagnia, perché avete sentito l’esigenza di unire i vostri percorsi artistici?
Anna Basti: Ci siamo incontrate anni fa lavorando come performer per la compagnia Muta Imago. Contestualmente ho iniziato a lavorare a dei progetti in maniera autonoma ma sentivo di non aver voglia di portarli avanti da sola. Ho pensato subito di coinvolgere Chiara perché ci eravamo trovate molto bene, sia rispetto ad un fare scenico sia rispetto al modo di gestire il lavoro in sala. Unlock è statoil primo lavoro che abbiamo curato insieme. Ci troviamo oggi in una nuova fase: se Unlock nasceva da un un mio desiderio di ragionare su certi temi, oggi, con What is a fancy word for ending, il nostro secondo progetto a quattro mani, affrontiamo un desiderio di Chiara. Ciò che mi stimola molto di questo incontro è che proveniamo da due percorsi molto diversi. Interessante è notare come i nostri sguardi, pur essendo originariamente divergenti, tendono allo stesso obiettivo, insieme si contaminano e si pongono in un dialogo sempre molto aperto. Questo per me è molto prezioso.
Da alcuni anni portate avanti una ricerca artistica che indaga la relazione tra i dispositivi di controllo e il corpo. Perché avete scelto di occuparvi di questa tematica?
Chiara Caimmi: Questa ricerca è stata il cuore del progetto Unlock, un affondo sugli effetti patiti dal corpo per l’immersione in una rete di dispositivi di controllo, non solo tecnologici e digitali ma anche sociali e culturali. Un macro-tema che ha guidato quella che poi è diventata una “piattaforma progettuale”. Anche con What is a fancy word for ending, partendo da un tema facciamo in modo di non limitare l’indagine alla forma scenica ma lasciamo che sia proprio l’argomento a suggerire il modo di essere trattato. Unlock è supportato da un laboratorio e ci piacerebbe che accadesse lo stesso con What is a fancy word for ending. Il tema dei dispositivi di controllo è talmente vasto che sta riverberando in altri nostri progetti: in What is a fancy word for ending ci confrontiamo sulla relazione tra i nostri corpi, la cultura d’appartenenza, le tradizioni, i rituali e la loro assenza. È il tema che ci ha avvicinato e quello a cui torniamo più spesso.
A.B: I nostri corpi non possono essere sganciati dalla dinamica relazionale che li conduce, li modifica e li condiziona: resta dunque una nostra base di indagine che continueremo a portare avanti.
What is a fancy word for ending, che indaga il tema della fine e le possibilità di un nuovo inizio, è lo studio con cui siete in concorso alla finale del Premio PimOff. Come avete lavorato alla commistione dei diversi piani che caratterizzano questo lavoro e come si inserisce nel tempo presente la trattazione del tema della fine?
C.C: La nostra collaborazione parte da un processo di ibridazione: cerchiamo un’intersezione tra i nostri interessi e i nostri modi di intendere lo stare in scena in generale, a quel punto i linguaggi si compenetrano in maniera piuttosto naturale. In What is a fancy word for endingutilizziamo principalmente tre media: prevalentemente i corpi, ma anche il suono ed alcuni apporti video. Rispetto al posizionamento nel presente, le riflessioni su questo progetto nascono ben prima della questione Covid.
Da molti anni immaginavo di fare uno spettacolo composto da soli finali, in seguito, creandolo insieme ad Anna l’idea ha preso forme diverse e si è arricchito di tantissimi spunti. In questo processo già in corso è arrivato il covid, portando con sé tutte le sue fini e le sue ripartenze. Ciò ha precipitato nel nostro quotidiano tutte quelle riflessioni che invece prima rimanevano più legate a un discorso di memoria, di, proiezione. È diventato immediatamente urgente e concreto riflettere su cosa accade nello spazio tra una fine e una ripartenza.
PimOff intende, attraverso questo premio, sostenere la creatività teatrale contemporanea. Che valore ha per voi, considerando lo stato del settore, un’attenzione di questo tipo?
C.C: Per noi è un’occasione a dir poco preziosa. Lavorando entrambe come interpreti, la nostra condizione di creatrici esiste innanzitutto per una nostra fortissima volontà, quindi è un sospiro di sollievo e una conferma trovare realtà che si prendono anche cura di quel momento molto delicato e molto importante della creazione che anticipa il debutto. È importante che nella fase produttiva ci sia tutta una rete di sostegno ma anche di sguardi amici, di occasioni di scambio e di confronto, per arrivare al momento dell’apertura al pubblico. Che ci sia questa attenzione, non soltanto al risultato ma al processo, mi sembra essenziale.
Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Il Premio PimOff è un bando di concorso a sostegno della produzione di progetti teatrali italiani in fase di creazione, che non abbiano mai debuttato. La scena teatrale nazionale, pur se caratterizzata da una gamma sempre più vasta di strumenti, tecnologie e linguaggi, rimane al contempo frustrata e reattiva a causa della progressiva erosione delle risorse economiche destinate al settore creativo. La grande sfida del teatro contemporaneo è il saper metter le contraddizioni del sistema al servizio della scena, coniugare l’ibridazione e la specificità linguistica, senza che vengano sacrificate qualità, competenza tecnica e intuizione artistica. PimOff conferma quindi il suo impegno a sostenere la creazione teatrale contemporanea, intervenendo proprio nelle fasi di ultimazione e circuitazione nazionale di progetti inediti.
Come partecipare al Premio PimOff
Il Premio PimOff è riservato ad artist* e compagnie con sede in Italia che, tramite la compilazione di un form online, presentano un progetto teatrale in fase di creazione e inedito sulle scene. Il 23 ottobre 2021, le compagnie finaliste avranno a disposizione 30 minuti ciascuna per presentare in forma scenica il proprio lavoro di fronte al pubblico e alla giuria, la quale al termine della serata decreterà il progetto vincitore del Premio. I vincitori si aggiudicheranno:
un riconoscimento in denaro pari a 3.000 €
una residenza artistica presso Teatro PimOff, Milano
una data con cachet (1500 €) all’interno della stagione di PimOff, nell’autunno 2022.
Fasi di selezione
Invio della candidatura: dal 3 maggio al 3 giugno 2021
Comunicazione della prima selezione: entro il 3 luglio 2021
Interviste conoscitive de* semifinalist* (in remoto): dal 5 luglio al 14 luglio 2021
Comunicazione finale dei risultati: 16 luglio 2021
Gli esiti del bando saranno comunicati pubblicamente sui canali ufficiali di PimOff entro il 16 luglio 2021 e comunicati tramite posta elettronica a* vincit*.
La candidatura potrà essere inviata unicamente mediante apposito form online, accedendo al link sottostante, entro e non oltre le ore 12.00 del 3 giugno.
In collaborazione con Associazione culturale Gli scarti, Sementerie Artistiche, Theatron 2.0 e con i corsi di “Foto Video e New Media” e “Tecnologia del suono” dell’Accademia Teatro alla Scala.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Tramite il bando Citofonare PimOff, ogni anno PimOff individua nuovi artisti e compagnie, italiani e internazionali. Ai vincitori del bando viene assegnato un periodo di residenza artistica, da una a due settimane, nel periodo da febbraio a giugno, con diversi benefit: l’uso gratuito della sala teatrale e della sua strumentazione; un sostegno economico alla creazione; un supporto tecnico, organizzativo, promozionale e distributivo. Ogni residenza si concludeva con un’anteprima del progetto aperta al pubblico e agli operatori teatrali.
In questo momento di chiusura prolungata delle sale, non riusciremo a garantire la presentazione di tutti i progetti. Noi di PimOff vogliamo comunque sostenere la creazione di progetti di danza e performance, ragion per cui continueremo a tenere aperte le porte agli artisti, sperando di poterle riaprire al più presto anche al pubblico.
Quest’anno inoltre PimOff ha stretto una collaborazione con AFOL Moda, corso gratuito di Design del costume per il teatro e lo spettacolo finanziato da Regione Lombardia, i cui allievi avranno la possibilità di interagire direttamente con gli artisti e di fare delle esercitazioni pratiche sui progetti.
I quattro progetti che ospiteremo in residenza presso il nostro teatro nei prossimi mesi sono:
LEGNO di Lara Russo 19 – 25 febbraio
ideazione e interpretazione Lara Russo sostegno alla creazione Carlotta Scioldo
Legno è un’indagine sulla relazione tra corpo e materia, dove il materiale scenografico non è soltanto uno sfondo, né un oggetto narrativo, ma condivide lo stesso piano d’importanza del danzatore. Ogni materiale ha un suo comportamento fisico e una sua storia culturale, i cui echi influenzano il modo in cui l’artista vi interagisce. Lara Russo ci porta alla scoperta della relazione tra danzatore e legno, che diventa materia viva.
