da Edoardo Borzi | 17 Mag 2023 | News
Dopo il primo weekend di eventi, continuano il 20 e il 21 maggio gli appuntamenti con la grande danza internazionale a Velletri (RM), all’interno della IV edizione di Paesaggi del Corpo – Festival Internazionale Danza Contemporanea.
Si aprono le danze, il 20 maggio al Teatro Artemisio Gian Maria Volontè, con la compagnia tedesca Tanz Harz che presenta la prima italiana dello spettacolo Winterreise del coreografo Tarek Assam, direttore del balletto e coreografo residente della Tanzcompagnie Giessen dello Stadttheater Giessen dal 2002 al 2022, con un vasto repertorio coreografico presentato a livello internazionale, in Germania, Polonia, Belgio, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Svizzera, Austria, Italia e Cina. Sostenuta da un coerente, semplice ma efficace disegno dei costumi nei colori grigio, beige, blu e bianco, la danza respira e si formula in un “terzo” spazio accanto al canto e al pianoforte, che mantengono l’equilibrio della coreografia. Le melodie e le strofe, le rispettive diverse dinamiche e stati d’animo si incontrano così nell’occhio dello spettatore in un cosmo coreografico che è semplicemente una festa per gli occhi. Il Festival continua con il debutto nazionale della compagnia Mandala Dance Company, compagnia di produzione contemporanea diretta da Paola Sorressa, che svolge dal 2010 attività in Italia e all’estero (Usa, Algeria,Thailandia, Messico, Tunisia e Spagna), che porta in scena un estratto de Le Fantasme di Zvanì, una coproduzione di Paesaggi del Corpo: lo spettacolo di teatro-danza mette in scena due dimensioni poco conosciute del celebre poeta Giovanni Pascoli, rivelando l’immagine di un artista e di una personalità ancora più grande e moderna di quel che ci è potuta apparire attraverso le poesie che si trovano nei libri di scuola. Le ricerche e i libri di Francesca Sensini, docente dell’Università di Nizza e scrittrice, che ispirano la regia di Daniele Lamuraglia e le coreografie di Paola Sorressa per questo spettacolo di teatro-danza, hanno messo in risalto l’importanza delle relazioni di Pascoli con alcune figure femminili – reali, immaginarie, simboliche, mitologiche – e il ruolo fondamentale che hanno avuto sulla sua vita e sulla sua poetica.
Si prosegue il 21 maggio alle 18:00, con Cappuccetto Rosso. C’era una volta il Lupo e la Fanciulla, uno spettacolo per ragazzi e famiglie, di compagnia Atacama, diretta da Patrizia Cavola e Ivan Truol, ospite dal 1997 di importanti teatri e festival internazionali in Italia, Germania, Spagna, Belgio, Francia, Brasile, Polonia e Portogallo: gli autori, partendo dalla fiaba, intendono esplorare il contrasto tra il mondo luminoso e sicuro del villaggio e quello oscuro e insidioso della foresta. Il concept vuole mettere in atto differenti sguardi sul racconto narrato dalla fiaba, rilevare varie sfaccettature dei personaggi, tre diverse Cappuccetto Rosso con caratteri e qualità differenti che reagiscono ognuna a proprio modo al compito assegnato dalla madre e all’incontro con il lupo, determinando tre possibili differenti storie.
Il Festival è realizzato dall’associazione culturale La Scatola dell’Arte, sotto la direzione artistica di Patrizia Cavola, con il contributo di MiC – Ministero della Cultura e Regione Lazio, in collaborazione con FONDARC Fondazione di Partecipazione Arte e Cultura Città di Velletri e con il patrocinio del Comune di Velletri.
