da Redazione Theatron 2.0 | 15 Mar 2019 | News
La dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia, la terza diretta da Ruggero Cappuccio, realizzata con il sostegno della Regione Campania, presieduta da Vincenzo De Luca, e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, guidata da Alessandro Barbano, presenta, dall’8 giugno al 14 luglio, una ricca programmazione che si declina tra teatro, danza, letteratura, cinema, video/performance, musica, mostre e laboratori. Oltre 150 eventi, per 37 giorni di programmazione, distribuiti in 40 luoghi tra Napoli e altre città della Campania (Salerno, Benevento, Caserta, Carditello, Baia, Amalfi, Pietrelcina e Mercogliano), dove andranno in scena creazioni mai presentate in Italia — prime nazionali e internazionali —, e coproduzioni che confermano l’attività produttiva del Festival.
Il Napoli Teatro Festival Italia si pone come organismo di crescita culturale e sociale, in tal senso favorirà la partecipazione del pubblico, continuando a proporre un’oculata politica di prezzi, con biglietti popolari (da 8 a 5 euro) e agevolazioni assolute per le fasce sociali più deboli. L’edizione 2019 presenta 29 eventi internazionali, di cui 19 prime in Italia tra prosa e danza, e 44 prime di spettacoli italiani. Il NTFI amplia anche la sua struttura e diventano 12 le sezioni del festival. Alle 11 già consolidate del progetto artistico di Ruggero Cappuccio (Italiana, Internazionale, Osservatorio, Danza, SportOpera, Musica, Letteratura, Cinema, Mostre, Laboratori, Progetti Speciali) si aggiunge la nuova sezione dedicata al Teatro Ragazzi, che quest’anno propone Puglia Showcase Kids, una vetrina di spettacoli e momenti di approfondimento rivolta alla migliore produzione per ragazzi, promossa dalla Regione Puglia, ideata e realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese.
Il direttore Ruggero Cappuccio conferma grande attenzione alla natura multidisciplinare del festival e alle scritture contemporanee — non solo alla drammaturgia ma a tutte le scritture di scena e alle arti in generale —, in una visione trasversale e interdisciplinare. Nell’edizione 2019 del festival, a Napoli si incroceranno lingue e sonorità diverse, linguaggi innovativi e tradizione della scena, antico e contemporaneo, che caratterizzano una programmazione tesa a favorire una ricongiunzione organica tra le arti. Il NTFI 2019 promuove inoltre la creazione e la circuitazione internazionale di rappresentazioni di prosa e danza contemporanea, mette in scena spettacoli e concerti in sedi non convenzionali, valorizzando il patrimonio culturale della città di Napoli e della regione Campania, dà spazio a realtà teatrali emergenti, propone mostre e attività espositive, offre possibilità di confronto e formazione ai giovani attraverso laboratori gratuiti, presenta uno spazio per il cinema e per la letteratura, investe in progetti speciali legati alla drammaturgia, alla letteratura dello sport, alla ricerca e alla divulgazione scientifica.
Particolarmente significativi, in questa dodicesima edizione, sono i temi della multiculturalità, della pluridentità e dell’apertura ai flussi culturali del mondo contemporaneo. La rete creata con altri Festival internazionali (Les Bancs Publics – festival Les Rencontres à l’échelle; Shubbak festival of London; Weimar art festival; Palais des Beaux Arts Bozar; Dancing on the Edge festival; Festival di Ravenna e Festival di Spoleto), gli Istituti di cultura (Institut Français; Goethe-Institut; Istituto Cervantes e il British Council), e le fondazioni culturali (Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea), fonda un nuovo progetto di cooperazione culturale, che coinvolge artisti rifugiati in Italia e in Europa, in collaborazione con le Università del territorio (Università degli Studi di Napoli Federico II, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) e altre istituzioni europee, al fine di dare sostegno e palcoscenico alla creazione artistica post-migratoria e ad un nuovo concetto di Europa basato sull’inclusione e sul dialogo. Un progetto che possa sostenere non soltanto le diversità di provenienza, ma anche differenti visioni artistiche, confermando l’apertura alle creazioni che raccontano la migrazione e il ruolo degli artisti in esilio in Europa, in un’ottica che favorisca il welfare culturale e la cooperazione. In prima nazionale e in prima assoluta, grandi artisti europei o rifugiati in Europa presenteranno a Napoli le loro nuove creazioni.
