DIETRO LE QUINTE #8 – Breve storia del plagio musicale
La legge italiana sul diritto d’autore (n. 633/1941) disciplina il reato di contraffazione (la cd. “pirateria”) all’art. 171, punendo con una multa chiunque riproduca, trascriva, reciti in pubblico, diffonda o ponga in commercio un’opera altrui senza averne diritto. Nello stesso articolo si punisce con una pena aggravata (la reclusione fino a un anno o la multa non inferiore a 516 euro) chi commette il medesimo reato, fra le altre cose, “con usurpazione della paternità” dell’opera.
Ed è qui, fra le maglie del reato di contraffazione, che risiede lo spazio assegnato dal nostro ordinamento al reato di plagio musicale, ovvero il ‘furto’ di una melodia altrui, quel saccheggio di pentagramma al centro di interminabili battaglie legali.
Sebbene la dottrina si sia più volte sforzata di identificare dei criteri costanti per l’accertamento del plagio (ad esempio le famose “otto battute uguali” o le “sette note consecutive”), la giurisprudenza ha sempre preferito valutare caso per caso, nella certezza per cui a comporre una canzone, oltre alla linea melodica – che è senz’altro il parametro principale – concorrano anche il ritmo, il timbro, gli accordi armonici e il testo. Così, oltre all’ascolto comparativo fra i due brani, in diversi casi si è ritenuta necessaria un’analisi più approfondita, in particolare per verificare se la canzone di musica leggera sia sufficientemente originale o al contrario troppo semplice per essere tutelata. Ancora, si è in taluni casi ritenuto necessario che l’opera secondaria suscitasse nell’ascoltatore medio “le stesse emozioni” dell’originale.
In ordine di tempo, l’ultima volta che si è chiamato in causa il plagio in maniera piuttosto rumorosa ha visto protagonisti Ermal Meta e Fabrizio Moro. Prima di trionfare al festival di Sanremo 2018, i due cantanti hanno rischiato la squalifica per aver portato in gara un brano in parte identico a un pezzo già presentato alle preselezioni di Sanremo Giovani 2016. Ma la vicenda si è conclusa in un fuoco di paglia: l’autore dei due brani era lo stesso, Andrea Febo, e il caso è stato con urgenza classificato come “autocitazione rispettosa del regolamento del Festival”.
Diversamente erano andate le cose a Loredana Bertè, che nel 2008 aveva visto il suo brano “Musica e parole” squalificato dal concorso canoro perché quasi coincidente con la canzone “Sesto Senso” di Ornella Ventura, scritto dagli stessi autori esattamente vent’anni prima.
Allontanandoci dalla Città dei Fiori, altre vicende hanno fatto non di meno discutere. Su tutte, naturalmente, i famigerati “cigni di Balaka”, che Al Bano sostenne aver ispirato “Will you be there” di Michael Jackson, dando inizio a un lungo iter giudiziario colorato di grottesco. Se era difficile credere che il re del pop ascoltasse il divo di Ciellino San Marco, non per questo poteva negarsi quanto i due componimenti fossero straordinariamente simili. In seguito alla denuncia di Al bano e dopo il parere di Ennio Morricone, nel 1994 il disco di Jackson fu ritirato dal mercato italiano e poi rimesso in vendita senza il brano incriminato. Qualche anno più tardi, però, il Tribunale di Roma, dopo aver interrogato lo stesso Jackson in un’audizione-evento, revocò l’ordine di sequestro ritenendo mancare una prova convincente che Jackson conoscesse la canzone italiana. Dopo altre pronunce intermedie, nel maggio del 1999 i periti del Pretore Penale di Roma riscontrarono la presenza di ben 37 note consecutive identiche nei ritornelli dei due brani, e Jackson fu condannato a pagare quattro milioni di lire di multa per plagio. Nel novembre del 1999, infine, la Corte di Appello di Milano mise fine alla querelle con una pronuncia che era l’unica verità possibile: i due brani erano entrambi figli di una terza canzone, una fonte comune priva di copyright e corrispondente a “Bless You For Being An Angel” degli Ink Spots. Al Bano fu condannato a pagare le spese processuali e rifiutò di ricorrere in Cassazione dopo un accordo riservato con Jackson.
