Nel suo spettacolo Platonov, Liv Ferracchiati riadatta l’omonima commedia scritta da Čechov intorno ai vent’anni e pubblicata postuma. È la storia di un maestro elementare insoddisfatto, incline all’alcool, conteso tra quattro donne senza riuscire a sceglierne nemmeno una. Prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con il Festival di Spoleto, lo spettacolo ha debuttato in occasione della Biennale Teatro 2020, dove ha vinto la menzione speciale della giuria internazionale, e sarà in scena dal 9 al 14 novembre al Piccolo Teatro Grassi.
L’intervista a Liv Ferracchiati.
Platonov ha debuttato nel 2020 alla Biennale Teatro, dove nel 2017 avevi presentato la Trilogia sull’identità. Che stimoli hai ricevuto dal confronto con pubblico, critica e direzioni artistiche a Venezia e come si sta evolvendo il tuo lavoro negli ultimi anni?
La Biennale Teatro per me è stata una cesura e per questo sono molto grato ad Antonio Latella che mi ha dato l’opportunità di presentare i miei lavori nel 2017 e poi nel 2020. Una cesura perché da lì in poi tutto è cambiato. È stato gratificante, ma anche doloroso: nel 2017 esordivo con tre lavori di drammaturgia originale e due di questi portavano una forma non così canonica e dei temi poco conosciuti. Ora se ne parla di più, ma quattro anni fa l’identità di genere era ancora un concetto poco praticato. Il mio lavoro ha raccolto favore, ma è anche andato incontro ad incomprensioni. Peter Pan guarda sotto le gonne, che racconta l’infanzia di un bambino transgender in corpo di femmina, da alcuni veniva letto come la storia di una bambina con orientamento omosessuale.
Nelle successive rappresentazioni, la scena dell’autoerotismo aveva destato addirittura qualche scandalo, benché fosse, mi spingo a dirlo, una scena di grande delicatezza. Inoltre, forse ancora più di oggi veniva considerato un lavoro inerente a “certi temi” e quindi non universale. Però io sostengo che l’identità di genere la costruiamo tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, quindi quella non era la storia di un bambino transgender e basta, era la storia di una scoperta di sé. Nel 2020, invece, con La tragedia è finita, Platonov ho avuto uno dei debutti più felici di sempre. Certo, temevo la reazione per un mio confronto con Čechov, per averlo sentito a tal punto “mio”, ma qualsiasi accadimento di quel pomeriggio sembrava andare per il verso giusto e, anche se per me i premi nell’arte hanno un valore molto relativo, le parole contenute nella menzione speciale mi hanno fatto particolarmente piacere. Mi pareva, ascoltandole, di essere riuscito a comunicare con qualcun altro.
«Assai di rado m’ero imbattuto in un adattamento che si traducesse con tanta determinazione in un’autentica riscrittura del testo originale e che, tuttavia, con pari determinazione onorasse le ragioni profonde di quest’ultimo» ha scritto Enrico Fiore per Controscena. Da dove sei partito nel processo di riscrittura, insieme alla dramaturg Greta Cappelletti, e quali fasi ha attraversato la stesura del nuovo testo?
Ringrazio Enrico Fiore per queste parole. Insieme a Greta Cappelletti e a Emilia Soldati siamo partiti dal mio rapporto con l’opera, abbiamo immaginato una struttura che vedeva prima l’uccisione del personaggio-Platonov e poi quella del modello interiore-Platonov. Avevo in mente questa figura del Lettore, un personaggio che attraversasse e si facesse attraversare dall’opera, che rendesse i segni d’inchiostro sulla carta vivi e ci interagisse, che li facesse addirittura entrare nella sua vita. Così ho accostato la mia nuova drammaturgia a quella di Čechov con rispetto e audacia, quasi strizzandogli l’occhio, sperando che fosse davvero ironico come emerge da tutti gli scritti che raccontano di lui.
Inoltre ho continuato con la mia ricerca sulla percezione del pubblico. Sono ossessionato dal non proporre una visione museale dello spettacolo. Cerco di far sentire allo spettatore che siamo davvero lì, che ci influenza quello che viene fatto in platea e, soprattutto, che può esserci un dialogo. Per questo lavoro molto anche sul “pericolo” dell’improvvisazione. Sono persino un po’ allergico alla parola “regia” ultimamente, mi sembra troppo vicina a qualcosa che abbia a che fare col potere, quando nella creazione teatrale si tratta di un gioco di squadra e di mettersi in contatto con un motore autentico che muova e traini verso una direzione.