Il Napoli Teatro Festival e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, il prossimo autunno, presenteranno, al Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, il Progetto Pina Bausch, che celebra la grande coreografa e ballerina tedesca. I lavori prevedono un’ouverture già nel corso del Festival, a giugno, con Moving with Pina, una conferenza danzata sulla poetica, la tecnica, la creatività di Pina Bausch di Cristiana Morganti, storica interprete del Tanztheater di Wuppertal, e il laboratorio La spontaneità del movimento, a cura di Kenji Takagi, anch’egli membro del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, dove lavora tutt’oggi. L’edizione 2019 rende omaggio al grande regista lituano Eimuntas Nekrošius, recentemente scomparso, da sempre legato a Napoli e al Festival, con la mostra Il Meno Fortas di Eimuntas Nekrošius, a cura di Marius Nekrošius e Nadežda Gultiajeva, che espone fotografie, bozzetti, appunti e gli oggetti di scena degli spettacoli del grande maestro nati nel teatro da lui fondato; e ancora con lo spettacolo Zinc, allestimento del regista lituano ispirato ai romanzi del premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič.
Per il terzo anno consecutivo, Palazzo Reale di Napoli sarà la sede principale del Festival, confermando l’obiettivo di valorizzazione dei beni architettonici e paesaggistici della Campania, oltre a rappresentare un luogo di assoluta centralità in città. Oltre alla biglietteria e all’Infopoint, ospiterà proiezioni, incontri, spettacoli, mostre e concerti. Il suo Giardino Romantico accoglierà il Dopofestival, curato da Massimiliano Sacchi, e vi sarà allestito il bookshop e un’area ristoro.
Numerosi sono i teatri della città coinvolti nella manifestazione (Teatro San Ferdinando, Teatro Trianon-Viviani, Teatro Nuovo, Politeama, Teatro Sannazaro, Galleria Toledo, Teatro Diana, Teatro Mercadante, Sala Assoli, Nest, Teatro Elicantropo). Anche molti spazi di grande pregio storico-artistico saranno sede degli eventi del festival, come il Museo Madre, Palazzo Fondi, Ansa del Teatro San Carlo, la Chiesa Donnaregina Vecchia, la Chiesa di Santa Maria della Colonna, Palazzo Venezia, Palazzo de’ Liguoro, Palazzo della Commedia Futura, Made in Cloister, Auditorium 900, la Farmacia degli Incurabili, a Napoli, ai quali si aggiungono i luoghi della città da valorizzare, come i Campetti di calcio della Sanità, piazzetta Trinchese, il Carcere di Poggioreale. Altri siti prestigiosi saranno la sede degli eventi ospitati in Regione, come l’Anfitetro di Pompei, il Duomo di Salerno, l’Abbazia di Mercogliano, il Duomo di Amalfi, la Reggia di Caserta, il Teatro Naturale di Pietrelcina, Palazzo Fruscione di Salerno, Teatro Civico 14 e la Reggia di Carditello. Anche quest’anno, prosegue la collaborazione con il maestro Mimmo Paladino, che ha creato la nuova immagine del Festival, in linea con l’identità della programmazione 2019, per il catalogo e i materiali promozionali, che diventano così oggetti d’arte.
MAGGIORI INFORMAZIONI > https://www.napoliteatrofestival.it/
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 19 Lug 2018 | News
1987-2017 trenta anni uniti è il titolo della mostra a cura di Maria Savarese realizzata in collaborazione e durante il Napoli Teatro Festival, che chiuderà il 2 ottobre a Palazzo Reale, nata per celebrare la ricorrenza di tre gruppi che si misero assieme, ma soprattutto per far riflettere su quel che accadde allora e ancora oggi può essere d’esempio.
