Sul finire del secolo scorso – una manciata di anni dopo aver concluso l’immenso Infinite Jest –, David Foster Wallace si faceva attraversare dalle «voci di un’America stravolta» per allestire una galleria di ritratti mostruosi: Brevi interviste con uomini schifosi (1999) è una raccolta di racconti in cui, con sguardo lucidissimo e ironia corrosiva, lo scrittore statunitense costringe l’uomo contemporaneo – bianco e occidentale – a un processo di feroce autocritica.
È da queste disturbanti ed esilaranti pagine che prende le mosse l’omonima pièce di cui Daniel Veronese – figura di riferimento del teatro argentino nel periodo successivo alla dittatura – firma regia e drammaturgia: già approdato in Cile e in Argentina, lo spettacolo debutterà nella sua versione italiana il primo febbraio al Teatro San Ferdinando di Napoli, prodotto dal Teatro di Napoli-Teatro Nazionale.
A interpretare questo faccia a faccia tra “uomini schifosi” saranno Lino Musella e Paolo Mazzarelli, forti di una lunga esperienza di compagnia insieme: con loro abbiamo parlato del significato di un lavoro completamente “al maschile” sull’opera di Foster Wallace, che ancora oggi si offre come uno specchio perturbante attraverso il quale comprendersi.
Cosa significa confrontarsi con un testo come Brevi interviste con uomini schifosi a più di vent’anni dalla sua uscita, e trasportare la scena dagli Stati Uniti all’Italia?
Lino Musella: David Foster Wallace è un autore molto amato anche in Italia perché riesce a parlare a tutti: nei suoi testi si concentra sull’uomo contemporaneo, sulle nevrosi della nostra contemporaneità. Credo che in fondo questa contemporaneità sia la deriva dell’Occidente, e per questo non credo ci sia molta differenza tra l’uomo americano che lui racconta e quello che viviamo ancora oggi in Italia.
Rispetto al discorso sul genere, al problema delle molestie e del mobbing, negli Stati Uniti sono sempre stati un po’ più avanti con i tempi: probabilmente in Italia stiamo affrontando soltanto adesso questioni che Foster Wallace già trattava in questo libro più di vent’anni fa. Avevo già messo in scena Brevi interviste con uomini schifosi nel 2008 (anno della scomparsa dell’autore, ndr) e ho l’impressione che allora fosse quasi troppo presto per uno spettacolo del genere, che l’argomento apparisse ancora troppo “progressista”. Negli ultimi anni in Italia e in Europa queste tematiche sono diventate molto più centrali.
Paolo Mazzarelli: Se un libro come Infinite Jest è inserito in maniera indelebile nel contesto americano, non credo valga lo stesso per questo testo. Nello spettacolo che metteremo in scena c’è il filtro della regia e della drammaturgia di Veronese – restituita in scena dall’interpretazione di due attori italiani –, ma mi sembra che l’opera stessa, di per sé, abbia un respiro universale.
Probabilmente il contesto americano è fondamentale per comprendere l’anima e la produzione di Foster Wallace, il suo genio artistico e la disperazione che lo ha portato a ciò a cui lo ha portato, e cioè al suicidio. Ma credo che nel caso particolare di Brevi interviste con uomini schifosi, da grande indagatore dell’animo umano, sia riuscito a osservare in profondità i vizi, le perversioni e le meschinità specialmente del comportamento maschile. E scrivendo questi ritratti, ci ha offerto degli specchi per riconoscere quelli che sono anche i nostri demoni, le nostre colpe e le nostre responsabilità in quanto maschi. In senso universale e culturale.
Brevi interviste con uomini schifosi Ph. Marco Ghidelli
Nel testo di Foster Wallace le brevi interviste sono in realtà dei monologhi, dal momento che lo spazio della domanda viene lasciato vuoto, ed è il lettore a dover ricostruire la voce che interroga. Drammaturgicamente e scenicamente, come avete lavorato a questa ricostruzione?
P.M.: La proposta del regista è stata quella di selezionare – intervenendo anche creativamente – otto quadri tra i ventitré raccolti nel libro: ha scelto di affidarli a due attori uomini, che però si scambiano i personaggi di uomo e donna di scena in scena. Rispetto al testo originale, Veronese inventa un personaggio femminile che non è soltanto un’ascoltatrice silenziosa, ma diventa una sorta di “spalla” e di sparring partner: con piccoli e brevi interventi permette infatti alla scena di proseguire in forma di dialogo.
Quindi Lino e io interpretiamo quattro maschi schifosi a testa e quattro donne-sparring partner. Questa è la struttura dello spettacolo e non c’è nient’altro: non abbiamo né costumi, né scenografie, né musiche, né cambi, né alcun tipo di caratterizzazione – baffi, occhiali, sigarette. Nel cercare di restituire questi ritratti, disponiamo semplicemente dei nostri corpi e dei materiali letterari.
L.M.: La drammaturgia di Veronese è una forma di trasposizione teatrale – non di adattamento –, quindi si è permesso di rimaneggiare il materiale originale per renderlo scenicamente. Chiaramente, in un romanzo si vive soltanto nelle battute che si leggono: il solo vedere in scena una presenza muta che subisce questi discorsi crea una dinamica teatrale molto forte. L’altro non è soltanto una “spalla”, ma è anche colei alla quale questo pezzo viene dedicato e che infine lo subisce.
