Il corpo poetico. Il teatro di creazione di Jacques Lecoq

Il corpo poetico. Il teatro di creazione di Jacques Lecoq

Il Corpo poetico. Un insegnamento della creazione teatrale, narra il viaggio di una vita dedicata alla ricerca della verità nell’illusione. Il libro, edito nel 1998 a cura di Jean-Gabriel Carasso e Jean-Claude Lallias, compendia l’attività pedagogica di Jacques Lecoq, ci accompagna lungo i sentieri incerti dell’arte drammatica in rue du Faubourg-Saint-Denis di Parigi, all’École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq.

Il corpo poetico. Jacques Lecoq e la maschera neutra
Jacques Lecoq e la maschera neutra

Sentieri che si intrecciano in un nodo di esistenze, di esperienze il cui contatto avviene nel e attraverso il teatro, che struttura e rende rappresentabile il cammino intrapreso. Una scuola per gli artisti del teatro, dove si insegna come raggiungere la consapevolezza di un corpo poetico. La pedagogia di Lecoq si configura come poetica della permanenza e dell’evoluzione, di ciò che resta dello sguardo sul mondo, di idee radicate nella realtà oggettiva e sintetizzabili in immagini e teorie; crea le condizioni affinché si realizzi, con un autentico atto creativo, la nascita di un nuovo teatro.

L’atto creativo presuppone organicità, coinvolge l’individuo nella sua totalità: è tutto l’individuo che genera un altro da sé dal suo stesso essere, un altro da sé distante e autonomo. È nella distanza che si interpone ai due, in questo spazio vuoto, che il gioco teatrale si sviluppa facendoci assistere alla nascita dell’opera e del personaggio.

Il primo passo di questo lungo cammino, si compie nella direzione dell’atto conoscitivo del mimare, che l’antropologo Marcel Jousse definisce come mimismo: «L’uomo non conosce che ciò che riceve in se stesso e che rigioca […] noi conosciamo le cose solo nella misura in cui si giocano, si gestualizzano in noi. L’esterno inter-relazionale si inserisce in noi e ci obbliga ad esprimerlo».

Imitare vuol dire ricreare il movimento interno delle cose e per farlo dobbiamo definire un percorso di ricerca che muova in una duplice direzione, per mezzo dell’improvvisazione e dell’analisi dei movimenti della vita: verso ciò che di interno emerge all’esterno e ciò che, oggettivandosi in gesto, si scopre analogo all’impulso interno che lo ha generato. Ci si avvicina all’improvvisazione cercando, nel silenzio, le radici dell’azione e della parola. Ci si avvicina all’essenza del movimento, nel capire che le sue leggi organizzano l’architettura del gioco teatrale. Una composizione, un dipinto, un testo, un corpo, sono strutture in movimento, si costituiscono nella dinamica tra ritmo, spazio e forma.

«Sta zitto, gioca, e il teatro verrà!»

Il nostro viaggio inizia nel passato, nella straordinaria capacità dei bambini di osservare il mondo sempre con occhi nuovi e di incorporarlo. È nell’attitudine infantile a capire il mondo imitandolo, il punto di partenza per una recitazione silenziosa e aderente alla vita e alla psicologia degli individui. Si mima, semplicemente. Similmente, gli allievi della scuola di Lecoq mettono in luce la dimensione teatrale di un evento reale, liberi dalla preoccupazione della trasposizione scenica del fenomeno osservato: praticando il rejeu (ri-gioco).

Ritrovano nel silenzio la dinamica interna al senso della parola e, nella disponibilità di un corpo in stato di equilibrio, l’espressività del movimento. Dal silenzio di corpi in ascolto reciproco, ci spostiamo di un ulteriore passo verso la dimensione cardine della pedagogia dell’École: la neutralità della maschera. Nel 1948 Lecoq incontra, a Padova, Amleto Sartori, lo scultore che riportò in auge l’arte della lavorazione di maschere in cuoio, propria della commedia dell’arte.