Nel 1987 tre compagnie teatrali dell’area napoletana, non per superare un momento di difficoltà, ma anzi per dar forza ai propri primi successi, da ‘Tango glaciale’ di Mario Martone con ‘Falso movimento’ a ‘E…’ con allusione a Eduardo di Toni Servillo col ‘Teatro studio di Caserta’ e il disperato ‘Titanic The End’ del ‘Teatro dei Mutamenti’ di Antonio Neiwiller (prematuramente scomparso nel 1993), decisero di mettere assieme i propri progetti senza annullare le proprie individualità, fondando ‘Teatri Uniti’.“Nonostante le difficoltà che inevitabilmente ci sono state – racconta Servillo – nel bene e nel male, non ce ne siamo mai andati da Napoli, che ora ci è stata ora vicina, con le sue istituzioni, ora lontana, consci della necessità di solleticarle e dar loro fastidio sempre”. E’ Martone quello che per primo rende quel marchio noto e gli dà forza, prima firmando un ‘Riccardo II’, poi lo spettacolo rivelazione con Servillo su testo di Enzo Moscato, ‘Rasoi’, che debutta al Valle di Roma con istantaneo successo, quindi aprendosi una strada verso il cinema con ‘Morte di un matematico napoletano’ e il successo di ‘Amore molesto’, mentre Servillo collabora con Leo de Berardinis per esempio nello storico ‘Ha da passà ‘a nuttata’ e assieme inizia la sua carriera cinematografica.
La mostra, composta di fotografie, locandine, documenti oltre che di una proiezione con riprese di spettacoli, si sviluppa in una serie di percorsi, tra cui sono quello dedicato a Thierry Salmon e Theo Anghelopulos che va dal ‘Filottete’ a quel sorprendente ‘Teatri di guerra’, quello dedicato a Leo De Berardinis, quello al femminile per la Ramondino e Merini, quello neiwilleriano con Steve Lacy e Tadeusz Kantor, quello dedicato a Cesare Garboli e così via, passando dalla ‘Trilogia della villeggiatura’ a ‘Birre e rivelazioni’, raccontando un percorso che ha lanciato Teatri Uniti a livello internazionale, tra Parigi, New York, Londra o il Cairo, sperimentando, mettendosi in gioco, collaborando, specie nel caso di Servillo, col Piccolo di Milano (con cui è in tournee anche quest’anno con ‘Elvira’), ma sempre sentendo forte il senso e il legame con le proprie radici e la tradizione, come dimostra, per esempio, l’attenzione e la riproposta di lavori di Eduardo De Filippo. A settembre, quando sarà pronto il catalogo della mostra e probabilmente organizzata una giornata di studi, l’esposizione si arricchirà del documentario di Pacifico e Liguori ‘Il teatro al lavoro’ e vedrà la presentazione di un lavoro nuovo di Andrea Renzi con l’Ensemble Dissonanze su testi di Samuel Beckett.
Attorno a questa mostra c’è poi sempre a Napoli lo spazio che il Museo Madre dedica ai 40 anni di lavoro di Mario Martone, una retrospettiva tra teatro, cinema e opera lirica dal 1977 a oggi che ha al centro il filmato col montaggio di brevi testimonianze e documenti, costruito dal regista stesso, che ha la durata di oltre nove ore e in cui si rivede anche ovviamente lo storico postmoderno e multimediale ‘Tango glaciale’ del 1982, ma assieme il ‘Tango glaciale Reloaded’, ripresa filologica ma non nostalgica o solo documentaria realizzata quest’anno da Anna Redi e Raffaele Di Florio con un gruppo di giovani che hanno preso il posto che fu di Licia Maglietta, Andrea Renzi, Thomas Arana. Insomma diversi appuntamenti per rivivere una stagione felice, un momento coraggioso di apertura e collaborazione, cosa così rara nel nostro teatro, che ancora sta dando i propri frutti: “Come un impasto di lievito madre, la spinta delle origini continua a fermentare e nutrire la prospettiva fondante di una dimensione indipendente e non istituzionalizzata – conclude Servillo – lontana dalle forme consolatorie della napoletanità, rivendicando con orgoglio una natura scarrozzante che ci porta da Napoli nel mondo”.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 29 Mag 2018 | Uncategorized
Napoli. È un sabato d’agosto, 1960. Caterina ‘a pazza si aggira per le strade del quartiere con in mano una torta con una candelina. “Panna e cioccolato a vivi e muort lev’ ‘o sciat” continua a bisbigliare ed Alice incuriosita decide di seguirla.
