Le stelle del Teatro Alla Scala, monadi sul palcoscenico
La prima del Teatro alla Scala di Milano, trasmessa il 7 dicembre su Rai 1, è stata sicuramente un grande spettacolo televisivo con uno share del 14,65% e 2 milioni e 600 mila spettatori televisivi, dati leggermente in flessione rispetto allo scorso anno (15% di share e 2,9 milioni di spettatori di media). Un’operazione mastodontica, che però ha lasciato qualche incertezza rispetto alla tradizionale prima scaligera.
Prima del Teatro alla Scala o Gran Galà?
È stata una prima anomala questa del 7 dicembre 2020 del Teatro Alla Scala, destinata sicuramente a dividere, ma soprattutto a rimanere come un evento eccezionale. Era infatti dal 1946, data di riapertura del teatro milanese dopo la Seconda Guerra Mondiale con l’immenso Toscanini, che la Scala non inaugurava la propria stagione con un’opera. Nel finale, il regista Davide Livermore ha cercato di mettere in continuità i due eventi, forse osando un po’ troppo; due tragedie senza dubbio, ma anche due eventi differenti quelli della Seconda Guerra Mondiale e della pandemia attuale.
Se allora il concerto fu un’occasione di ritrovo, di recupero di uno spazio sociale e culturale come quello del Teatro, ieri è stato un momento di speranza di recupero, attraverso un’operazione culturale forse un po’ troppo grande che puntava ad intrecciare le diverse anime della cultura, come la musica, la danza, il teatro, la letteratura, la vita civile e che alla fine ha prodotto un evento senza dubbio spettacolare ma anche confuso.
La successione di arie dell’opera lirica europea, tra le quali è saltata l’esecuzione di Winterstürme da Walküre di Wagner probabilmente a causa delle tempistiche televisive, è sembrata una sequenza di monadi teatrali, inanellate una dietro l’altra, sottolineata anche da un palcoscenico inondato d’acqua su cui affiorava una piattaforma di legno modulabile sulla quale cantavano i cantanti. Probabilmente l’intenzione era quella di mettere in scena un Gran Gala della musica lirica e del teatro poiché la drammaturgia costruita al contorno dei nuclei tematici scelti, più che creare connessioni spezzava il ritmo, appesantendo il tutto.
Intersezione tra attori, musica, politica e arte
I temi della la serata sono stati assolutamente di primo livello. Le arie tratte da Rigoletto, opera in cui si tratta lo scherno dell’uomo e la violenza sulla donna, sono introdotte dai versi de Le Roi s’amuse dello stesso Hugo, da cui è tratta l’opera verdiana, attraverso la recitazione di Caterina Murino. A seguire l’elogio degli ideali di Giancarlo Judica Cordiglia introduce le arie tratte dal Don Carlo di Verdi, mentre il ruolo fondamentale delle eroine operistiche è raccontato da Michela Murgia che ribadisce l’attualità ancor oggi dell’opera all’interno della società, come fonte di dibattito pubblico.
La scrittrice introduce i personaggi e le arie della Lucia di Lammermoor di Donizetti e della Madama Butterfly di Puccini; all’intersezione tra opera e cinema, con il ricordo di Federico Fellini, ci pensa Massimo Popolizio, che introduce alcuni brani tratti dal Don Pasquale e da Elisir d’amore di Donizetti; lo Schiaccianoci è presentato dalle parole di Caterina Murino mentre il tema del dramma e del ruolo femminile all’interno della società, hanno il viatico dei versi della Fedra di Racine, recitati da Laura Marinoni; i brani operistici scelti sono tratti dalla Turandot di Puccini e dalla Carmen di Bizet, un po’ carente di mordente passionale.
Sax Nicosia, invece introduce con i versi de Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, di Pavese il tema dell’ineluttabilità della morte violenta nell’opera, anticipando i brani di Un Ballo in Maschera di Verdi; ancora una volta la letteratura italiana, questa volta con Montale e la sua Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, che attraverso la voce di Laura Marinoni porta sulle scene l’amore passionale e romantico del Werther di Massenet.