Non saprei immaginare uno spettacolo senza la ricerca di questo motore, così come non saprei immaginare uno spettacolo senza un mio confronto diretto con Anna Zanetti, ad esempio, la mia aiuto regia (non abbiamo ancora trovato una definizione migliore per il suo credito, ma ci stiamo lavorando, mi confronto sempre con i limiti concettuali della nostra lingua), che oltre a curare il movimento, è sempre un occhio critico e creativo. Per non parlare del confronto serrato che ho con Emiliano Austeri o Giacomo Agnifili: ognuno partecipa giorno dopo giorno al percorso creativo. L’opera che si va creando è in divenire come noi, non è decisa a tavolino mesi prima, quella è la morte del teatro. Direi l’inutilità del teatro. È un essere vivente che non sa cosa diverrà il giorno dopo. Ovviamente è un rischio e deve essere preceduta da una ricerca meticolosa e lunghissima prima di arrivare in sala. È un vivere su un orlo, come capita a qualunque essere che abbia in sé vita.
In scena con te ci sono Francesca Fatichenti, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini e Matilde Vigna. Come hai scelto il cast e quanto è consistente l’apporto creativo attoriale in questo spettacolo?
Francesca Fatichenti, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini e Matilde Vigna sono entrati nel progetto dopo una lunga ricerca, dopo lunghi ragionamenti. Per ognuno ci sono tanti motivi specifici che non posso esplicitare qui, ma per tutti c’era una stima prima umana e poi artistica. C’era la sensazione di potersi intendere sul lavoro, infine, o forse non proprio alla fine, c’era da parte di tutti loro un enorme talento che non è nemmeno tanto il caso di sbandierare, in quanto evidente da sé.
L’apporto creativo delle attrici è stato corposo, perché abbiamo lavorato molto a partire da improvvisazioni strutturate e dalle loro proposte ho costruito la drammaturgia originale. Le quattro donne del Lettore sembrano così vere, tanto che si è parlato di autobiografismo mio, per la generosità creativa delle interpreti che hanno mescolato ai miei input la loro fantasia. Riccardo Goretti doveva avere, già nella mia idea iniziale, uno stile di recitazione che si collocasse a metà tra quello delle altre interpreti e il mio che è totalmente naïf, piano, simile a come si parla nella vita. Volevo inoltre un compagno di scena abile ad improvvisare.
In un’intervista rilasciata per il Festival di Spoleto dichiari che Platonov «si sente un fallito, ma il fallimento è sempre relativo a quello che è il tuo sistema di valori». Cos’è per te il fallimento e cosa metti in cima al tuo sistema di valori?
Il fallimento è non riuscire a raggiungere quello che ti imponi, ma a volte, paradossalmente, hai solo sbagliato a fissare gli obiettivi. Quindi non hai fallito, piuttosto hai sbagliato desideri. Il mio sistema di valori rispetto al fallimento non saprei definirlo.
Non ambisco a nulla, mi dibatto per non essere affossato dalla noia o dai miei timori, agisco spesso d’istinto, cerco di capire cos’è “giusto” per me in un dato momento. Sarà che non riesco a dimenticare che tanto alla fine si muore e questo mi fa avere una giusta distanza da varie questioni. Non sono distaccato, tutt’altro, però forse il mio sistema di valori è mobile, fluido. Quando si scopre che tutto è relativo è difficile avere un sistema fisso. A ogni modo, tendenzialmente, non uccido.
Hai appena pubblicato con Marsilio il tuo primo romanzo, Sarà solo la fine del mondo. Cos’hanno in comune il protagonista, Guglielmo Leon, e Platonov?
A mio modo di vedere, ma molti esperti di letteratura russa potrebbero contraddirmi in qualsiasi momento, questi due personaggi sono “uomini superflui”. Sono cioè uomini dominati da un demone interiore che li porta fino all’autodistruzione, solo che Guglielmo Leon reagisce e fa vedere a Platonov, che se lo chiede di continuo, com’è che si può vivere come avremmo potuto.