Inizia così il suo viaggio senza tempo nel paese che è sempre esistito, che esisteva sin da prima di mai. Ad accoglierla una piccola comunità che attende con ansia l’inizio di una festa. Nelle ore che scandiscono l’attesa, un turbinio di urla festanti, di giochi infantili, di idee sussurrate, di riti gridati e preghiere dovute, di sogni raccontati e desideri mancati, di balli, confessioni, catastrofi e canti. Alice affronta spaventata e divertita la quotidianità delirante di quel paese lontano lontano. E i suoi ricordi riaffiorano, le storie si mescolano e ritornano le favole narratele dal padre.
“È nella fede costante che riponiamo in un sogno o in una favola la dimostrazione concreta della loro esistenza. E Alice si ritrova a scontrarsi con la veridicità di questo assunto –spiega l’autrice e regista Francesca Muoio- Col cortocircuito di una realtà dominata proprio dalle dinamiche di quei sogni e quelle favole che, mischiandosi a quelle di vita reale, ne stravolgono il senso, lo sintetizzano, lo enfatizzano.Tutto è possibile nell’onirica danza tra prosa e poesia consumata nel paese di chi se ne va. Tutta questa tempesta di suoni, parole ed immagini inonda la piccola Alice che, solo dopo aver affrontato l’intero viaggio, solo dopo aver attraversato paure e memorie, fantasie e silenzi potrà partecipare alla festa tanto attesa dagli abitanti del luogo. Una ballata di voci e di corpi. Una ricostruzione di fatti irrealmente avvenuti. Quel girotondo tribale ed eterno in cui la vita e la morte, tenendosi per mano, ostinate girano disperatamente e gioiosamente assieme”.
Un cast corposo composto da Anna Carla Broegg, Marianita Carfora, Cesare D’arco, Valeria Frallicciardi, Francesca Muoio, Davide Paciolla, Enrico Sortino, Luca Trezza e infine la piccola Morena Di Leva, di soli 10 anni. Lo spettacolo andrà in scena nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, a partire dalle 21:30 per il Napoli Teatro Festival.
18 GIUGNO || ORE 21.30 || CORTILE DELLE CARROZZE DI PALAZZO REALE || NAPOLI TEATRO FESTIVAL
Scene e grafiche Giulio Villaggio
Costumi Antonietta Rendina
Luci e audio Martin Emanuel Palma
Musiche originali di Edoardo Simeone
Coreografie Sara Lupoli
Burattini Selvaggia Filippini
Aiuto regia Davide Paciolla
Assistente alla regia Raffaele Parisi
Distribuzione Theatron 2.0
Una produzione di PrimeLune Teatro
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Redazione Theatron 2.0 | 14 Feb 2018 | News
Presentato in conferenza stampa, mercoledì 14 febbraio 2018, al Teatrino di Corte di Palazzo Reale, il programma del Napoli Teatro Festival Italia. L’undicesima edizione, la seconda diretta da Ruggero Cappuccio, organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, organismo in house della Regione Campania presieduto da Luigi Grispello, inizierà il prossimo 8 giugno e proseguirà fino al 10 luglio.
Una stagione di grandi numeri che ascrive il Festival tra le realtà più attive e significative del panorama internazionale e che accoglie, nei 34 giorni di programmazione effettiva, ben 85 compagnie, tra nazionali ed internazionali, impegnate per 160 recite complessive.