Il programma del Festival è su: https://paesaggidelcorpo.it. Per info e prenotazioni scrivere a info@paesaggidelcorpo.it.
da Redazione Theatron 2.0 | 20 Apr 2023 | News
Dal 13 maggio al 2 luglio la IV edizione di Paesaggi del Corpo – Festival Internazionale Danza Contemporanea tornerà ad animare la città di Velletri (RM) con spettacoli, performance site specific e di danza urbana outdoor presentati da compagnie italiane, formazioni internazionali e giovani autori e autrici. Arricchiranno il programma del Festival, percorsi di residenza creativa, formazione e laboratori di ricerca, incontri di approfondimento, progetti speciali a carattere multidisciplinare volti a creare momenti di relazione tra la danza e altre arti come l’arte visiva, la scrittura, la musica, le nuove tecnologie. Il Festival sarà realizzato dall’associazione culturale La Scatola dell’Arte, sotto la Direzione artistica di Patrizia Cavola, con il contributo di MiC – Ministero della Cultura e Regione Lazio, in collaborazione con FONDARC Fondazione di Partecipazione Arte e Cultura Città di Velletri e con il patrocinio del Comune di Velletri.
La IV edizione di Paesaggi del Corpo, dal titolo Memorie, comprende 33 spettacoli presentati da 21 tra le più rilevanti compagnie italiane tra cui Compagnia Abbondanza Bertoni, Balletto Civile, EgriBiancoDanza, Compagnia Atacama, Marco D’Agostin/VAN, Chiara Frigo/Associazione Culturale ZEBRA, Artemis Danza, Fabrizio Favale & First Rose/KLM Le supplici, Compagnia Naturalis Labor, [RITMI SOTTERRANEI] Contemporary Dance Company, Mandala Dance Company, Fabula Saltica e formazioni internazionali come Cie Art Mouv’ (Corsica/Francia), Cia. Mariantónia Oliver (Maiorca/Spagna), Tanz Harz (Germania), Eirad Ben Gal (Israele), Zawirowania Dance Theatre (Polonia). Non mancherà l’attenzione alle nuove generazioni di autori per valorizzare la creatività emergente con Valeria Loprieno, Noemi Piva, Manolo Perazzi, Uscite Di Emergenza, Create Danza, KINESIS CDC, VIdavè/Movimento Danza che saranno ospiti della IV edizione di Paesaggi del Corpo.
Per sostenere la creazione artistica, il Festival favorirà la realizzazione di residenze artistiche presso La Scatola dell’Arte di Roma in cui verranno ospitate in residenza creativa la Compagnia Atacama con il progetto Anime e Mandala Dance Company con il progetto Le Fantasme di Zvani; all’interno della sezione Nuove generazioni,Davide Romeo con il progetto Scylla e Valeria Loprieno con Pablo.
Prosegue anche quest’anno Dance System, progetto a cura di Theatron 2.0 che prevede la realizzazione di conferenze, tavole rotonde e dibattiti intorno alla Danza Contemporanea in Italia e all’Estero. Il primo appuntamento è previsto il 13 maggio dalle ore 16:30, in occasione della giornata inaugurale del Festival, a partire dalla relazione tra la danza e la sue fonti. Grazie al prezioso contributo di accademici, giornalisti e operatori esperti nelle arti coreutiche, Dance System costituirà un dispositivo d’incontro e di confronto tra addetti ai lavori, coreografi italiani e stranieri ospiti presso Paesaggi del Corpo e il pubblico di appassionati alle arti performative.
A partire dal titolo Memorie, la riflessione sull’essere umano rappresenta un macrotema che sottende il programma di questa edizione che pone l’accento sul carattere innovativo delle performance e dei linguaggi, nel segno della contemporaneità e al tempo stesso della memoria. Infatti, a partire dalla pluripremiata Compagnia Abbondanza Bertoni (Premio Ubu 2021 solo per citare l’ultimo vinto), in apertura di festival con l’assolo C’è vita su Venere, un viaggio verso l’interno e verso l’altrove; si passa all’opera corale e inclusiva della Compagnia spagnola Mariantónia Oliver in programma con il progetto Las Muchísimas che prevede l’inserimento in scena di donne over 60 di Velletri tramite un percorso laboratoriale; arrivando alla performance Miss Lala al Circo Fernando della coreografa Chiara Frigo in sinergia con una interprete rara e preziosa come Marigia Maggipinto, danzatrice di Pina Bausch, che si lascerà dirigere dal pubblico nella costruzione della performance attraverso la scelta di ricordi e materiali provenienti dall’esperienza con la grande maestra del teatro danza internazionale.