In occasione della Giornata Mondiale del Teatro, giornata di mobilitazione in tutto il territorio nazionale, il Coordinamento Spettacolo Lombardia ha deciso di intraprendere l’occupazione pacifica di un luogo simbolico come il Piccolo Teatro Grassi di via Rovello (Milano). È stato scelto questo luogo per la sua storia. Il Teatro Grassi è “il primo teatro comunale di prosa d’Italia”, nato con l’impegno di essere “un teatro d’arte per tutti”. Come dicono le parole dei fondatori, il teatro è “il luogo dove una comunità, liberamente riunita, si rivela a se stessa: il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere, perchè, anche quando gli spettatori non se ne avvedono, questa parola li aiuterà a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale”. In queste parole si riconosce il Coordinamento che ha dato vita a questa azione.
Viene quindi istituito un Parlamento Culturale Permanente come luogo di incontri, assemblee, dibattiti, laboratori e proposte artistiche. Sono chiamati a partecipare le lavoratrici e i lavoratori, le imprese culturali, le piccole e medie compagnie, le istituzioni e tutte le realtà che compongono il settore, per un’assunzione di responsabilità condivisa. Per costruire una ripartenza sostenibile da tutti, a partire dai più fragili, considerando il lavoro come centralità e motore di tutte le categorie, non solo del settore culturale.
A questa azione partecipano anche le studentesse e gli studenti delle Scuole, delle Università e delle Accademie di Milano come parte integrante e fruitrice del mondo della Cultura. Saranno al nostro fianco oggi per non diventare i precari di domani. “Prove per uno spettacolo vivo” è un gesto artistico e politico che rivendica lo spazio che da più di un anno è stato negato alla Cultura, per discutere/denunciare le contraddizioni che la pandemia ha fatto emergere duramente nella nostra società.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Il Piccolo Teatro di Milano riaprirà in autunno con una stagione modellata sulle esigenze delle norme sul Covid e articolata in due fasi: la prima, fino a fine anno, è stata modellata tenendo conto di tutte le regole sul distanziamento (che prevedono ad esempio l’obbligo di stare a due metri di distanza sulla scena o altrimenti di indossare mascherine ffp2), e i biglietti saranno in vendita dal 14 settembre. La seconda invece ipotizza un allentamento delle misure al fine di evitare che il distanziamento sanitario necessario per le norme anticovid diventi “distanziamento sociale”.
“Una risposta responsabile” – ha spiegato alla presentazione il direttore uscente Sergio Escobar, che dopo 22 anni lascerà la guida del teatro a fine mese – alla drammatica contingenza, in profonda sintonia con lo sforzo potente di tutta la città che sulla cultura ha sempre puntato, investito come strumento di ricostruzione sociale.
“Siamo chiamati a un impegno senza precedenti. Sarà una battaglia difficile”, ha aggiunto il sindaco di Milano Giuseppe Sala riconoscendo al Piccolo di avere “dimostrato di non arrendersi”. D’altronde questo è nel dna del teatro fondato nel dopoguerra da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, di cui nel 2021 si celebrano i cento anni dalla nascita.
“La riapertura – ha sottolineato il presidente del Piccolo Salvatore Carrubba – è un grande atto di speranza e di fiducia per la città”. Non a caso, ospiterà anche spettacoli di altri teatri di Milano (il teatro i e il teatro della cooperativa) che avrebbero faticato a far entrare gli spettatori nelle loro sedi. “L’augurio – ha aggiunto Andrea Rebaglio vicedirettore area Arte e Cultura di Fondazione Cariplo – è che il Piccolo possa farsi interprete e capo fila di una nuova proposta”.
E allora ecco che – accantonate tre produzioni che erano in progetto e a cui si è dovuto rinunciare, fra cui una con protagonista Toni Servillo – il teatro ospiterà dall’11 settembre Tramedautore – festival internazionale delle drammaturgie, il festival Mix di cinema Gaylesbico e Queerculture, (mentre sarà a novembre il progetto Next di Regione Lombardia, realizzato con Cariplo). Il sipario si alzerà il 6 ottobre per ‘Con il vostro irridente silenzio’ ideato da Fabrizio Gifuni a partire dalle lettere e dal memoriale di Aldo Moro, ma in programma figura anche Franco Branciaroli con la Notte dell’Innominato, Paolo Rossi con Pane o libertà. Su la testa, e Lella Costa, per i cento anni dalla nascita di Franca Valeri, a interpretare La vedova di Socrate.