PROMETEO? di Lorenzo Covello 2 – 11 marzo
ideazione e interpretazione Lorenzo Covello musica Stefano Grasso
Prometeo? è un lavoro sulla scelta. Sul conflitto, sul dubbio che macera l’animo prima di compiere una scelta, dopo la quale nulla sarà più lo stesso, come dopo ogni scelta che prendiamo in ogni istante. Covello prende spunto dal mito di Prometeo, che portando agli uomini il fuoco ha determinato uno stravolgimento per l’umanità e, per lui, il supplizio millenario. L’avventura di un eroe, un titano umano, che decide di sacrificarsi per l’umanità. O forse no? Forse stava solo giocando con dei fiammiferi e gli è sfuggita la situazione di mano, creando una valanga di eventi al di fuori di ogni suo controllo e previsione?
T=WINS di CRiB 7 – 15 aprile
interpretazione Beatrice Fedi e Fabiana Mangialardi direzione artistica Carolina Ciuti regia Roberto Di Maio
Tra il 2015 e il 2016, i gemelli astronauti Scott e Mark Kelly furono protagonisti di una missione spaziale promossa dalla NASA che mirava ad indagare gli effetti di un anno in orbita sul corpo umano. Per un anno, uno di loro visse sulla Stazione Spaziale Internazionale, mentre l’altro rimase sulla Terra. A scatenare l’interesse di CRiB sono le implicazioni filosofiche dell’episodio: per i gemelli il tempo è trascorso con velocità diverse e le due identità non erano più identiche.
La storia dei Kelly contiene un archetipo di metamorfosi. In un mondo in cui nulla è permanente e la teoria della relatività sfida “l’immagine del tempo che ci è familiare” (Carlo Rovelli, 2016), la metamorfosi deve essere accettata come l’unico paradigma possibile.
FAUNA FUTURA di Yotam Peled & The Free Radicals 22 – 30 giugno
ideazione e creazione Yotam Peled interpretazione Yotam Peled,Erin O’Reilly, Amie-Blaire Chartier, Nitzan Moshe, Hemda Ben-Zvi, Marie Hanna Klemm
In Fauna Futura cinque danzatrici descrivono la vita di una comunità tribale femminile post-contemporanea, in un immaginario futuro radicato nella convivenza armoniosa con la natura. Contrariamente alle tesi che sostengono che il futuro dell’uomo dipenderà dallo sviluppo di tecnologie cyborg, intelligenza artificiale e colonizzazione di altri pianeti, Fauna Futura immagina uno scenario inedito.
L’evoluzione dell’umanità e della scienza hanno decretato l’estinzione e il disastro ambientale sulla Terra: l’animale del futuro sviluppa lentamente mutazioni genetiche che consentono di far fronte a condizioni climatiche estreme e, proprio come le piante, di assorbire CO2 ed emettere ossigeno. Un’evoluzione che ha maggiore successo nelle donne, nocciolo essenziale dell’intero processo creativo, mentre gli uomini sono sull’orlo dell’estinzione.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Die Zwitscher-Maschine (Twittering Machine – La Macchina cinguettante) è uno dei quadri più famosi di Paul Klee, pittore che ha basato la sua ricerca sul rapporto tra la dimensione spaziale delle arti figurative e quella temporale della musica e della letteratura. Il quadro ritrae quattro uccelli appollaiati su un’esile struttura, che “cantano” grazie all’azione meccanica di una manovella. Da questa suggestione nasce Twittering Machine, una performance multimediale eseguita interamente dal vivo, in cui video generativi e musica elettronica accompagnano i movimenti e le parole dell’attore.
Twittering Machine è un racconto tragicomico sulla quotidianità di un dipendente di una grande azienda che, a causa di un imprevisto vede svanire una delle sue poche gioie: l’uscita anticipata del turno breve del venerdì. Un racconto scandito come la bacheca di un social network, in cui si susseguono frasi e racconti ascoltati per strada, nei bar, durante le riunioni aziendali, nei vagoni affollati dei treni e delle metropolitane.
ADA collettivo informale per la scena, nasce a fine 2018 ad opera di Pasquale Passaretti, Loredana Antonelli e Lady Maru, con l’intento di realizzare spettacoli multimediali di teatro e installazione audio-visive. ADA ad oggi ha prodotto: Forse una città, Walking with Damian e Twittering Machine vincitore del premio Pim Off per il teatro contemporaneo. ADA collettivo informale per la scena è sostenuto da Lunarte Festival e da La Dante di Anversa.
Crediti
ADA collettivo informale per la scena Drammaturgia e regia Pasquale Passaretti Visual Loredana Antonelli Musica Lady Maru
Ornella Rosato è giornalista, autrice e progettista. Direttrice editoriale della testata giornalistica Theatron 2.0. Conduce corsi formativi di giornalismo culturale presso università, accademie, istituti scolastici e festival. Si occupa dell’ideazione e realizzazione di progetti volti alla promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
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