Il tratto multidisciplinare che da sempre caratterizza il festival sarà ben rappresentato dall’incontro della danza con le altre arti come la poesia, la letteratura, le arti visive e la musica dal vivo in opere corali e site specific come Anime di Compagnia Atacama al debutto nazionale, Coreofonie di EgriBiancoDanza, Gente di Balletto Civile, in cui la danza è il filo che unisce l’architettura dei luoghi e la musica.
Durante il periodo festivaliero sono previsti laboratori di approfondimento e conoscenza del linguaggio del movimento della danza contemporanea, preparatori alla visione e alla discussione con gli artisti presenti al festival, che metteranno in connessione il percorso creativo e pedagogico di alcune compagnie, con l’obiettivo di annullare la distanza tra artista/spettatore e allievo/professionista. I laboratori permetteranno ai partecipanti di conoscere l’identità coreografica degli autori e delle loro produzioni artistiche su cui poi andranno a intervenire direttamente in scena per una crescita reciproca sia umana, sia professionale. Nell’ottica di approfondire e apprendere al meglio il linguaggio coreografico verranno anche realizzate masterclass con gli artisti ospiti al festival, mettendo in atto momenti di incontro e confronto tra le arti, tra gli artisti e la cittadinanza, tra le diverse associazioni e enti coinvolti nella sua realizzazione.
Il programma del Festival è su: https://paesaggidelcorpo.it
Per info e prenotazioni scrivere a info@paesaggidelcorpo.it.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Roberto Stagliano | 29 Ott 2020 | Interviste
Inizia a studiare danza molto presto Adriana Borriello, a soli tre anni. Indirizzando la sua vita artistica e il suo corpo verso forme di ricerca e di espressione, di contenuti e di pensieri. Dopo il diploma presso l’Accademia Nazionale di Danza decide di perfezionarsi al Mudra di Maurice Béjart a Bruxelles, in un continuum di formazione umana e professionale, proseguito incessantemente come un fiume in piena.
Le persone che si “muovono”, nella Danza, sono quelle che scoprono, indagano e raccontano ciò che è scritto sul loro stesso corpo. Adriana Borriello è una danzatrice, coreografa, pedagoga che ha lavorato e lavora coinvolgendo e attivando nello spettatore, a livello fisico e corporeo, uno o più processi. Questo è l’aspetto fondamentale che caratterizza la dimensione della memoria (individuale o collettiva), nonché la crescita totale dell’artista.
Le parole e le considerazioni di Adriana Borriello, emerse durante questa intervista, estrinsecano quel passaggio ulteriore, quei concetti chiave che caratterizzano il suo moto interiore e la sua azione artistica. Inoltre, anticipano la sua partecipazione al Festival di Danza Internazionale Paesaggi del Corpo, convertita in evento streaming a seguito dell’emanazione dell’ultimo DPCM, con la performance La conoscenza della non conoscenza che verrà trasmessa in streaming sabato 31 ottobre alle ore 21:00.
Per prenotarsi e ricevere il link per vedere lo spettacolo su pc o su smartphone è necessario inviare una email a info@paesaggidelcorpo.it.
Un lavoro per andare in scena non dev’essere necessariamente finito, “complesso” non significa inafferrabile, il pubblico può essere coinvolto nel processo di creazione. Il gesto, il movimento e la parola sono segni che mettono in azione una relazione comunicativa tra le persone e così, solo così, per non essere vuoto, privo di significato, il movimento dev’essere significante.
Come si è svolta e come è cambiata l’esperienza di direzione artistica del progetto DA.RE. alla luce della complessità e delle criticità legate al momento di emergenza che stiamo attraversando?