Soltanto praticando questo dispositivo scenico, Paolo e io ci stiamo accorgendo di quanto sia efficace. Un aspetto molto bello di questo lavoro consiste non soltanto nell’affondare nelle nevrosi di questi uomini orribili, ma anche nell’esplorare l’altra zona – quella femminile – e nell’esperire questa violenza, anche se non si tratta quasi mai di una violenza fisica. È un elemento drammatico che ci permette, in quanto uomini occidentali, di ascoltarci “dall’altra parte”, e di comprendere in maniera molto maggiore quelli che sono i rapporti di forza.
Come è stato lavorare completamente “al maschile” sulle tematiche del testo? Ha coinciso con una sorta di processo di “autocoscienza”?
L.M.: Sì, assolutamente. E l’autocoscienza si attiva proprio in questo senso speculare: mettendosi in scena come maschio orribile, in queste piccole metafore – che sono dei ritratti e dei riassunti –, e ponendosi in ascolto di questo stesso materiale, passando al “lato” femminile. Ci si rende conto di alcune cose soltanto quando le si pratica: cercando nelle nevrosi del personaggio anche le proprie, emergono tutti quei pregiudizi di cui siamo ancora vittime nella nostra cultura, e con cui il maschio occidentale deve continuamente confrontarsi. Credo che sia un lavoro rivolto a uno sguardo già consapevole, a un pubblico teatrale che probabilmente è convinto di possedere già un pensiero progressista su queste tematiche. Ma spesso è dove si dà per assodata questa coscienza che ci sono ancora molti preconcetti da dover disarcionare.
P. M.: Sì, in qualche modo direi di sì. È chiaro che il testo di Foster Wallace è già un punto di partenza fortemente ironico, ma anche fortemente autocritico nei confronti delle schifosità maschili. Per volontà del regista, in scena teniamo sempre il copione: è un gioco teatrale – che forse potrebbe avvicinarsi allo psicodramma – che porta a interpretare dei ruoli e a scambiarseli, e che quindi conduce all’autoanalisi, all’autocoscienza e all’autocritica.
Detto ciò, credo e spero che lo spettacolo faccia anche molto ridere, perché ovviamente sia in Foster Wallace che in Veronese, e anche in me e Lino, c’è una ricerca e un piacere di note umoristiche. Nel descrivere questi uomini, Foster Wallace inietta nel loro modo di parlare e di pensare la sua infinita intelligenza: alla fine, questi uomini sono estremamente intelligenti nel loro essere mostruosi, ed è questo contrasto a rendere l’intero materiale allo stesso tempo perturbante e umoristico.
Accanto a ritratti più “mostruosi”, nel testo di Foster Wallace troviamo descrizioni acutissime di tratti nevrotici o depressivi. Sono davvero così “schifosi” gli uomini che interpretate? Quali costruzioni culturali incarnano?
L.M.: Penso che quello che c’è di veramente “schifoso” siano alcuni fondamenti culturali. La scrittura di Foster Wallace è complessa perché contraddittoria: alla fine – personaggi di più, personaggi di meno – sono comunque degli esseri umani. In scena noi siamo anche portati a doverli “difendere”, perché altrimenti sarebbero soltanto grotteschi, e in realtà cerchiamo di avvicinarci sempre di più a questi personaggi, di renderli tridimensionali. Cerchiamo di comprendere quali sono le loro caratteristiche umane, i lati più deboli e vulnerabili che li portano a essere quelli che sono. Credo però che siano sempre bruttezze della nostra cultura a portare a conseguenze simili, e che quindi la critica, piuttosto che all’uomo singolo, vada rivolta a una certa idea del maschile, al potere di un certo tipo di carnefice sulla vittima.
P.M.: Dobbiamo ancora debuttare, quindi è ancora difficile capire in che modo arriverà lo spettacolo. Man mano che siamo entrati nel lavoro durante queste settimane di prove – inizialmente come lettori, poi come attori –, questi otto ritratti hanno iniziato a cambiare forma, come se, oltre a un carattere fortemente psicanalitico, avessero anche un carattere fortemente psichedelico (ride). All’inizio sembravano caricature, molto lontane da noi, per farsi poi sempre più vicine e diventare degli specchi.
Un paio di personaggi sono fortemente grotteschi, altri sono caratterizzati da nevrosi, devianze psichiche, o dal semplice egoismo e dall’incapacità di ascoltare l’altro. Sono “schifosi” soprattutto nel loro rapporto con il femminile: sono uomini che soffrono molto, ma di questo dolore fanno l’uso peggiore, scaricandolo e riversandolo sulla donna, e quindi scegliendo sempre la strada sbagliata a livello relazionale. Sono delle figure complesse, e in questo senso, è un bel viaggio da affrontare in quanto attori.
Quale pensate sia il ruolo riservato al pubblico nell’interpretazione della dinamica e della dialettica che metterete in scena?