Nel racconto che l’autore fa della sua permanenza a Padova, individuiamo il punto di contatto con la tradizione della commedia dell’arte, tra mercati e “bettole di periferia”: «In quei quartieri capii che cosa poteva essere un’autentica commedia dell’arte, quella nella quale i personaggi sono perennemente nell’urgenza di sopravvivere».

La maschera neutra fabbricata da Sartori sul modello, caro a Lecoq, della maschera nobile di Jean Dasté, è l’inizio della ricerca di una ricettività del corpo dell’attore libero da psicologismi, indispensabile a un teatro essenziale. Sperimentiamo il rejeu per andare nella direzione inversa e, solo in un secondo momento, integrare le due componenti.

Traduzione mimodinamica

Ogni identificazione presuppone un punto d’appoggio, mobile e soggettivo, in base al quale si organizza la postura. Il primo punto d’appoggio è la maschera neutra, che sottostà alle varie espressioni caratterizzanti. L’attenzione dell’attore converge sul “come” rendere organico il movimento per suscitare le giuste emozioni nel silenzio ricettivo dell’improvvisazione: si impara a far emergere la struttura del tema da rappresentare.

Una buona maschera, che gli allievi impareranno a costruire, avrà la capacità di suggerire, nell’apparente immobilità della forma, le sfumature emozionali che accompagnano l’interpretazione di un personaggio. Avrà linee di tensione che l’attore seguirà, sovrapporrà, intreccerà, con la precisione di un artigiano.

«Il risultato più rilevante del lavoro di identificazione è costituito dalle tracce che si iscrivono nel corpo di ciascuno, dai circuiti fisici impressi nel corpo, lungo i quali circolano in parallelo le emozioni drammatiche, che trovano così la strada per esprimersi». L’identificazione si arricchisce di esperienze concrete di osservazione e decodifica mimodinamica: si tratta di percepire la dinamica interna di un’opera, un quadro o una poesia e riprodurne il movimento con gesti non automatizzati e non retorici.

Gli allievi sviluppano questa capacità entrando in contatto con le diverse arti, nella dialettica tra conoscenza e creazione. Imparano ad esprimere, in un gioco ritmico-spaziale, la dimensione drammatica che più si avvicina all’immaginario evocato. L’emozione particolare suscitata in noi dall’esperienza del contatto acustico, tattile o visivo, degli elementi materiali che ci circondano quali spazio, luce e colori, rivela il fondo di sensazioni che si imprimono nella memoria muscolare da cui si origina l’impulso e il desiderio creativo.

Analogamente, con la decodifica mimodinamica, ci si allena a riconoscere nel personaggio le motivazioni profonde che strutturano l’azione. Entrare in una maschera vuol dire rivivere l’impulso che l’ha fatta nascere. Ogni personaggio porta con sé una complessità di sentimenti  e tratti variabili; per ogni maschera neutra ci sono una molteplicità di maschere espressive che suggeriscono l’importanza della complementarietà degli opposti nell’arte della recitazione, la necessità di esercitarsi a recitare la contro-maschera di ogni personaggio.

I sentieri della creazione

La poetica della scuola è radicata nella convinzione che una ricerca consapevole e ostinata consenta di rintracciare la totalità di cui l’unità è composta: «Trascorri la tua vita in una goccia d’acqua e vedrai il mondo!». La seconda parte del viaggio, segue il mondo e i suoi movimenti: l’éclosion, l’ondulazione e l’ondulazione inversa. Il movimento ondulatorio del corpo, le micro oscillazioni posturali che acquisiscono il significato di spingere-tirare verso, è alla base di tre diversi atteggiamenti: essere con, essere pro, essere contro, riassumibili nel rispettivo modo di recitare con la maschera neutra, la maschera espressiva, la contro-maschera.