Fra i cantanti maggiormente accusati di plagio figurano senza dubbio Gigi D’Alessio e Zucchero. Quest’ultimo ha affrontato un’aspra causa penale avviata da Michele Pecora a cavallo fra i due secoli. La canzone “Blu” di Fornaciari, con le sue “sere d’estate dimenticate”, sarebbe stata troppo simile alle “poesie d’estate dimenticate” della hit anni ’80 “Era lei”. Ad avere la meglio, alla fine, è stato Zucchero, che è riuscito a convincere i giudici di Milano dell’estrema diffusione di quella scala discendente e forse, più in generale, dell’ormai conclamata impossibilità di un “originale assoluto”.
Ancor più drammatiche le circostanze che hanno visto scontrarsi in tribunale il cantautore Sergio Endrigo, (in)dimenticato interprete di “Io che amo solo te”, e Luis Bacalov, premio Oscar per le musiche del Postino. Endrigo, per anni collaboratore di Bacalov, pretese di essere riconosciuto coautore della colonna sonora del film di Troisi, in gran parte ispirata alla sua canzone “Nelle mie notti”. Dopo diciotto anni di battaglie e due sentenze a favore di Endrigo, ormai defunto, Bacalov riconobbe nel 2013 il ruolo autoriale di Endrigo modificando l’iscrizione Siae e concedendogli, di fatto, un premio Oscar postumo.
Spostandoci fuori dall’Italia scopriamo come il subire un plagio, o meglio una “campionatura” non autorizzata, possa alle volte far piovere oro sulla testa della vittima. Il bellissimo brano di Puff Daddy “I’ll be missing you” è notoriamente costruito sul ritornello di “Every breath you take” dei Police, ma l’operazione fu compiuta dal rapper prima di acquisire i diritti di cover. Quando Sting citò in giudizio Puff Daddy per plagio, ottenne la totalità dei diritti sulla canzone, che ancora oggi corrispondono a decine di migliaia di dollari l’anno.
In mezzo ai casi di plagio più clamorosi gravita una galassia di episodi incompiuti o esagerati. Vengono sempre ricordate, per esempio, le somiglianze fra “I giardini di marzo” di Battisti e “Mr Soul” di Neil Young; fra “Ballo Ballo” della Carrà e “Eleanor Rigby” dei Beatles; fra “Viva la Vida” e “I could fly”; Lady Gaga e Madonna.
Il sito internet Plagimusicali.net offre una formidabile campionatura dei casi di plagio veri o presunti, con audio-comparazioni, commenti di appassionati e votazioni pubbliche. Talvolta i risultati sono interessanti, mentre il più delle volte le segnalazioni appaiono come una caccia alle streghe troppo severa.
Il numero di canzoni prodotte ogni giorno nel mondo, infatti, unito alla finitezza delle composizioni melodiche, non può che invitare ad essere quanto più clementi possibile nell’identificazione del plagio. Non solo, come ci insegnano dall’Asia, copiare vuol dire prima di tutto ammirare, ma è indiscutibile come la produzione artistica sia sempre il prodotto dell’elaborazione dell’esistente, l’esito (anche inconscio) di mille ispirazioni. Nel saggio “Anche Mozart copiava” (2004), Michele Bovi richiama l’osservazione di Morricone per cui “la musica orecchiabile, proprio perché tale, assomiglia a qualche cosa già scritta”. Tutti noi ci emozioniamo di fronte al ‘già sentito’. Tutti noi siamo in debito, ad ogni lampo di genio, con chi ci ha preceduto.
Quando il richiamo a un altro brano offende davvero il valore della paternità e dell’impegno individuale – in quanto volto a trarre vantaggi ingiusti dall’altrui genialità – allora quell’atto va senz’altro represso. Negli altri casi, a fare da guida dovrà essere l’indiscutibile e ancor più prezioso valore della conoscenza comune e dell’impegno collettivo.