#FocusOn: Anonima Sette a Direction Under 30 con B/RIDE

#FocusOn: Anonima Sette a Direction Under 30 con B/RIDE

A Direction Under 30, festival di mutuo soccorso teatrale dedicato alle compagnie under 30, hanno partecipato realtà artistiche di indubbio valore, alcune dal talento ancora non pienamente espresso, altre già pronte per calcare palcoscenici importanti come quello del Teatro Sociale di Gualtieri. Fra queste ultime si può annoverare la compagnia teatrale Anonima Sette, movimento teatrale fondato sull’idea di mutualità e solidarietà tra compagnie under 35 che si avvale per la produzione dei propri lavori della collaborazione fra giovani artisti col fine di creare performance che uniscano generi brillanti e classici a metodologie e ricerche contemporanee. Nel corso della sua esperienza Anonima Sette ha collaborato con la compagnia Coturno 15 (Plautus Festival 2016) e la compagnia Habitas (Fringe di Roma 2016). A maggio 2017 ha presentato, in forma di primo studio, lo spettacolo Arkady presso le Carrozzerie N.O.T. (Roma). Con Giacomo Sette, regista e drammaturgo , abbiamo avuto modo di parlare di B/RIDE, racconto teatrale ispirato al cortometraggio “Finché morte non ci separi” di Damian Szifron, vincitore del Premio della Giuria Critica della IV edizione di Direction Under 30, nato da un’idea di Martina Giusti in scena con Azzurra Lochi e Simone Caporossi, scritto e diretto dallo stesso direttore artistico della compagnia.

Come è nato lo spettacolo “B/RIDE”?

B/Ride è nato da un’idea di Martina Giusti. E dalla sua meravigliosa tigna. Voleva fare il suo dannato monologo, cascasse il mondo. Ha incontrato me in un bar del Pigneto e mi ha proposto di riscriverlo. Senza Martina B/Ride non esiste. Le mie personalissime suggestioni sono state inizialmente tutte nel rapporto con lei: nell’ambito lavorativo, delle prove, ci siamo molto suggestionati. Io sono una specie di spugna, prendo tantissimo dalle persone con cui lavoro e rielaboro. Lei seleziona tutto ciò che le arriva e sceglie cosa tenere e cosa no. Ad un tratto ho sentito la necessità di raccontare non più il personaggio della sposa tradita che scapoccia, ma il rapporto che porta a scapocciare. Inizialmente volevo scendere in dettagli psicologici, terreno minato nel quale mi muovo con fatica, poi… boom!, ho capito cosa volevo raccontare. L’immobilità. La coppia chiusa e ferma in una specie di bolla meccanica, ridotta alla ripetizione dei propri schemi mentali ormai perfettamente aderenti a quelli fisici. Niente di profondo o di rivoluzionario. Ma avevo bisogno di due pupazzi. Non c’è qualcosa di specifico che mi ha suggestionato, trovavo che erano già contenuti nella scena… allora ho semplicemente chiesto la professionalità e la bravura di Simone Caporossi e Azzurra Lochi, (che erano partiti come assistente il primo e aiuto regia la seconda), e li ho gettati nella “gabbia” con Martina. Ogni conflitto e difficoltà creava di giorno in giorno una mappa dello spazio scenico e della progressione registica. Nella confusione ed estrema libertà della “favola” s’imponeva, dalla scena stessa, dalla pulizia dei due pupazzi e dall’estro della “voce”, una specie di ordine, di equilibrio. Due pupazzi su un tappeto e una bimba che ci gioca.

Come si è strutturato il lavoro di ricerca e di produzione drammaturgica?