L’éclosion rappresenta il passaggio da una maschera o posizione drammatica all’altra, passaggio fluido in cui tutte le parti del corpo agiscono in armonia. In teatro ogni movimento psicofisico ha una giustificazione drammatica, si inserisce in uno spazio direzionale che Lecoq definisce larosa degli sforzi”. In questo spazio, la tensione verticale, metaforicamente trascendente, si avvicina alla tragedia in quanto crea due poli opposti tra gli uomini e gli dei o il loro inverso: i buffoni. L’orizzontalità produce un rapporto frontale e diretto, come avviene nella commedia dell’arte e con i clown.

Le direzioni oblique indicano l’inquietudine della dimensione lirica, tagliano trasversalmente i due piani aprendo le porte del melodramma. La scrittura teatrale non può che essere in costante movimento, alternando e compensando gli equilibri che ogni gesto mette in discussione. Nell’avvicinarsi alla verità del gesto, per meglio capire il mondo, bisogna avere chiaro il punto di partenza e di fine del percorso, sviluppare un progetto di azione drammatica che ci guidi nei sentieri della creazione.

La geodrammatica e i suoi linguaggi

Diversi sono i modi di compiere il cammino tra territori geodrammatici, ognuno dei quali necessita di un proprio linguaggio. Nel melodramma, individuiamo la sintassi della bande mimée (striscia mimata) nella concatenazione di immagini folgoranti e riconoscibili. Nella commedia dell’arte, regna la pantomima come tecnica del corpo di tutti i teatri di maschera; siamo nel luogo della crudeltà del limite, puntualmente oltrepassato fino a trasformarsi nel suo opposto.

Commedia umana delle relazioni sociali immutabili. Per trovare il coraggio di il denunciare l’assurdità delle relazioni sociali, occorre visitare il regno della follia organizzata dei buffoni. Il loro linguaggio richiede un particolare tipo di parodia radicale che consiste nella ricerca di un corpo altro, misterioso, grottesco e fantastico, che permetta la derisione del mondo. Nel confrontarsi con la dimensione tragica emerge la capacità di individuare il nucleo significativo di un testo attraverso la pratica della mimodinamica.

Il coro tragico raggiunge il livello ricettivo del corpo in maschera (reagendo produce l’azione), gesti e parole sono dotati di organicità e risultano essenziali alla fruizione. L’ultimo sentiero da intraprendere, riguarda le varietà comiche, il burlesco, l’assurdo, l’eccentrico. Dalla maschera neutra al naso rosso di Pierre Byland, l’attore approda al ruolo che reclama l’esperienza personale della creazione, la ricerca del proprio lato risibile, che non esiste al di fuori dell’attore che lo recita: il clown.

L’insegnamento teatrale di Jacques Lecoq, di poggiare lo sguardo sul mondo affinché riviva in noi, si compie nell’affermazione del suo opposto: vivere noi stessi, nell’effetto che produciamo sul mondo. La fine del percorso, ci riconduce al principio: «Point d’appui et point d’arrivée, dans ce qui n’a ni commencement ni fin». Come gli argini del fiume, le regole della creazione drammatica contengono, e al tempo stesso definiscono, la forma della materia.

La funzione dell’argine è di far sì che la forza della corrente non si arresti, non si disperda ma fluisca in libertà all’interno di un sentiero definito che è lei stessa a imprimere nella terra fertile dell’immaginario. La poesia, la musica, la recitazione, agiscono come il vento, sono gli elementi essenziali del moto che nella direzione e nel ritmo trova la sua ragion d’essere. Le acque del fiume, in perenne movimento dalla sorgente alla foce, restituiscono nel loro viaggio il senso profondo, vivo, della permanenza.

Ogni cultura porta con sé un immaginario, cambiano gli elementi, cambia la forma della materia ma ci sarà sempre un fiume in movimento, reale o illusorio, che guiderà la ricerca della verità riflettendo l’immagine di un corpo poetico che “fa corpo con”, che mima se stesso nell’atto di re-inventarsi. Riscoprirsi in armonia con la natura, gli altri, la realtà di cui si è parte, per capirla e migliorarla attraverso l’arte.