L.M.: Dobbiamo ancora andare in scena, ma suppongo che il pubblico sia chiamato a completare questo discorso. È un lavoro molto teatrale e molto divertente – perché l’ironia di Foster Wallace è davvero molto tagliente e densa –, ma è anche un lavoro in cui c’è molto pensiero. Non è un lavoro che propone una tesi, ma piuttosto delle riflessioni: allo spettatore o alla spettatrice è richiesto di sovrapporre una sua opinione a quello che sta vedendo. Il regista racconta spesso che ci sono state delle donne – in Argentina o in Cile –, che si sono riconosciute maggiormente nella parte degli uomini, che in quella delle donne. In questi frammenti di storie c’è una dinamica tra vittima e carnefice che ognuno può interpretare in base alla propria esperienza.
P.M.: Devo dire che sono molto curioso. Negli scorsi giorni abbiamo fatto una prima prova aperta con una ventina di persone presenti, e mi sembra ci sia stata una risposta positiva dal punto di vista del piacere dell’ascolto e del divertimento. Chiedendo un riscontro alle spettatrici femminili, ci hanno risposto: “sì, effettivamente riconosciamo questi uomini, è vero, sono così” (ride). Sarebbe bello se questo spettacolo – nei limiti di quanto possa fare uno spettacolo teatrale –, potesse portare anche gli spettatori maschili a un piccolo tentativo di autocritica.
Nasce a Brescia nel 1994. Dopo un periodo trascorso a Monaco di Baviera, si laurea in Scienze Filosofiche all’Università di Padova, approfondendo il pensiero estetico di Adorno. Si diploma al Master in Critica giornalista presso l’Accademia Silvio D’Amico di Roma con una tesi dedicata al teatro di Pasolini nella visione di Antonio Latella. Attualmente scrive di teatro, cinema e letteratura sulle riviste online Tre Sequenze e Bookciak Magazine.
In quest’anno poi, così particolare per tanti aspetti, il senso della “stagione teatrale” è stato completamente capovolto, calpestato e superato. Per cui nulla in contrario se anche la “stagione climatica” le fa eco, dando vita così – e nonostante tutto – a uno degli appuntamenti più attesi per il mondo teatrale contemporaneo: Primavera dei Teatri si è svolto dall’8 al 14 ottobre a Castrovillari (CS).
La XXI edizione dello storico festival ha ospitato venti compagnie, tra debutti e spettacoli ospiti, con uno sguardo sempre puntato sul presente. Un programma intenso che riflette su relazioni, tecnologia, politica e sulle conseguenze generate dal Covid-19, evento che ha inevitabilmente segnato l’inizio di una nuova epoca socioculturale.
Primavera dei Teatri è, da ormai oltre vent’anni, un punto di riferimento al Sud per i nuovi linguaggi della scena contemporanea e la nuova drammaturgia.
Il festival diretto da Scena Verticale si avvale della direzione artistica di Dario De Luca e Saverio La Ruina e della direzione organizzativa di Settimio Pisano, i quali hanno nonostante tutto deciso di confermare la città ai piedi del Pollino un punto di riferimento dei nuovi linguaggi scenici e un luogo privilegiato di confronto tra artisti e operatori, anche di generazioni diverse.
«Non abbiamo pensato mai, nemmeno per un attimo di poter saltare l’edizione numero 21» hanno commentato in apertura di festival gli ideatori Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano.
7 giornate di Primavera dei teatri
7 giornate per 7 prime nazionali, un’anteprima, ma anche performance, mise en éspace, progetti internazionali all’interno di più spazi e luoghi all’aperto e al chiuso: il Castello Aragonese; il Teatro Sybaris; l’Accademia dei Saperi e dei Sapori (Ex Mattatoio); il Chiostro S. Bernardino a Morano; il Chiostro del Protoconvento; il Circolo Cittadino.
Sono state ospitate 20 compagnie teatrali, tra le più innovative e premiate d’Europa e tra le più riconosciute tra gli emergenti dell’ultima generazione: Angelo Campolo / DAF Teatro; LAB121 / Fabrizio Sinisi / Claudio Autelli; Teatro delle Ariette; Angelo Colosimo; Anagoor; Lopardo-Russo / Nostos Teatro/ Collettivo ITACA; Gianluca Vetromilo / Mammut Teatro; Compagnia Oyes; Piccola Compagnia Dammacco; Maurizio Rippa; Marcello Cotugno / Teatri Associati Di Napoli/ Interno 5; Liberaimago; Eco Di Fondo; Paolo Mazzarelli; I Sacchi Di Sabbia/ Roberto Latini; Babilonia Teatri; Scena Verticale / Saverio La Ruina; Agrupación Senõr Serrano; Teatro Delle Albe.
Ad arricchire il cartellone artistico incontri, laboratori, concerti e Primavera Kids, programmazione dedicata ai piccoli spettatori.
Un programma intenso quello di Primavera dei Teatri 2020 che, tenendo fede al fulcro della drammaturgia contemporanea, ha seguito il tema dell’indagine sui rapporti e sulla crisi delle relazioni, in senso largo.