Proseguendo in una direzione avviata con successo nella passata stagione, la nuova edizione del Festival consolida un progetto culturale che individua, da quest’anno e fino al 2020, il suo principale obiettivo nella ricongiunzione organica tra le arti della scena, realizzandone una ricognizione multidisciplinare e trasversale sintetizzata in undici sezioni.
Iniziando dalla PROSA, con 55 titoli tra le produzioni internazionali (9), quelle nazionali (28), i debutti in regione (5) e gli spettacoli della sezione OSSERVATORIO (13) che offre spazio e visibilità ai progetti di compagnie di indubbia qualità sostenendone l’avvio del processo produttivo.
Una lunghissima edizione che accoglierà le “prime” della sezione dedicata al TEATRO INTERNAZIONALE costruita intorno alle figure di Declan Donnellan (con “Périclès, Prince de Tyr” di William Shakespeare al Teatro Politeama l’11 e 12 giugno), Isabelle Huppert (nella lettura de“L’amant” di Marguerite Duras al Teatro di San Carlo l’11 giugno), Rabih Mroué (con “Sand in the eyes”, lettura non accademica sulla propaganda e sui metodi di reclutamento degli estremisti islamici, al Teatro Trianon Viviani il 13 giugno), Thierry Collet (con “Dans la peau d’un magicien” in cui l’artista mescola frammenti di vita e trucchi di magia per raccontare il mondo interiore di un prestigiatore, alla Galleria Toledo il 14 e 15 giugno). La sezione prosegue con “Brodsky/Baryshnikov”, omaggio di Mikhaïl Baryshnikov alla poesia di Joseph Brodsky per la regia di Alvis Hermanis, al Teatro Politeama il 28 e 29 giugno; con “Clown 2 ½” uno spettacolo del Theater an der Ruhr, per la regia di Roberto Ciulli in cui si guarda al mondo ed alle sue contraddizioni attraverso gli occhi di un clown, al Teatro Trianon Viviani l’1 luglio.
Inizia con “Private confessions” nell’adattamento e regia di Liv Ullmann, al Teatro Politeama il 17 e 18 giugno, un significativo segmento in tre spettacoli dedicati al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Sempre di Bergman, il Festival ospita, in contemporanea il 3 e 4 luglio, sia “Scene da un matrimonio” per la regia di Andrej Konchalovskij al Teatro Mercadante, che “Scènes de la vie conjugale” con Laetitia Casta e Raphaël Personnaz per la regia di Safy Nebbou, al Teatro Politeama.
Autori, registi, attori contemporanei che incrociano la modernità della SEZIONE ITALIANA in cui, tra i tanti titoli proposti, si segnalano “Medea per me” di e con Lina Sastri, “Afghanistan” di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, “Il seme della tempesta” per la regia di Cesare Ronconi con Mariangela Gualtieri, “Who is the King?” un progetto su Shakespeare di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, “Sei” adattamento da Pirandello di Spiro Scimone e Francesco Sframeli, “Si nota all’imbrunire” di Lucia Calamaro con Silvio Orlando, “La donna che piange nonostante Picasso” con Ginestra Paladino progetto a cura di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia,
“Storia di un’amicizia” di Fanny e Alexander tratto da L’Amica geniale di Elena Ferrante, “Dante Alighieri. Fedeli d’amore” di e con Ermanna Montanari e Marco Martinelli, “Onde” di Elena Bucci liberamente ispirato alle opere e alle vite di Virginia Woolf e Katherine Mansfield, “Regina Madre” di Manlio Santanelli con Fausto Russo Alesi e Imma Villa per la regia di Carlo Cerciello, “Sotto il Vesuvio niente” di Pasquale De Cristofaro e Peppe Lanzetta, “Operetta 2” rilettura di Camus per la regia di Renato Carpentieri, “Abitare la battaglia (conseguenze del Macbeth)” regia di Pierpaolo Sepe, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare un progetto di Roberto Roberto per la regia di Michele Schiano Di Cola, “Barry Lindon” (memorie)” di Giancarlo Sepe, “La resa dei conti” di Michele Santeramo con Daniele Russo per la regia di Peppino Mazzotta, “Edoardo II” da Christopher Marlowe per la regia di Laura Angiulli, “La vita dipinta” di Igor Esposito con Tonino Taiuti, “Il paese che non c’è” di Fabrizio Saccomanno e Gianluigi Gherzi, “Diario di un pazzo” con Nando Paone per la regia di Alessandro Maggi, “Fuoriscena” di Fortunato Calvino con Gino Rivieccio e Paola Quattrini, “Il Gatto” da Georges Simenon per la regia di Alvia Reale, “Hamletas” di Sara Biacchi, “Anfitrione” di Teresa Ludovico, “La ridicola notte di P.” di Marco Berardi per la regia di Federico Vigorito, “Holzwege | Sentieri interrotti” di Loredana Putignani e Youssef Tayamoun, “La filosofia di Bertrando Spaventa” tre letture di Renato Carpentieri.