Io arrivavo con delle proposte. In parte pre-scritte, in parte scritte durante le prove. Queste proposte venivano accettate dagli attori e poi messe alla prova nel rapporto scenico. Il copione conta 49 pagine, ridotte poi a 9. C’era tutto un primo atto che ora è sparito. Inizialmente il centro di B/Ride doveva essere la parola veicolata dal talento della Giusti. Poi è successo qualcosa: mi sono accorto che la parola, per quanto uno provi ad assolutizzarla, ha un limite non meglio definito che la interrompe. Per la prima volta ho sentito che la parola “non mi bastava”, volevo che loro vivessero oltre quella. Martina ha avuto la bravura di “aggiustarsela” in modo creativo e rispettoso, aprendomi nuovi mondi drammaturgici. Ogni volta che tagliava inconsciamente o “storpiava” qualcosa, io valutavo se l’errore e la dimenticanza potevano diventare parte del copione o no. L’assenza di verbo nei due Pupazzi ha poi ulteriormente influenzato la scrittura che non poteva più fare a meno di questa presenza silenziosa. Il testo, cominciato come una specie di “denuncia poetica” del marcio di certi rapporti, estremamente lirico e visionario, (lo dico senza giudizio di qualità, a livello puramente tecnico), si è poi asciugato sulla scena, sul vivo degli attori, durante le prove e in alcuni casi addirittura durante le repliche, fino a diventare una specie di “beat” su cui gli attori e la musica di Luca Theos Boari Ortolani possono “cantare”.

In vista della prossima replica del 21 ottobre al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia quali aspetti scenici avete intenzione di perfezionare?

Credo che andremo a pulire ulteriormente. Personalmente vorrei lavorare di più sul rapporto con la musica, sull’uso dei pupazzi in un punto specifico dove mi sembra ancora poco chiaro e, con Martina, lavoreremo ancora di più sulle emozioni. Ci piace l’idea di fondere contesti teatrali e stilistici così lontani, mantenendo un finale aperto: vorremmo insistere, proseguire, rafforzare, approfondire, pulire, pulire, pulire. L’obiettivo è creare qualcosa che vada liscio, senza fraintendimenti e lasci qualcosa di grosso in chi lo guarda.

Com’è andata l’esperienza a Direction Under 30?

Bene! È semplice. Onestamente non so ancora dire, non ho ordinato troppo i pensieri. Le sensazioni, quelle me le sono tenute tutte. Vivide, con le loro immagini. Non so raccontare esattamente l’esperienza ad Under 30, ma posso dire che è qualcosa di unico. Al di là del risultato è semplicemente formativa. Il livello dei colleghi è altissimo e abbiamo avuto modo di apprezzare e percepire un’organizzazione fuori dal comune. Gentilezza, precisione. I rapporti con un reparto tecnico, anche in una situazione di emergenza e rapidità come quella della tre giorni di Gualtieri, non è mai stato così disteso e pulito. L’Associazione Teatro Sociale ci ha trattati tutti con cortesia e serietà uniche e noi di B/Ride ci siamo sentiti improvvisamente proiettati in un altro mondo. I colleghi che partecipavano con noi sono tutti bravissimi. Abbiamo visto spettacoli che “ci hanno fatto scuola” e, in generale, un ambiente “come dovrebbe sempre essere”. L’Esperienza di Gualtieri dovrebbe entrare in un progetto di Tirocinio delle sezioni umanistiche e dello spettacolo Italiane: ti fa vedere e vivere esattamente l’impatto del teatro su un ambiente sociale. Molto più di un esperimento Direction Under 30 ci è sembrato la realizzazione concreta dello scopo primario del teatro: fare comunità. Nel rapporto col luogo, (la comunità locale con il suo teatro – (e la gente ci va al Teatro di Gualtieri, che ha un suo pubblico comunitario il quale si occupa anche di partecipare ai lavori di rinnovamento dello spazio), e nel rapporto con la categoria, (non puoi non sentirti parte di una comunità più estesa, non puoi non sentirti un teatrante come tutti gli altri in un contesto come Direction. La competizione, comunque importante, passa in secondo piano. Resta l’idea che si è tutti parte di un qualcosa di enorme e plurimillenario).

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