L’8 ottobre, in apertura, c’è stata l’anteprima nazionale del nuovo lavoro di Fabrizio Sinisi, diretto da Claudio Autelli, La fine del mondo, opera inedita che riflette sull’emergenza ambientale, in cui la catastrofe climatica si intreccia a quella della vita privata dei protagonisti. Tra le prime nazionali, la Compagnia Oyes hapresentatoVivere è un’altra cosa, drammaturgia collettiva liberamente ispirata a Oblomov di Ivan Gončarov, con l’ideazione e la regia di Stefano Cordella.Un racconto a cinque voci sul tempo sospeso vissuto durante l’emergenza sanitaria in corso. Due compagnie napoletane hanno presentato due prime nazionali.
Marcello Cotugno ha curato la regia di un testo tedesco, di Roland Schimmelpfennig– Peggy Pickit Guarda Il Volto Di Dio– scrittura sincopata con una serie di stop&go narrativi, nel tempo di un aperitivo, tra i quattro di una doppia coppia. Un progetto a cura di Marcello Cotugno, Valentina Acca, Valentina Curatoli prodotto da Teatri Associati Napoli. Fabio Pisano, già premio Hystrio per la drammaturgia, con Liberaimago ha presentato A.D.E.,A.lcesti D.i E.uripide,una riscrittura di Pisano che ne ha curato anche la regia. In scena Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Raffaele Ausiello e le suggestioni sonore, eseguite dal vivo, di Francesco Santagata.
In prima nazionale anche la compagnia Eco di Fondo conLa notte di Antigone; scritto a quattro mani da Giacomo Ferraù e Giulia Viana. Lo spettacolo diretto da Ferraù si ispira alla figura contemporanea di Ilaria Cucchi.
Paolo Mazzarelli ha presentato una rieaborazione di Shakespeare sotto forma di monologo in musica con Soffiavento. Una navigazione solitaria con rotta suMacbeth.
Ha debuttato, inoltre, Into Latino Roberti, un ensemble inedito che vede insieme I Sacchi di Sabbia e Roberto Latini. Una miniserie ispirata al film di fantascienza di Isaac Asimov che coniuga scrittura e performance – quella in presenza di Latini e de I Sacchi in remoto – in cui si torna a riflettere, con misurata ironia, su questo particolare momento storico. Una produzione della Compagnia Lombardi-Tiezzi realizzata con il sostegno di Primavera dei Teatri.
La compagine che ha ideato il festival e da sempre lo cura – Scena Verticale – ha presentatol’ultima creazione di Saverio La Ruina, Mario e Saleh, la storia di un occidentale cristiano e un musulmano che si ritrovano a convivere. Una convivenza che si muove tra differenze e agnizioni, opposizioni e conciliazioni.
Tra gli spettacoli ospiti, quello premiato a In-Box 2020, Stay Hungry. Indagine di un affamato di e con Angelo Campolo e Trent’anni di grano. Autobiografia di un campo del Teatro delle Ariette. Il lavoro di Paola Berselli e Stefano Pasquini, in scena insieme a Maurizio Ferraresi, è nato per Matera 2019 ed è ispirato ai pani del Mediterraneo.
Nostos Teatro ha presentato Trapanaterra, spettacolo ideato da Dino Lopardo, in scena insieme a Mario Russo. Anagoor, invece, ha portano a Castrovillari l’ultima creazione, Mephistopheles. Un viaggio per immagini – scritto, diretto e montato da Simone Derai – in cui video inediti, raccolti in otto anni di ricerche, trovano nuova composizione nella forma di concerto cum figuris, con il live set elettronico di Mauro Martinuz.
Lilith, la performance ideata da Gianfranco De Franco, Cecilia Lentini e Massimo Bevilacqua, ha dato vita a una visione sulla figura della donna simbolo della patologia sociale della repressione.
Piccola Compagnia Dammacco ha presenta Spezzato è il cuore della bellezza, spettacolo scritto, ideato e diretto da Mariano Dammacco, con Serena Balivo, Mariano Dammacco ed Erica Galante.
In scena anche lo spettacolo vincitore della VI edizione de I Teatri del Sacro 2019, Piccoli Funeralidi e con Maurizio Rippa accompagnato alla chitarra da Amedeo Monda e Babilonia Teatri con Natura Mortadi Valeria Raimondi ed Enrico Castellani. In chiusura il debutto del nuovo lavoro del Teatro delle Albe, un poemetto scenico scritto da Marco Martinelli – Madre– che tiene a battesimo un processo di creazione, nato dall’incontro di Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato (tutti e tre in scena) tra testo e illustrazioni livea cura di Stefano Ricci e la musica dal vivo del contrabbasso di Daniele Roccato.
L’ultimo giorno di festival ha visto anche la presenza del gruppo catalano Agrupación Senõr Serrano con il loro The Mountain. L’originale creazione di Àlex Serrano, Pau Palacios e Ferran Dordal parte dalla montagna come metafora che ripercorre la storia delle idee per interrogarsi sul mondo e sul concetto di verità.