Questo momento particolare, per tutto il mondo e per tutti i settori, ha modificato, influenzato la progettualità di DA.RE Dance and Research, prevista per questo 2020. Quello attuale è il terzo anno di un triennio per il quale era stato progettato, oltre a un programma didattico che avrebbe incrociato una serie di esperienze di ricerca affidate ad artisti diversi di livello internazionale, anche una serie di esperienze di approfondimento offerte agli allievi. Attività professionali nella forma di stage o tirocini indirizzate alle principali professioni: l’interprete – danzatore-performer –, l’autore – apprendista coreografo o creatore della scena – e la figura del didatta, nell’ambito soprattutto sociale.
Tutto questo era già stato avviato a fine gennaio. Il lavoro più importante, però, cominciava in contemporanea con il lockdown, per cui abbiamo dovuto sospendere tutto. Per un periodo di tempo abbiamo cercato di capire l’andamento, riprogrammando più volte le attività. A un certo punto ho deciso di chiudere e di attendere gli sviluppi futuri. Abbiamo fatto partire degli incontri online evitando, per scelta personale, tutto ciò che attiene all’attività corporea, fisica a distanza.
Ho avviato delle lezioni teoriche che abbiamo offerto non solo agli studenti di DA.RE, ma in generale anche al mondo della Danza, al di là del progetto ristretto, e abbiamo avuto una rilevante partecipazione. Infine abbiamo attivato dei corsi particolari legati a dei processi di osservazione, di elaborazione creativa che contemplavano la possibilità di un lavoro individuale svolto a distanza e in confinamento, in linea con le possibilità del momento, e degli incontri online di condivisione e di verifica, di rilancio.
Quando è stato possibile riprendere una parte delle attività in presenza, con tutte le limitazioni del caso, tra giugno e luglio, abbiamo realizzato una parte del programma così come era stato previsto. Di recente siamo stati in residenza per una settimana a Rosignano Marittimo, presso Amunia, e siamo riusciti a riprendere altre attività.
Insomma, stiamo navigando a vista. Da una parte, come tutti, stiamo cercando di realizzare il più possibile quello che era stato programmato e, dall’altra parte, io sto elaborando delle esperienze online. Possibilità future che guardino oltre questo momento particolare. Includendo inevitabilmente la previsione delle ricadute, anche quando la situazione sarà meno emergenziale.
Tutto questo impone però una riflessione. Da un lato, l’atteggiamento che ho assunto è quello di fare programmi man mano che la situazione evolve. Dall’altro guardo oltre, spingendomi verso una progettualità a lungo termine che si adatta in qualche maniera senza svendere quella che è la nostra arte. Credo che tutto quello che sta accadendo sia anche un’occasione di riflessione, di sviluppo di altre progettualità che non sostituiscono l’arte dal vivo, ma che in qualche maniera la compendiano e la traducono in un’altra dimensione.
Proprio perché è necessario mantenere e tutelare l’arte dal vivo, la danza e la pedagogia della danza sono diventate entrambe più orizzontali e multidisciplinari?
Scinderei i due concetti. Esiste la questione della trasversalità e della circolarità tra le aree della formazione, della ricerca e della creazione artistica. Il centro del progetto DA.RE. è basato fondamentalmente su questo. Credo fermamente che il concetto di studio, in generale, abbracci tutte le aree della danza, delle arti performative e delle arti in genere, per cui la sovrapposizione fra i campi della formazione, della ricerca e della creazione artistica, è necessaria e rappresenta un nutrimento a tutto tondo per tutti i protagonisti di questo tipo di pensiero, di atteggiamento.
DA.RE., infatti, si fonda sul concetto che studiano gli allievi, ma studiano anche i docenti, gli artisti. Tutti imparano da tutti, si mettono in circolo le varie fasi del lavoro. Anche la formazione va in questo senso. Penso che questo sia il momento opportuno per dedicarsi alla dimensione dello studio, della ricerca dell’intimità che questi campi richiedono, ancor più dell’esposizione finale.
Non necessariamente tutto deve avvenire solo dal vivo. Ci sono cose che possono essere sviluppate in diverse forme. Non penso solo al lavoro on-line, penso anche ad altri tipi di confronto come la scrittura, la lettura, il confronto attraverso il verbo, la parola, può essere un’altra forma di nutrimento. Questo non può sostituire l’arte dal vivo. Può essere un altro filone, un altro campo di ricerca e di sviluppo.