A questi si aggiungono i debutti in REGIONE di “Come i pianeti con il sole (Leggende d’oro, la vita dei Santi)” drammaturgia e regia di Peppe Fonzo, “Canto degli esclusi” concertato a due per Alda Merini con Alessio Boni e Marcello Prayer, “Di un Ulisse, di una Penelope” di Marilena Lucente con Roberto Solofria e Ilaria Delli Paoli, “Moby Dick” nella lettura di Alessandro Preziosi, “Il Cantico dei Cantici e altre storie” di e con Luca Zingaretti.
Per la sezione OSSERVATORIO in programma le regie di Lorenzo Salveti, Antonio Piccolo, Giovanni Meola, Francesca Muoio, Adriana Follieri, Gabriele Russo, Carmine Borrino, Tommaso Tuzzoli, Enzo Marangelo, Silvio Peroni, Fabio Pisano, oltre agli spettacoli realizzati dai giovani allievi delle scuole di Teatro del territorio.
Proseguendo con la DANZA, che in 8 titoli accoglie produzioni di diversi Paesi (dall’Italia alla Tunisia, Francia, Libano, Argentina, Inghilterra, Belgio) e la MUSICA con 8 concerti programmati in vari spazi del Capoluogo, tra il Cortile d’Onore di Palazzo Reale e il Teatro Diana, nonché in regione con le serate al Duomo di Salerno, all’Abbazia di Mercogliano, al Duomo di Amalfi, alla Reggia di Caserta.
La sezione DANZA sarà tesa alle esplorazioni contemporanee del corpo e della scena e presenterà “Tomorrowland” creazione e interpretazione di Annabelle Chambon, Cédric Charron, Jean-Emmanuel Belot, “Paradise lost (lies unopened beside me)” di Lost Dog, ideazione, regia e interpretazione di Ben Duke, “Wakan – la terra divorata” creazione e interpretazione di Gilles Coullet, “La conferenza degli uccelli” per la regia di Anna Redi, “Duo Goldberg” coreografie di Adriana Borriello, “Un Poyo Rojo” coreografia di Luciano Rosso e Nicolás Poggi per la regia di Hermes Gaido, “May he rise and smell the fragrance” coreografia Ali Chahrour, “Au temps où les arabes dansaient…” ideazione e coreografia Radhouane El Meddeb.
Nella sezione MUSICA si annunciano i concerti dei Foja (al Cortile d’Onore di Palazzo Reale il 10 giugno) e, a seguire, “La voix humaine” di Francis Poulenc, soprano Leona Peleskova, pianoforte Julian Smith, regia di Riccardo Canessa (al Teatro Diana il 19 giugno), il Beggar’s Theatre in concerto a cura di Mariano Bauduin (al Cortile d’Onore di Palazzo Reale il 29 giugno), Andrea Bonioli 4tet e Javier Girotto (al Cortile d’Onore di Palazzo Reale il 2 luglio). Ad essi si aggiungono quelli programmati in regione: “La voce dei venti sonori” dal Laboratorio delle Alme a cura di Stefania Rinaldi all’Abbazia di Mercogliano (Avellino) il 29 giugno, proseguendo con Enzo Gragnaniello & Solis String Quartet al Duomo di Amalfi il 30 giugno, “Sirene e ninfe napolitane” della Pietà de’ Turchini con il soprano Naomi Rivieccio, direttore Stefano Demicheli alla Reggia di Caserta il 3 luglio, “L’armonia sperduta”, elaborazioni ed orchestrazioni di Roberto De Simone, voce e chitarra Raffaello Converso al Duomo di Salerno il 7 luglio.