Come è nella tradizione di Primavera dei Teatri c’è stato spazio dedicato per le nuove drammaturgie europee e la produzione artistica calabrese con Europe Connection il progetto realizzato da Primavera dei Teatri in collaborazione con Fabulamundi. Playwriting Europe, quest’anno in versione ridotta: Angelo Colosimo, diretto da Roberto Turchetta e in scena con Rossella Pugliese e Peppe Fonzo ha presentato una mise en éspace diSe io vivessi tu moriresti. L’opera dell’autore portoghese Miguel Castro Caldas si pone come indagine su uno dei limiti del teatro: il testo.
Gianluca Vetromilo haportato in scena, invece, in prima assoluta uno studio di Corpo/Arena,daltesto dell’autrice portoghese Joana Bértholo. Mauro Failla, Riccardo Lanzarone e Francesco Rizzo interpretano tre uomini, in una dimensione sospesa, alle prese con una delle grandi sfide del corpo contemporaneo: la fame.
Gli eventi collaterali di Primavera dei teatri 2020
Tra le grandi novità dell’edizione numero 21 del Festival, l’installazioneALLA LUCE DEI FATTI. FATTI DI LUCE. Opera di teatro/architettura in cinque atti simultaneidi Giancarlo Cauteruccio. Un’opera realizzata per Primavera dei Teatri 2020 dall’artista, fondatore di Teatro Studio Krypton, che ha segnato la storia della seconda avanguardia teatrale italiana. Cauteruccio ha ideato per la città un viaggio di percezioni rappresentato da alcune realtà architettoniche cittadine, che raccontano le particolarità più rappresentative del sistema urbano, non solo dal punto di vista estetico e storico ma anche sul piano delle funzioni che svolgono.
Numerosi gli incontri e gli spazi di riflessione, tra cui Lo stato dell’arte a cura di C.Re.SCO e La scena dell’incontro. Dialoghi di civiltà nella drammaturgia italiana contemporanea a cura di Dario Tomasello con interventi di Luca Doninelli, Marco Martinelli e Saverio La Ruina. Uno spazio a parte ha avuto il progetto BeyondtheSud, alla sua 2° edizione e che quest’anno, in via del tutto eccezionale per le sua modalità di svolgimento, ha visto la restituzione dei lavori creati durante la pandemia da giovani registi e drammaturghi.
BeyondtheSud (aka BETSUD), vincitore del bando MiBAC “Boarding pass plus”, è realizzato in rete da Teatro della Città – Catania (capofila del progetto); Teatro Libero Palermo – Palermo; Scena Verticale – Castrovillari; Nuovo Teatro Sanità – Napoli; Sardegna Teatro – Cagliari, con l’obiettivo diffondere buone pratiche e di favorire il percorso di internazionalizzazione di giovani artisti e operatori under 35.
Spazio dedicato ai piccoli spettatori con Primavera Kids, un cartellone realizzato in collaborazione con Menodiunterzo e Apustrum che ha visto in scena il Pinocchio di Teatro della Maruca, un laboratorio dedicato al riciclo, due mostre e la presentazione del libro L’alfabeto di Giannidi Pino Boero e Walter Fochesato.
La XXI edizione del Festival si è conclusa con il live delle Glorius4. Il quartetto siciliano tutto al femminile presenta brani tratti dal loro disco PLAY e dal Tour virtuale intorno al mondo nato durante il lockdown.
Nonostante la difficoltà è stato possibile percepire la gioia degli ideatori e direttori Dario De Luca e Settimio Pisano che, insieme a Saverio La Ruina, guidano il festival e ne stabiliscono le molteplici direzioni da seguire.
In particolare, per Settimio Pisano «è stato fondamentale poter dare continuità al progetto dopo 20 anni e 20 edizioni di festival nella sua naturale configurazione primaverile. A maggio era impossibile capire quali direzioni seguire. Abbiamo ragionato sulle modalità, sulla quantità e anche sull’ipotesi di rimodulare e stravolgere la nostra solita modalità operativa. Il festival per noi continua ad essere un miracolo e quest’anno forse lo è stato ancora di più. Un modo per dare un segnale e per confermare di essere parte integrante di un mondo che ha sofferto, soffre e continuerà a soffrire ma che nonostante questo non molla.
Abbiamo deciso di prenderci la responsabilità nei confronti di tutti quegli artisti, tecnici e maestranze che quest’anno hanno visto un’intera stagione di spettacoli annullati, tour e produzioni saltate. Abbiamo fatto in modo di lavorare e far lavorare comunque e nonostante tutto, rispettando tutti i protocolli. Ora più che mai è fondamentale darsi un orizzonte di lavoro e provare ad arginare le difficoltà, per dare una degna prosecuzione a quei tanti lavoratori che devono poter continuare a fare il proprio mestiere».
Dello stesso parere anche Dario De Luca: «è stato importante fare il festival anche quest’anno, soprattutto nei termini del coraggio che ha richiesto. Primavera dei Teatri, del resto, ha il coraggio nel proprio DNA, poiché è nato e cresciuto con l’intento di dare un senso al mondo del teatro inteso come un mondo fatto da persone e per persone che lavorano e credono in qualcosa.
A edizione conclusa posso dire che è stata un’edizione piena e densa nonostante il momento storico. La risposta del pubblico è stata buona, c’è stata attenzione e rispetto e una grande prova di civiltà».