Tra l’altro, viviamo un momento in cui, in particolare nella danza, esiste pochissima letteratura scritta. Ci si sta rendendo conto che è utile invece che le esperienze vengano tramandate attraverso la parola, lo scritto e altre forme che non sono solo quella dello spettacolo, del video. Forse potrebbe essere il momento per sviluppare in maniera più corposa questi aspetti.
Può descriverci e raccontarci qualcosa a proposito del suo nuovo spettacolo La conoscenza della non conoscenza?
La conoscenza della non conoscenza non è uno spettacolo canonico. È una lectio performance, una sorta di conferenza spettacolo che abbraccia e si situa in quella intersezione di cui parlavo. È un’esperienza nata in seno alla presentazione del mio libro Chiedi al tuo corpo, in cui si parla del mio lavoro. In particolare, la parte scritta da me, descrive la metodologia di lavoro che ho sviluppato mediante l’esperienza pedagogica ventennale e che nasce dalla mia esperienza di autrice, di coreografa e danzatrice.
Lo spettacolo in qualche maniera si manifesta anche attraverso il verbo perché è agito, ma è anche parlato. Attraverso la parola mette a fuoco i fondamenti del linguaggio della danza: l’organizzazione dello spazio e del tempo attraverso il movimento. Agisce questi principi che vengono proposti e descritti al pubblico. Per cui è un continuo palleggio tra la parola che fa emergere i principi fondamentali del linguaggio della danza e l’azione che li mette in atto. È un percorso, quindi, che va dagli elementi fondativi per eccellenza ovvero il ritmo legato al visivo e al tempo, fino a elaborare il discorso sulla danza.
In che modo possono essere sviluppate nuove forme di prossimità, di contatto tra artisti e pubblico?
Credo che stiamo vivendo un momento di evoluzione delle arti dal vivo, al di là della pandemia. Si sta di diffondendo realmente la necessità sia per il pubblico sia per gli artisti di avere un rapporto più prossimo ai processi di lavoro. Lo spettacolo ,nel senso canonico del termine, ovvero confezionato, prodotto in tutti i suoi aspetti e offerto come oggetto finito non scomparirà, esisterà.
Sono molto interessata a quest’area in cui si mette in scena o si permette al pubblico di accedere ai lavori in fieri, a come si arriva al lavoro compiuto nella danza contemporanea. Questo permette alla gente di avvicinarsi a quei linguaggi, alle questioni che animano gli artisti, ai principi che fondano quei linguaggi autoriali. In qualche maniera soddisfano quell’elemento voyeuristico che esiste nell’essere spettatore e testimone.
Lo soddisfano e lo alimentano ulteriormente, ciò fa sì che gli artisti siano anche più comunicativi nel proprio lavoro e nei confronti dei diversi tipi di pubblico. In questo senso la prossimità va oltre il problema contingente della pandemia perché mancando la componente fisica da tenere a bada e c’è un altro tipo di prossimità che la può sostituire, può sopperire a questa mancanza.
Al di là del mio interesse personale, c’è un orientamento che già da un po’ di anni sovrappone la pedagogia con la creazione artistica, il processo di lavoro offerto al pubblico al momento performativo compiuto. Credo che si troveranno altre forme di partecipazione, di condivisione per la relazione pubblico-evento. Questa situazione ci obbliga a navigare a vista, come suol dirsi e io mi scopro anche a guardare oltre. Nella tragedia e nella drammaticità di questa situazione mondiale, la pandemia può avere comunque degli aspetti positivi e stimolanti che devono essere colti.
Si riuscirà a farlo se non si cavalcherà il panico che serpeggia e che viene alimentato attraverso il modo in cui stanno veicolando tutto questo. Io sono molto polemica rispetto alla stampa, per esempio perchè ogni tanto capto delle frasi, modalità di veicolare delle informazioni legate al Covid che, a mio avviso, sono da terrorismo puro. La situazione è drammatica, non va sottovalutata, le economie stanno saltando.