La sezione SPORTOPERA a cura di Claudio Di Palma racconta, tra mostre, incontri, proiezioni e spettacoli della passione dei grandi scrittori per il tema dell’agòne, dal 18 al 28 giugno al Teatro Sannazaro di Napoli
Dalle INSTALLAZIONI/VIDEO/PERFORMANCE (con “Food distribution – della guerra e del turismo” installazione di luci in strada a cura di Davide Scognamiglio e Daniele Ciprì, con
“On my great grandfather steps”la mostra/installazione dal progetto “Ellis Island” di Igor Maurizio Meta, quella sul “Futurismo” di Domenico Mennillo, quella fotografica “Sahara te quiero” a cura di Romeo Civilli), si passa alle MOSTRE (con 8 esposizioni dedicate, ad esempio, a Patroni Griffi, Tomasi di Lampedusa, Tina Pica, Mario Martone e Teatri Uniti), al CINEMA (con 10 serate a Palazzo Reale dedicate a Vittorio De Sica), alla sezione dedicata alla LETTERATURA (intitolata “Qui”, a cura di Silvio Perrella in programma a Villa Pignatelli dal 13 al 23 giugno) ed ancora a quella riservata ai PROGETTI SPECIALI che propone il “Napoli Strit Festival” (réunion degli artisti di strada ideata da Ettore De Lorenzo nel Centro Storico di Napoli, l’8 e 9 giugno), il “Mercato dell’arte e della civiltà” (maratona – indagine in 12 ore sul teatro contemporaneo a cura di Davide Sacco, il 17 giugno a Santa Fede Liberata nel Centro Antico).
Particolarmente significativo lo spazio destinato alla decima sezione in programma, dedicata ai LABORATORI, che sintetizza uno dei nodi centrali del Napoli Teatro Festival Italia ovvero il rapporto tra i Maestri e i giovani talenti, l’incontro tra i linguaggi e le generazioni unite nella vitale trasmissione dei saperi. Durante tutta la programmazione, dall’8 giugno al 10 luglio, si attiveranno in Campania 14 laboratori sulle arti sceniche riservati a 600 attori under 35 che potranno confrontarsi con Eimuntas Nekrosius e Tomi Janežič (che rinnovano per il secondo anno consecutivo la loro presenza a Napoli) e con Ben Duke, Gilles Coullet, Eugenio Barba (insieme a Lorenzo Gleijeses e Julia Varley), Annabelle Chambon e Cédric Charron (del Teaching Group di Jan Fabre), Punta Corsara (con Emanuele Valenti, Marina Dammacco e Gianni Vastarella), Gabriella Salvaterra per il Teatro de los Sentidos, Michele Monetta, Peppe Lanzetta, Stefania Rinaldi, Davide Iodice, Loredana Putignani.
Anche per il 2018 il Festival continua la collaborazione con Mimmo Paladino. L’artista ne progetta nuovamente l’immagine, il catalogo e i materiali promozionali, che diventano così oggetti d’arte, oltre che elementi informativi.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
da Andrea Zardi | 8 Ago 2017 | Uncategorized
Sul palcoscenico del Teatro Politeama, all’interno del Napoli Teatro Festival, è andato in scena The Great Tamer di Dimitris Papaioannou. Il nome di questo regista, artista visivo, coreografo e curatore è legato non solo all’apertura delle Olimpiadi nel 2004, ma anche alla consacrazione a livello internazionale con Primal Matter (2012) e Still Life (2014).