La XXI edizione di Primavera dei Teatri è stata realizzata grazie al sostegno del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e a valere sull’avviso pubblico della Regione Calabria per l’attribuzione del marchio regionale dei grandi eventi calabresi annualità 2020.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
Da lunedì 20 a domenica 26 lugliotorna a Sansepolcro il festival ideato da Luca Ricci e Lucia Franchi, direttori dell’Associazione CapoTrave/Kilowatt che promuove i linguaggi artistici contemporanei. Un appuntamento estivo che si rinnova ininterrottamente dal 2003 e viene confermato anche quest’anno, nonostante la complessità e l’incertezza del presente che attraversiamo. Ben 38 titoli in cartellone, messi in scena su palchi all’aperto e nei chiostri della città, con un maxischermo in piazza, per estendere la platea degli spettatori, vista la capienza di alcuni spazi ridotta a 80 posti per il distacco richiesto anche in platea.
Sarà un viaggio al termine della notte, come preannuncia il titolo scelto per questa diciottesima edizione che trae ispirazione dall’omonimo romanzo di Louis-Ferdinand Céline: una notte che non finisce, ma rimane dentro di noi, qualcosa con cui dobbiamo necessariamente convivere.
“Scriveva Céline che le abitudini si contraggono più in fretta del coraggio. E non v’è dubbio che dopo questi mesi complicati sarebbe stato più tranquillo attendere, per capire meglio, per non trovarsi in mezzo a regole e cavilli complessi, a responsabilità inedite e sempre maggiori. Ma chi – come noi – si occupa di innovazione ha anche il dovere di fare strada, non solo per ciò che attiene ai linguaggi, ma anche per le pratiche messe in campo. Per questo ci è sembrato giusto non lasciare nulla di intentato, per esserci, con un festival che faccia brillare alta la propria luce nel fondo della notte che stiamo attraversando” – dichiarano Franchi e Ricci.
Padrino di questa edizione è l’attore, autore e registaRoberto Latini che propone uno dei suoi spettacoli più apprezzati, ma meno valorizzati degli ultimi anni, Amleto + Die Fortinbrasmaschine,riscrittura del Die Hamletmaschine che il drammaturgo tedesco Heiner Müller compose alla fine degli anni ’70, liberamente ispirata all’Amleto di Shakespeare. Una riscrittura che è già classico del nostro tempo. L’opera di Latini è il punto di partenza dell’incontro pubblico del 21 e 22 luglio, dal titolo La tradizione dell’innovazione: un’occasione per discutere, insieme a critici e studiosi, del teatro d’innovazione che si fa tradizione, sviluppando una serie di stilemi e prospettive che a loro modo si sono consolidate e sono diventate dei solidi riferimenti per la creazione futura. Interverranno: Paolo Aniello, Antonio Audino, Elena Di Gioia, Katia Ippaso, Roberto Latini, Claudio Longhi, Massimo Marino, Flavia Mastrella, Andrea Porcheddu, Antonio Rezza, Clarissa Veronico. Completano l’omaggio al padrino del festival 5 movimenti scenici che punteggiano le giornate del 20, 21 e 22 luglio, con altrettante letture sceniche di inediti composti appositamente per Latini e per l’occasione dagli allievi del Corso di Perfezionamento in Dramaturg internazionale promosso da Emilia Romagna Teatro Fondazione, e Carta carbone, mostra sonora a doppio percorso drammaturgico: un’esposizione costruita dalla compagnia Fortebraccio Teatro con la cura di Roberto Latini, Gianluca Misiti e Max Mugnai, che presenta materiali d’archivio e reperti mancanti da altre definizioni, rimontati e decostruiti, per l’occasione, in nuove forme e nuovi suoni.
38 gli spettacoli in cartellone, tra i quali 16 in prima o anteprima nazionale e gli 8 della selezione visionari. Si segnalano i lavori di artisti consolidati del panorama teatrale e coreografico nazionale e internazionale, tra i quali, Soffiavento – Una navigazione solitaria con rotta su Macbeth (s-concerto per voce e suono), in anteprima, di e con Paolo Mazzarelli, uno degli interpreti più versatili del nostro teatro: uno spettacolo sulle fascinazioni del potere, ispirata al capolavoro di Shakespeare. Tabù – Ho fatto colazione con il latte alle ginocchia, dei riminesi Roberto Scappin e Paola Vannoni, anima dei quotidiana.com che si confronta con il proibito, tra folgoranti battute e situazioni surreali. Spezzato è il cuore della bellezza (anteprima) della Piccola Compagnia Dammacco, con il premio Ubu Serena Balivo, l’interprete Erica Galante e il regista Mariano Dammacco che esplora le diverse manifestazioni dell’amore attraverso il racconto di un triangolo sentimentale. E d’amore, filiale e incondizionato, si parla in C’est la vie (prima nazionale) del drammaturgo e regista franco-marocchino Mohamed El Khatib: una commovente guida all’uso della vita con gli attori Fanny Catel e Daniel Kenigsberg che raccontano la loro comune tragedia ovvero la perdita di un figlio. Rimbambimenti – dalla fisica quantistica al morbo di Alzheimer (primo studio) è una performance sul tempo, tra clownerie e musica contemporanea, che vede protagonisti il premio Ubu Andrea Cosentino e uno dei più apprezzati compositori e librettisti contemporanei, Fabrizio De Rossi Re. Isadora Duncan del coreografo francese e grande artista internazionale Jérôme Bel, con Elisabeth Schwartz, Chiara Gallerani: il ritratto della grande Isadora Duncan, basato sul lavoro autobiografico La mia vita. Sempre per la danza, dall’Olanda, il coreografo Benjamin Kahn con Sorry, but I Feel Slightly Disidentified, primo capitolo di una trilogia dedicata al tema del corpo e degli stereotipi, con la danzatrice Cherish Menzo, vincitrice del Fringe Award 2019. Punti di ristoro (prima nazionale) di e con la danzatrice e coreografa Stefania Tansini e con Miriam Cinieri, un lavoro che esplora la ricerca del piacere: un passaggio attraverso diversi stati che alterano il battito cardiaco, il respiro, la tensione muscolare, l’adrenalina, verso un desiderio di estasi. T.I.N.A. (There is no alternative)della coreografa Giselda Ranieri: un lavoro ironico sulla sindrome da iper-connessione dei nostri tempi.