È un momento di eccezionalità, come una guerra senza armi, però presuppone la capacità di guardare oltre e di vivere il momento nella sua poliedricità, in tutto quello che porta con sé. Sicuramente c’è un’utopia della speranza, ma si sta mettendo sotto la lente di ingrandimento la direzione in cui sta andando l’umanità nell’ordine dei problemi che stanno sconvolgendo l’equilibrio dell’universo, della terra.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
da Ornella Rosato | 19 Set 2020 | Interviste
Dal 19 settembre al 12 dicembre, Paesaggi del Corpo Festival porta la danza contemporanea internazionale a Velletri. Il programma che si estende per un lungo arco temporale, è volto alla fidelizzazione di nuovo pubblico e alla tessitura di una stretta relazione con il territorio che ospita gli eventi. Paesaggi del Corpo vuole ampliare l’offerta culturale ramificandola in luoghi solitamente esclusi dai circuiti ufficiali, mirando a una fruibilità universale della danza contemporanea.
Il Teatro Artemisio Gian Maria Volontè e la suggestiva location della Casa delle Culture e della Musica ospiteranno performance costruite in site specific, pensate ad hoc per gli spazi del festival. Accanto ai grandi nomi della danza contemporanea, tante proposte di artisti under 35 per dare una visione ampia e variegata, che vuole comprendere stili e percorsi di ricerca diversificati. Ne abbiamo parlato con Patrizia Cavola, direttrice artistica di Paesaggi del Corpo Festival.
Radici è il titolo evocativo di questa edizione di Paesaggi del corpo, avente per obiettivo la tessitura di una rete di relazioni con il territorio di Velletri e con la comunità che lo abita. Attraverso quali azioni avete costruito e state costruendo il rapporto con il territorio che ospita il festival?
Innanzitutto dalla collaborazione con i luoghi che abbiamo scelto per il festival, il Teatro e la Casa delle Culture e della Musica di Velletri, che sono gestiti dalla FONDARC nostro partner. Il nostro desiderio è quello di instaurare una relazione nonostante le tante difficoltà emerse in era Covid. Il progetto nasce da una serie di laboratori realizzati con la sede distaccata di Velletri dell’Accademia di Belle Arti e un comprensorio di scuole superiori, aventi lo scopo di coinvolgere studenti e ragazzi in attività che pongano in dialogo la danza, le arti visive, le tecnologie, la scrittura.
I partecipanti, attraverso il loro sguardo, documenteranno il festival. Abbiamo poi avviato dei laboratori con delle scuole di danza di Velletri, al termine dei quali sono previste delle restituzioni che verranno presentate in teatro. È importante che il festival si intrecci con la comunità, con la città tutta, oltre che con i luoghi deputati. Non vogliamo essere un’isola, ma puntare alla creazione di un contatto con i cittadini, attraverso la danza, superando il cliché della danza contemporanea come molto lontana dalle persone che non la praticano. Mai come in questo momento, tornare a incontrarsi attraverso il corpo, attraverso la danza è fondamentale per tutti.
La sfida di Paesaggi del corpo è proporre la danza internazionale fortificando l’offerta culturale di luoghi che, solitamente, vengono tenuti fuori dai circuiti ufficiali. Che valore ha per voi la delocalizzazione dei processi culturali che finalmente sposta l’offerta dalle grandi città?
È qualcosa cui personalmente mi sto dedicando da tantissimo tempo perché trovo necessario che la cultura, e quindi la danza, arrivino ovunque e non soltanto nelle grandi città dove già c’è molta offerta culturale. Paesaggi del Corpo è un progetto che avevo nel mio cuore da tantissimo tempo perché sono legata a questo territorio, che è il luogo in cui sono cresciuta. Nonostante abbia voluto sviluppare la mia storia stilistica e personale altrove, ho sempre avuto il desiderio recondito di portare qui la mia esperienza. Un ulteriore motivo che mi ha spinta a dare vita a questo progetto a Velletri è che in tutto il Lazio, al di fuori di Roma, esiste solo un altro festival dedicato alla danza oltre a Paesaggi del Corpo. Quindi c’è veramente bisogno di rafforzare l’offerta culturale e dislocare la danza dai grandi centri.