Un estratto poi della Lettera alla Danza di Rudolf Nureyev, recitata da Maria Chiara Centorami, Alessandro Lussiana e Marouane Zotti, introduce il bellissimo spettacolo di danza e luci di Roberto Bolle e le coreografie realizzate su alcuni ballabili da I Vespri siciliani, Jérusalem e Il Trovatore di Verdi. Un famoso passo di una lettera verdiana in cui si esplicita il suo faro drammaturgico, Shakespeare, e il suo modo di agire sulla scena, ovvero inventando il vero, è letto da Cordiglia e conduce il pubblico al tema delle illusioni della realtà, con il famoso Credo di Jago tratto dall’Otello verdiano.
Anche Gramsci trova posto nella drammaturgia della prima, il suo Odio gli indifferenti letto da Massimo Popolizio introduce inevitabilmente il tema politico con brani tratti dall’Andrea Chenier di Giordano. Le parole di Sting, recitate da Caterina Murina introducono di nuovo il tema della morte con E lucean le stelle, dalla Tosca di Puccini.
Il penultimo intervento è di Maria Chiara Centorami, Alessandro Lussiana e Marouane Zotti che portano sul palcoscenico galleggiante il tema della speranza, lasciando spazio al Nessun Dorma (Turandot) e a Un bel dì vedremo (Butterfly) di Puccini, mentre la conclusione è affidata allo stesso Davide Livermore, che firma la regia dello spettacolo, con un suo monologo che porta direttamente verso il finale occupato dal Tutto cangia, del Guglielmo Tell di Rossini.
Come si è potuto vedere tanta la carne al fuoco, forse troppa per un evento di Gala come è stata questa prima. Non dando una direzione tematica unica alla serata, purtroppo, si è incorsi nel rischio di toccare marginalmente tanti, troppi temi, restituendo al pubblico un po’ di caos, purtroppo senza trasmettere quel gran messaggio artistico, politico, culturale che inevitabilmente da ogni prima della Scala ci si attende.
Performance, scene e orchestra
Arrivando alle performance della serata la notazione di merito da fare senza ombra di dubbio è all’orchestra. Non era semplice mettere insieme in poco tempo un repertorio così vasto, che comprendesse così tanti stili e compositori. Merito senza dubbio anche del suo direttore Riccardo Chailly, di spalle a palco e cantanti, che sa sempre tirare fuori il massimo, soprattutto nella musica pucciniana, dai maestri e professionisti di questa orchestra disposta ieri in platea.
Seconda notazione di merito va indubbiamente all’esibizione di Roberto Bolle, sulle note di Waves di Boosta-Satie. La sua performance è un vera e propria riscrittura spaziale della danza, un passo a due con la luce laser che lo circonda, lo attraversa, viene respinta e allo stesso tempo si unisce ai tempi, ai movimenti e alle figurazioni dell’etoile italiano.
A brillare invece tra i cantanti sono indubbiamente Benjamin Bernheim nel Werther, di Massenet, Lisette Oropesa magnifica, soprattutto nelle coloriture finali di Regnava nel silenzio, della Lucia di Lammermoor di Donizetti e Rosa Feola che oltre a un’eccelsa prova di canto, dà anche un’ottima prova di recitazione nell’aria Son anch’io la virtù magica in un’ambientazione da vacanze romane del Don Pasquale donizettiano. Ottima prova anche di Elina Garanca, Ludovic Tézier e dell’intramontabile Placido Domingo, in Nemico della Patria, dall’Andrea Chenier, di Giordano.
Non convincono infine alcune ambientazioni, che sembrano decontestualizzare le opere scelte, come quella del Don Carlo in treno o del Credo di Jago– cantato magistralmente da Carlos Alvarez – con la Casa Bianca che brucia o infine le immagini di Aldo Moro, Borsellino e Falcone, Gandhi e Papa Giovanni, che scorrono dietro le spalle di Domingo durante la sua esibizione.
A stupire e a lasciare la pelle d’oca è sicuramente il finale, con le note del Guglielmo Tell rossiniano, che sembrano voler buttare giù i muri della Scala e far entrare questa esibizione, materialmente e fisicamente in tutte le case degli italiani, per fargli rivivere ancora una volta la magia del teatro, della musica e della cultura.