Tornano a Kilowatt Festival Leviedelfool con l’anteprima di BACCANTI – Βάκχαι, ideato, diretto e interpretato da Simone Perinelli che porta in scena le storie del mito, di donne e uomini prede di Dioniso. Liberamente ispirato a Euripide, Ercole l’invisibile (prima nazionale), creato e diretto da Gianpiero Borgia, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, con Christian di Domenico: una performance immersiva che si svolge in una tenda, per 25 spettatori alla volta, in doppia replica per 3 giorni. La storia di un uomo come tanti, un buon padre di famiglia, un marito felice, la cui vita inciampa in un evento imprevisto e si sgretola. Teatro delle Ariette, la compagnia di attori-contadini che fa il pane in Valsamoggia, propone Trent’anni di grano – autobiografia di un campo,per raccontare attraverso il grano il nostro presente. Gli spettatori seduti attorno a un grande tavolo: si preparano le tigelle e si mangiano insieme.
Di presente si continua a parlare con Un chant d’amour – come mettere in scena l’odio? (anteprima) della compagnia Teatro Rebis fondata da Andrea Fazzini e Meri Bracalente: le inquietanti vicende di Macerata del 2018 – l’omicidio di Pamela Mastropietro per mano di Innocent Oshegale e l’attentato di matrice razzista di Luca Traini – incontrano I Negri di Jean Genet e danno vita a un teatro d’arte intimista, onirico e politico, per attori e burattini.
L’incidente è chiuso della compagnia Menoventi, tratto da Il defunto odiava i pettegolezzi di Serena Vitale(ed. Adelphi 2015), un giallo sul misterioso suicidio del poeta Majakovskij.
Freschi di premi, Kilowatt Festival ospita la Frantics Dance Company, vincitrice di Danza Urbana XL 2020, e Angelo Campolo, vincitore di In-box. La compagnia di danza nata a Berlino nel 2013 presenta Last Space, performance di pura danza urbana tra la break dance e l’hip-hop. Angelo Campolo, direttore artistico della compagnia DAF, porta in scena Stay Hungry – Indagine di un affamato, progetto sui temi dell’integrazione nato a partire dai laboratori teatrali tenuti in riva allo Stretto di Messina con un gruppo di giovani migranti.
Tra i lavori più interessanti del panorama emergente, Manbuhsaprima performance del coreografo Pablo Girolami, della compagnia italo-svizzera Ivona: selezionato dalla rete Anticorpi, lo spettacolo è vincitore del premio Twain direzioni-Altre e del premio del pubblico al Certamen coreografico di Madrid. Stretching One’s Arms Again (prima nazionale) di e con la coreografa e danzatrice Lucrezia C. Gabrieli che trae ispirazione da Untitled(Blue, Yellow, Green on Red) del pittore Mark Rothko. Ionica di e con l’abile narratore umbro Alessandro Sesti alle prese con la storia dell’ ex ‘ndranghetista e collaboratore di giustizia Andrea Dominijanni. E ancora di pentiti si parla in Alla Furca!della compagnia siciliana Condorelli_Tringali: un’amara fotografia su presente e potere in salsa rock.
EVE #2 (anteprima) ideato per la Biennale Teatro Atto IV Nascondi(no) dal performer Filippo Michelangelo Ceredi che indaga le derive della comunicazione politica.
Petit Bal, spettacolo di arte circense di Contraerea, una realtà aretina che promuove la contaminazione tra la drammaturgia dei corpi e le discipline aeree. Almeno Nevicasse – Le parole che hai dentro, esito del laboratorio di parole e cucito tenuto con i cittadini di Sansepolcro dall’attrice Francesca Sarteanesi, tra le fondatrici del gruppo teatrale Gli Omini.
