DRAMMATURGIA: Un Tramezzino Tautologico di Mauro Tiberi
Vincitore del premio come Miglior Drammaturgia nella VII edizione del Fringe Festival di Roma, Tramezzino Tautologico di Mauro Tiberi è un’opera le cui parole pesano come cemento sulle corde della nostra sensibilità. In scena un uomo e la propria abitazione, spartana e fatiscente, dove è presente il minimo indispensabile per la sopravvivenza dell’artista: una libreria ricca di titoli si contrappone a un tavolo e a un piano cottura desolati e spogli su cui prepara il suo spuntino, grottescamente composto da un tozzo di pane raffermo e da una sottiletta di formaggio, recuperata dal frigo assieme a una bottiglia d’acqua, uno dei segni salienti di un beffardo ritratto della solitudine. Una telefonata e poi una registrazione; la lettura di una fiaba alla propria nipote, che si trasforma nell’urlo disperato di un uomo senza prospettive.
Mauro Tiberi, autore ed interprete di questo toccante monologo, interpreta un autore di teatro scontroso, burbero e volgare, anzi volgarissimo, che non si fa problemi ad aprirsi con tutto sé stesso alla propria nipotina, forse da lui considerata come l’unica anima pura rimasta rispetto ai suoi simili che lo hanno confinato nell’inferno dell’incomprensione e nel dolore di un amore non ricambiato. E, come se non bastasse, uno spettro aleggia nella conversazione: la depressione.
Tramezzino Tautologico è la dimostrazione di un teatro le cui parole e la cui scena sono una spaventosa diapositiva della nostra condizione fragile e indifesa: un essere umano piccolo e mediocre, fatto di velleità, di volgarità e di capricci e, purtroppo, anche di dolore. Una rappresentazione dell’essere umano così viva e vera sulla scena da prendere alla gola lo spettatore battuta dopo battuta.
Intervista a Mauro Tiberi
Sono nato a Roma il 28 luglio del 1989 ma abito a Pomezia. Questo credo che basti a racchiudere un po’ tutte le questioni. Aggiungerei anche un appunto sulla mia menomazione alla mano destra e sui miei problemi di balbuzie. Ecco, ora il profilo del personaggio è completo.
Mi sono sempre un po’ sentito ai margini di ogni cosa pur facendone parte.
C’è chi dice che la marginalità sia uno degli ingredienti fondamentali dell’arte come anche la sofferenza, la cirrosi e la gonorrea. Per quanto riguarda le ultime due ci sto ancora lavorando.
Quando ho scoperto il mondo del teatro nel 2006 le mie prospettive e la visione d’insieme di me stesso sono drasticamente cambiate. Mi sono fin da subito reso conto che in scena non balbettavo e che la mia mano non si notava. Poi, nel corso degli anni, anche Pomezia è diventata una valida alleata. Una sorta di punto di riferimento da osteggiare e combattere con la lama tagliente dell’ironia.
E’ stata un’esplosione di vivacità espressiva. Ho iniziato a scrivere e ad aver bisogno di un palco in un rapporto di totale dipendenza da esso.
C’ho messo un po’. Sono anche una persona molto lenta. Nel 2016 mi sono iscritto a Teatro Azione e ho scelto, in un ritardo massimo, di dedicarmi esclusivamente alle mie velleità artistiche perché per me il teatro non è solo un luogo in cui esprimere qualcosa. E’ l’unico luogo in cui non mi sento a disagio, dove il disprezzo che nutro a livello molecolare verso me stesso viene meno.
L’essere umano è l’unico a percepirsi nel mondo che lo circonda. E’ l’unico a dire “che fame! Ho bisogno di cibo ma prima devo calarmi un lexotan perché la vita è indubbiamente intollerabile sotto ogni punto di vista”. Per me quel lexotan è il teatro. Mi rasserena, paradossalmente interrompe quel moto di dissociazione dalla realtà e mi fa tornare la voglia di avere rapporti sessuali al limite dell’indecenza.