Nato in Atene nel 1964, Papaioannou si è formato all’Edafos Dance Theater: il suo percorso attraversa la danza, il teatro fisico, la scenografia e il disegno luci, ed è permeato da una grande conoscenza delle arti visive. Oltre alle opere già citate bisogna ricordare Medea (2008) e Nowhere (2009), quest’ultimo riallestito con danzatori italiani nel 2016 al Festival di Ravello. Un punto fermo della produzione di questo artista è il grande legame con la cultura greca e il senso di appartenenza alla sua terra, di cui tutta la sua arte è sottesa. I suoi performers sono greci come gli artisti con cui lavora per gli allestimenti: Dimitris Papaioannou porta al centro del panorama culturale europeo un paese con una storia complessa e un presente accidentato.
In questa monumentale produzione – ben dieci i performer – il racconto è un filo teso lungo una storia universale e collettiva, attraverso immagini e riferimenti alla cultura europea, ma soprattutto greca. La scena è aperta, il performer è già presente in un paesaggio lunare dalle tinte scure, una superficie sconnessa e ondeggiante fatta di pannelli sovrapposti. Le scene si svolgono senza soluzione di continuità attraverso archetipi ereditati da artisti in apparenza lontanissimi fra loro: una scarpa che ha radici profonde nel terreno ricorda l’immaginario di Jannis Kounellis, recentemente scomparso, uno degli esponenti di punta dell’arte povera. In comune con Papaioannou, attraverso le loro creazioni raccontano la storia di una umanità in crisi e sempre alla ricerca di una rinascita, di una via d’uscita dall’ineluttabilità del Tempo e che rifiuta la morte.
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Per quanto scontato possa essere, Dimitris Papaioannou riesce nel tentativo che molti coreografi – forse perché non propriamente tale – cercano di raggiungere: riportare il corpo ad essere il portatore di significato, testimone della visione dell’artista. Il corpo del performer decide da che parte stare, si scompone, si deforma e si fa sviscerare; entra ed esce dal terreno e da altri corpi e ripete in maniera compulsiva un atto, come un Sisifo condannato a ripetere lo stesso ciclo.
Lo spettacolo scorre senza picchi di energia eccessivi, sempre attraverso tableaux di grande respiro e spesso intervallati da attese, interruzioni e sguardi che richiamano il teatro di Beckett: l’unico momento che può essere definito propriamente “di danza” si concentra nello splendido e raffinato gioco di mani e di articolazioni di uno dei danzatori, incantando il pubblico, ma viene bruscamente interrotto dalla rottura di un pannello: a scapito del piacere estetico comune, Papaioannou ci dice cosa pensa della danza. Non è gioco tecnico né piacere edonistico e autoreferenziale, ma è solo un momento di scoperta del corpo, funzionale a qualcosa di più grande. Quella che crea non è danza, e lui non è – solo – un coreografo: ma della danza prende la primordialità del movimento, non si sofferma sulla contemplazione estetica se non per riportare tutto al umano nudo e crudo, alla performatività come mezzo di comunicazione con l’altro.
Attraverso i molteplici riferimenti all’arte fiamminga e rinascimentale – gli esempi più evidenti sono le Lezioni di anatomia del dottor Tulp di Rembrandt (1632) che si trasforma in un banchetto composto dalle viscere dell’uomo, un Cristo Morto di Mantegna (ca. 1500) il cui corpo viene continuamente coperto e svelato, ma anche nel tema della Deposizione di Caravaggio (1602 ca.) e negli incarnati fiamminghi di Van Der Weyden – in questo spettacolo si procede in un continuo ciclo di fecondità, giovinezza, invecchiamento e rigenerazione. Il rapporto fra un’umanità sviscerata e ricomposta con cura e la terra da cui proviene, che rigetta continuamente i corpi dei performer. L’uomo è rappresentato come colui che domina il mondo su cui sta in equilibrio, ma il memento mori è quello rappresentato nel suo scheletro.
Di questa sequenza instancabile ci rimane un solo elemento, che con il suo soffio fa volteggiare un fazzoletto: un gioco infantile ma che rivela la leggerezza e la ineluttabilità del nostro vivere.
Di Andrea Zardi