Arricchisce il programma del festival la selezione dei Visionari, i cittadini non addetti ai lavori che partecipano alle attività di Kilowatt scegliendo, attraverso un accurato e condiviso processo, alcuni spettacoli per il cartellone. La selezione 2020 comprende 8 spettacoli: per il teatro, Padre d’amore Padre di fango (prima nazionale) di e con l’artista e performer digitale veneta, Cinzia Pietribiasi che racconta la storia di una relazione a tre tra padre, figlia ed eroina; Un onesto e parziale discorso sopra i massimi sistemi (prima nazionale) di e con Pietro Angelini che porta in scena le vicissitudini personali di un giovane attore e una riflessione generale sul rapporto tra economia e arte. Con questo suo primo lavoro Angelini si è aggiudicato il Premio PIMOFF per il teatro contemporaneo. Polvere (anteprima), primo progetto di teatro di figura del Collettivo Superstite: un’invasione di polvere, un gioco di immagini senza parole sulla vanità dell’esistenza. Troia City, la verità sul caso Aléxandrosdel collettivo napoletano Teatro in Fabula, che riprende l’omonima tragedia di Euripide, per raccontarla come se fosse un giallo; uno spettacolo con Antonio Piccolo diretto dal premio Ubu Lino Musella. Tre, della compagnia di Chiavari ScenaMadre,indaga il rapporto tra genitori e figli adolescenti. Selezionati anche uno spettacolo di danza e due di circo: Oriri (anteprima), dal latino “oriri” sorgere, un progetto sul tema della nascita, della compagnia Bambula Project fondata da Gabriella Catalano e Paolo Rosini che, con questo lavoro, si sono aggiudicati il premio TenDance 2019. Per il circo, Un po’ di più, di e con Zoé Bernabéu e Lorenzo Covello, vincitore dei premi Speciale OFF, della Critica e Spirito Fringe al Roma Fringe Festival 2019: una performance che porta in scena la quotidianità di una coppia in bilico tra tensioni e desideri. Piume, un viaggio attraverso gli stati emotivi dell’attesa e della solitudine, di e con la performer Elena Burani, fondatrice del Collettivo320chili e del DinamicoFestival.
Chiuderà il festival Outdoor Dance Floor, in collaborazione con Anghiari Dance Hub, del coreografo e performer Salvo Lombardo: un’azione coreografica sostenuta dalla relazione con la pulsazione musicale, sonora e visiva di un live set multimediale.
Da lunedì 20 a domenica 26, si rinnova l’appuntamento con i concerti del dopofestival, a cura di Mearevolutionae che opera da anni nel panorama culturale valtiberino con proposte musicali che guardano a novità e sperimentazioni. 5 i concerti in programma che vedranno protagonisti i Flame Parade, quintetto di new folk alternative aretino; Ricordati di Rimini, duo sperimentale dal sapore retrò; Lovesick Duo che fonde il rock e il country americano con lo stile del cantautorato italiano; Yoy, trio dalle atmosfere oscure e sognanti; Maestro, progetto che unisce la musica elettronica con la visual art.
È nel DNA di Kilowatt Festival organizzare dei momenti di incontro e dibattito su questioni attuali e urgenti che attraversano la comunità teatrale contemporanea. Sabato 26 luglio l’appuntamento è con Visionari d’Italia, unitevi!, incontro pubblico con alcuni degli oltre 400 visionari che partecipano alle attività di co-programmazione artistica negli 11 gruppi creati all’interno del network L’Italia dei Visionari, i cui partners sono: CapoTrave / Kilowatt nell’ambito del progetto europeo “Be SpectACTive!” (Sansepolcro AR), Festival Le Città Visibili (Rimini), Pilar Ternera/Nuovo Teatro delle Commedie (Livorno), TiPì Stagione di Teatro Partecipato (San Felice sul Panaro, MO), Utovie Teatrali (Macerata), Associazione Sosta Palmizi (Cortona AR), MTM-Manifatture Teatrali Milanesi gestito da Fondazione Palazzo Litta per le Arti Onlus (Milano), Progetto Fertili Terreni Teatro (Torino), POLIS Teatro Festival (Ravenna), Spazio Off (Trento), Teatro TRAM (Napoli).
Giovedì 23 luglio sarà presentato il libro Lo Spettatore è un Visionario di Lucia Franchi e Luca Ricci, ideatori di Kilowatt Festival, che raccontano la loro esperienza di sviluppo delle pratiche di audience development e audience engagement. Interverranno Marco De Marinis (Università di Bologna), Roberto Ferrari (Regione Toscana), Maximilian La Monica (Editoria & Spettacolo).
Domenica 26 luglio, focus sulla danza con l’incontro pubblico Micro e macro drammaturgie della danza, organizzato con Anghiari Dance Hub: un appuntamento che si interroga sul ruolo che può avere la scrittura per la danza e si propone di individuare una “via italiana” alla drammaturgia della danza e all’attivazione di momenti di trasmissione del materiale corporeo, chiamando a discuterne ospiti italiani e stranieri tra studiosi, dramaturg e coreografi. Interverranno: Fabio Acca, Gaia Clotilde Chernetich, Salvo Lombardo, Roberta Nicolai, Alessandro Pontremoli, Cristina Kristal Rizzo, Stefano Tomassini, Gerarda Ventura.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
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