Castigat ridendo mores. Intervista a Matthias Martelli
La detenzione del potere, salvo poche eccezioni, tende a sconfinare nell’abuso. Una violenza che si fa imposizione, che nell’intolleranza trova una foce dissetante. Incubo dei potenti sono i ribelli, uomini e donne capaci di spezzare le catene del sopruso. E alla ribellione per essere efficace bastano poche cose: il pensiero, la parola e la condivisione. Come nel teatro.
I giullari di corte, i satirici, i graciosos seicenteschi e i Fools shakespeariani, a tutto questo hanno aggiunto il riso, facendo del castigat ridendo mores un’arma potentissima di verità e disvelamento. La tradizione popolare del saltimbanco che, rilegato ai margini della società, riabilita la dignità degli umiliati, ha trovato eco nel teatro di Dario Fo. Il suo Mistero Buffo, compiuti e oltrepassati i 50 anni di età, riesce ancora a far storcere il naso.
Alle innumerevoli censure subite da questo spettacolo negli anni, se n’è aggiunta una recentissima, cui ha dovuto far fronte, questa volta, Matthias Martelli che, diretto da Eugenio Allegri, è corpo e voce delle dirompenti giullarate di Fo. Nel comune di Massa Martana, Mistero Buffo, programmato per il 29 agosto, non potrà approdare perché, per i temi attinenti alla religione, non è adeguato alla comunità del luogo. E la rossa Umbria che fu, indossa un nero manto censorio.
All’indignazione generale segue il dietrofront del Sindaco Federici che promette uno spostamento di data. Lo spettacolo, stavolta, non è inadeguato per la popolazione, ma per i bambini che in gran numero avrebbero potuto affollare la platea, essendo loro dedicata la rassegna ospitante. Come se ci fosse un’età giusta per imparare a difendere la dignità degli oppressi e il rispetto per i deboli.
Dario Fo è ancora scomodo, perché è tuttora efficace. Per fortuna. Dario Fo è ancora scomodo perché il bigottismo continua a ruggire forte. Purtroppo. Ne abbiamo parlato con Matthias Martelli, che dal 2019 porta in scena, in Italia e in Europa, Mistero Buffo, commentando questa vicenda, approfondendo la sua visione artistica e indagando il suo approccio all’arte di Fo.
Nel tuo percorso artistico, abbracciando la tradizione dei giullari, simbolo dell’arte che rovescia il potere, fai della comicità una lente d’ingrandimento con cui osservare la realtà e la società che ci circonda. Cosa ti ha insegnato questo mestiere sul mondo che abiti?
In realtà il mondo che abito mi da lo spunto per ciò che poi viene messo in scena. E quest’osservazione è molto difficile, perché non c’è niente di più surreale della realtà. Il bello di questo mestiere è che mi permette costantemente di farmi delle domande: su quello che accade, sull’esistente. Si sta formando una personalità generale molto narcisista, poco empatica, individualista. Il teatro può combattere tutto questo perché consente di condividere temi ed emozioni dal vivo e non online.
Il significato profondo del teatro è la connessione energetica che può cambiare il mondo. Nonostante le grandi possibilità offerte da internet e dai social, quando sei online, o in video, la comunicazione è uno a uno. Credo che il mondo cambi quando si condivide l’esperienza in tanti e dal vivo, quella è una forza di cambiamento esplosiva.
Nella tua biografia si legge autore, attore, performer, giullare. Qual è il ruolo del giullare oggi?
Il ruolo del giullare è fornire uno sguardo originale sulla realtà e cercare di smascherare il potere. Quando parlo di potere non mi riferisco solo a quello politico ma anche a quello del web, ai condizionamenti che ci arrivano dal consumismo ossessivo. Dal punto di vista tematico il giullare tenta di capire dove si annidano questi poteri per rovesciarli in maniera comica, ironica, alta.
Dal punto di vista stilistico, attraverso la mimica, la gestualità, il corpo e la voce, si combinano i generi mescolando poesia, comico, tragedia. Il giullare è in grado di dissacrare qualsiasi sacralità, anche non religiosa. Questo stile che Dario Fo ci ha insegnato, nel teatro contemporaneo non viene spesso ripreso. Forse perché il comico viene ancora considerato meno alto di uno stile più classico, più semplice e non c’è niente di più sbagliato.
Cosa ha significato per te interpretare gli spettacoli di Fo, qual è stato e qual è il tuo approccio al lavoro?
Ho conosciuto Mistero Buffo da bambino, me lo hanno fatto vedere i miei genitori in videocassetta. C’era quest’attore, vestito di nero, che giocando su una scena spoglia riusciva a far comparire tutto. Quel gioco è stato dirompente. Per me quello era il teatro. Mettere in scena Mistero Buffo è stata un’operazione folle: sono stato io a chiedere a Eugenio Allegri di farmi la regia, poi abbiamo ottenuto il benestare di Dario Fò tramite un video e infine abbiamo chiesto il sostegno del Teatro Stabile di Torino.
Quando sono riuscito a realizzare quest’impresa ho sentito di aver riportato qualcosa che merita di essere vivo sulla scena, non solo di essere ricordato come uno spettacolo degli anni ‘70. È un classico universale con uno stile incredibile. Non mi capacito di come sia possibile che un umano abbia scritto una cosa così perfetta, che abbia creato un meccanismo così straordinario. Rimettere in scena Mistero Buffo per me ogni volta è un’emozione, ma non in senso retorico: è come se entrasse dentro di me uno spirito altro, un’energia che proviene dai giullari, dalle piazze, che arriva sul palco, e fa dello spettacolo un rito.
La vicenda di Massa Martana ha dimostrato la forza dei testi di Dario Fo, anche a 50 anni dalla loro stesura. Dario Fo, è ancora scomodo?
Evidentemente. Dario Fo colpisce il bigottismo duro. In Mistero Buffo trasforma i personaggi dei vangeli apocrifi, facendoli diventare personaggi del popolo, con i difetti e le caratteristiche dell’uomo. Il messaggio però non è di piegarsi alla volontà di Dio, ma di combattere qui e ora contro i soprusi del potere, contro tutti i razzismi, i bigottismi. Questo può ancora dare fastidio a chi è custode di tutto questo, della rigidità, del clericalismo più bieco. In questo senso, finché ci sarà un potere, sarà sempre dirompente.
A proposito delle dichiarazioni del Sindaco di Massa Martana in merito alla fraintesa censura di Mistero Buffo, qual è la tua opinione?
Io ho riportato le parole della mail che è arrivata dall’organizzazione alla mia cooperativa, quindi, per me, la motivazione è quella che mi è stata data. Il contratto era firmato, quindi è stato imposto a un organizzatore di non far fare uno spettacolo che aveva già scelto. Se devo fare un commento sul fatto che lo spettacolo non sia a loro avviso adatto ai bambini, posso solo dire che Mistero Buffo è perfetto per tutti, è uno spettacolo da piazza.
Qual è la differenza tra Il primo miracolo di Gesù bambino di Fo e la tua giullarata?
La differenza è che il mio corpo, la mia voce, la mia gestualità non hanno niente a che vedere con quelle di Dario Fo. Prendo questo classico e lo riporto dentro una fisicità, un modo di fare completamente diversi, attualizzando le introduzioni come faceva lui, e facendolo funzionare in quanto testo. Noi dobbiamo guardare i video di Dario Fo, ammirare un attore inarrivabile, e rimettere in scena questo spettacolo facendone un classico proiettato nel futuro.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.