Sono quattro le produzioni del Piccolo in questa prima fase di stagione: Storie di Stefano Massini, andato in anteprima nella programmazione estiva del teatro, la ripresa della Tragedia del vendicatore di Declan Donnellan, ma anche la prima assoluta di Edificio 3 con la regia dell’autore argentino Claudio Tolcachir e una versione particolare di Natale in casa Cupiello in cui ha interpretare tutti i ruoli è Fausto Russo Alesi. Non senza difficoltà (date le diffidenze verso il Nord Italia e le limitazioni ai viaggi) ci saranno anche ospitalità straniere come l’anteprima del Milano Flamenco Festival, e De Living, creazione del regista Ernsan Mondtag realizzato dal teatro belga NTGent. Fra gli spettacoli previsti nel 2021 c’è invece Hamlet di Antonio Latella, che avrebbe dovuto debuttare lo scorso febbraio dopo oltre un mese di prove.
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Dal 16 giugno al 20 settembre 2020, il Piccolo Teatro di Milano darà il via alla Stagione estiva con 13 spettacoli dal vivo, per un totale di circa 50 recite complessive e dieci dirette video. Gli spettacoli saranno all’aperto, nel Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2), per poco meno di settanta spettatori, e, in proficua sintonia con i Municipi e con la Fondazione Cariplo, verranno riproposti, nel mese di luglio, in nove spazi dei Municipi della città di Milano, realtà significative e da anni attive per impegno sociale e vivacità culturale. Particolare attenzione viene data alle sedi dell’Housing Sociale, sostenute da Fondazione Cariplo.
Alla presentazione (via web) del cartellone non c’è stato spazio per parlare della futura guida del teatro che Sergio Escobar lascerà a novembre dopo 22 anni come direttore. Il presidente del cda Salvatore Carrubba ha detto di augurarsi una “procedura pubblica, trasparente e veloce”. È stato invece il sindaco Giuseppe Sala, in un’intervista, a confermare che non cercherà di convincere Escobar a rimanere, ma ha anzi “qualche nome in testa” del quale parlerà con il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.
La programmazione del Chiostro sarà continua, da giugno a settembre, con tre recite per ciascuno dei titoli presentati, dal martedì al giovedì, per poi spostarsi nel fine settimana in altri luoghi della città metropolitana. Particolarmente stretta sarà la collaborazione con mare culturale urbano, dove verranno trasmesse in diretta, su grande schermo, le prime rappresentazioni, in contemporanea con il Chiostro e dove, ad agosto, sarà presente dal vivo Marco Paolini.
Oltre a quest’ultimo, saranno presenti artisti protagonisti anche della prossima Stagione 2020/2021: Stefano Massini, Gabriele Lavia, Sonia Bergamasco, Davide Enia, Paolo Rossi, Massimo Popolizio, Michele Serra, la Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, Lella Costa, Enrico Bonavera, Enrico Intra, e un’ospitalità delTeatro dell’Elfo, Frankenstein, nell’interpretazione di Elio De Capitani. Dal 13 al 20 settembre, le proposte di Tramedautore, che si aggiungono ai 13 spettacoli, a rinnovare una collaborazione consolidata negli anni.
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Dopo 22 anni, al Piccolo Teatro di Milano finisce l’era di Sergio Escobar. Il direttore ha confermato ieri, durante la riunione del cda, “la volontà, già precedentemente espressa, – si legge in una nota del teatro – di non chiedere il rinnovo del mandato per un nuovo quadriennio e si è dichiarato disposto a una prosecuzione – nelle forme compatibili con le norme in vigore – del proprio attuale impegno fino alla data del 30 novembre 2020, per consentire, nel frattempo, la nomina del nuovo direttore e un congruo periodo di affiancamento, come consuetudine in altre importanti Istituzioni europee”.
Il CdA, “nel prenderne atto, ha ringraziato il Direttore Escobar per la preziosa attività fin qui svolta e per l’ulteriore assunzione di responsabilità e ha espresso la volontà di favorire procedure pubbliche e trasparenti di selezione. Il CdA procederà a informare i Soci fondatori e il Mibact per definire e avviare le modalità di selezione del nuovo direttore”.
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