Al via il 19 settembre, Paesaggi del corpo si estenderà fino al mese di dicembre. Come si articola il calendario del Festival e secondo quali criteri è stata formulata la programmazione?
Il format risponde a due esigenze: da una parte quella di costruire il festival con una serie intensiva di appuntamenti che diano modo a varie compagnie di incontrarsi, instaurando un dialogo tra gli artisti; dall’altra quella di fidelizzare il pubblico nel tempo, estendendo la programmazione e non esaurendola in una settimana, come è più canonico per i festival. Vorremmo raggiungere gli spettatori attraverso differenti modalità di fruizione, sia con spettacoli in teatro, sia con show format, brevi opere realizzate in site specific, in dialogo con i beni culturali e col paesaggio. I primi quattro appuntamenti del festival, si terranno alla Casa delle Culture e della Musica, un meraviglioso ex convento del ‘600 che verrà abitato da spettacoli pensati per questo spazio.
La programmazione cerca di andare incontro a tutti con proposte per bambini e ragazzi, spettacoli più “canonici”, altri più sperimentali. Abbiamo poi voluto dare spazio sia ad autori giovani, emergenti, sia a coreografi con lunghe storie alle spalle come la Compagnia Zappalà, Adriana Borriello e molti altri. La prima giornata sarà dedicata al futuro, nel senso che i lavori che verranno presentati sono di tre giovani coreografi: Manolo Perazzi e Gruppo e-Motion, Davide Romeo con la compagnia Uscite di emergenza, Martina Gricoli e Compagnia Motus. Ci teniamo molto a dare visibilità a compagnie, autrici e autori che spesso hanno poche occasioni per emergere.
Raggiunto telefonicamente, Manolo Perazzi racconta Crossover la performance con musiche eseguite dal vivo, in scena questa sera alla Casa della Musica e delle Culture.
In occasione dell’inaugurazione del Festival Paesaggi del Corpo, porterai in scena Crossover, uno spettacolo di cui sei interprete e coreografo. Come si è avviato il tuo percorso professionale rispetto all’attività coreografica?
Prima di avviare la mia attività come coreografo ho lavorato a un solo, Pianterreno, che ho presentato al Festival Anticorpi e poi in diverse date. Successivamente, sono stato in Messico e in Belgio, oltre che in Italia con un altro spettacolo, anche in questo caso si trattava di un solo. Con Natalia Casorati e Andrea Gallorosso ho poi lavorato alla creazione di No abla, uno sharing tra due coreografi, un pezzo a quattro mani.
Dopo quest’esperienza ho messo in pausa per un po’ l’attività di coreografo e ho continuato quella di interprete per circa 4 anni, fino a quando ho partecipato al bando di CID Cantieri di Rovereto. Vincendo il bando, è stata avviata una coproduzione e sono stato ospitato in residenza dove ho lavorato allo spettacolo Crossover, con cui sono andato in scena a Oriente Occidente Dance Festival.
In occasione dell’inaugurazione di Paesaggi del Corpo, porterò Crossover a Velletri, nato come uno studio di 30 minuti, danzato da me e da Valeria Russo accompagnati da Flavia Massimo, una musicista che esegue musica dal vivo con violoncello, synt e loop station. La versione che porterò a Velletri ha una durata di circa 20 minuti ed è un solo con musica live. Crossover è stato un esperimento, dentro c’è così tanto materiale da darmi la possibilità di avere diversi approcci stilistici e vari approcci alla coreografia.
Con Fermo Immagine hai dato vita a una performance capace di raccontare, attraverso il corpo, la distruzione provocata dalla guerra. Come nasce questa performance?
Ho lavorato molto sulle immagini di guerra, fotografie in cui vengono immortalati corpi di persone colte in un atto straordinario che modifica l’organizzazione di questi corpi. Ho cercato quindi una qualità di movimento che rendesse quell’istantaneità, quell’urgenza. Non volevo essere quell’immagine ma raffigurarla, farne una trasposizione iconografica.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.