Arriva in prima assoluta a Salerno al Teatro Augusteo Domenica 11 Marzo ore 18,30 lo spettacolo “La paranza dei bambini” di Roberto Saviano e Mario Gelardi.L’adattamento teatrale dell’omonimo libro di Saviano sarà l’evento di punta dellaIV Edizione della rassegna di teatro contemporaneo “Out of Bounds 2018”, in corso a Salerno fino al 15 Marzo 2018, ideata e diretta da L.A.A.V Officina Teatraledi Licia Amarante e Antonella Valitutti.
Abbiamo intervistato Mario Gelardi, regista dello spettacolo e direttore artistico del Nuovo Teatro Sanità di Napoli:
Dal best-seller “La Paranza dei Bambini” di Roberto Saviano alla drammaturgia: quali sono state le difficoltà di adattamento e di resa scenica nel declinare teatralmente il romanzo?
Ho avuto la possibilità, insieme a molti degli attori in scena, di seguire la nascita del romanzo, l’evoluzione della storia e dei personaggi. Questa conoscenza ci ha permesso di scegliere insieme a Roberto le storie e i personaggi che fossero più aderenti agli attori che li avrebbero interpretati, quasi per farli rinascere. Ovviamente il teatro ha dinamiche e necessità drammaturgiche diverse dalla letteratura, bisogna scegliere una strada e percorrerla ed è quello che abbiamo fatto.
Ne “La paranza dei Bambini” domina il nero dello spazio disegnato da Armando Alovisi per un territorio fantastico e cupo – come scrive Giulio Baffi su La Repubblica – con un richiamo ai fumetti neri di Frank Miller. Perché e in che modo la regia di Mario Gelardi ha mutuato dall’estetica fumettistica una propria chiave interpretativa?
L’intento principale era fuggire da un cliché che ormai si è formato, nel racconto della mafia e della camorra. I protagonisti di questa storia si sentono eroi tragici, questo mi ha fatto pensare agli eroi neri di Miller, che oltre a Sin City, ha ridisegnato alcuni Super eroi, rendendoli umani, fragili, neri appunto. Stilisticamente ho tolto i colori, lasciando solo il rosso del finale ed ho lavorato di silhouette e dividendo in più quadri le scena, proprio come la pagina di un fumetto.
“La Paranza dei Bambini” presenta un cast di ragazzi giovanissimi provenienti dal Rione Sanità. Quali sono state le emozioni, le criticità e i momenti felici provati con i giovani guaglioni?
Il gruppo di giovani attori del Nuovo Teatro Sanità, che va dai 16 ai 26 anni, sono pieni di talento e di passione e vedono nel teatro una precisa scelta identitaria. Gestiscono il teatro e lo mandano avanti, ne hanno fatto un patrimonio di tutto il quartiere. Abbiamo lavorato per mesi a questo spettacolo e siamo partiti da molto lontano, dal loro primo incontro con Saviano, verso il quale all’inizio, avevano alcuni pregiudizi ormai molto diffusi. Roberto è diventato uno di loro, si è mischiato con loro, uno di loro, Carlo, ha fatto spesso da consulente per alcuni modi di dire usati nel libro, e anche alcuni soprannomi.
Com’è stato accolto lo spettacolo “La Paranza dei Bambini” dal pubblico napoletano e in particolare dalla gente del Rione Sanità?
Da parte del Rione Sanità l’accoglienza è stata splendida, abbiamo fatto un’anteprima proprio per i ragazzi del quartiere. Il pubblico napoletano si divide, ma non tanto su di noi, ma quanto su Saviano, quindi viene a vedere lo spettacolo con molti pregiudizi o, per altrettanti pregiudizi non viene a vederlo.
Stiamo assistendo in tutta Italia a un progressivo ridimensionamento della funzione pubblica e sociale del Teatro. A Napoli, nel Rione Sanità, questo meccanismo sembra si stia invertendo: così Il Nuovo Teatro Sanità dal momento della sua nascita ha occupato un ruolo istituzionale sul territorio portando speranza e lavoro. Come viene registrata dalla cittadinanza la presenza fisica e sociale di questo nuovo polo culturale e delle sue attività?
Mi piace definire il nuovo teatro Sanità, un teatro di comunità. Un teatro che nasce in una comunità ed è permeata da essa. Spesso i luoghi teatrali, anche in quartieri a rischio, sono enclave destinate ai solo artisti che li frequentano. Abbiamo cercato e spero trovato, un modo diverso di comunicare quello che facciamo, cerchiamo di spiegare che esiste un teatro che va oltre le tabelle ministeriali, ma c’è una parte di “istituzione teatrale” che è occupata a pensare solo a quello. Ci sono segnali molto incoraggianti però, come il premio “Rete critica” che abbiamo vinto insieme agli amici del teatro Nest di San Giovanni, proprio per il nostro progetto teatrale. Attualmente non riceviamo alcun contributo dal ministero per cui praticamente non esistiamo. Il teatro è un patrimonio del quartiere e della città, questo lo sentiamo fortemente.
C’è un intruso nella produzione drammaturgica dell’autore catalano Josep Maria Mirò. C’è un potenziale nemico verso il quale convergono una o molte delle nostre paure più profonde. È il sabotatore nascosto nel Principio di Archimedee in Nerium Park che prende forma e si manifesta poco per volta, fino ad invadere lo spazio scenico.
Ad affrontarlo, come si fa con un virus, ci si rende conto che l’antidoto può essere più veleno che medicina. Ma chi è veramente questo sovvertitore dell’ordine? È una presenza visibile, in carne ed ossa, come l’allenatore Jordi della piscina, simpatico e di bell’aspetto? È un personaggio invisibile, come il nuovo amico senza dimora, che si aggira tra i cespugli e ha occupato abusivamente un garage dismesso del residence Nerium Park?
E se non fosse quello che vedono o non vedono i nostri occhi, chi o cosa sarebbe allora?
Josep Maria Miró è nato a Vic, in Catalogna, nel 1977. Si è diplomato in regia e drammaturgia presso l’Istituto del Teatro di Barcellona e in giornalismo presso l’Università Autonoma di Barcellona (UAB). I suoi testi teatrali sono stati tradotti in una ventina di lingue e ha debuttato in più di trenta paesi.
Vari sono i riconoscimenti che ha ricevuto; tra questi ci sono il “Premio Frederic Roda-LXV Nit de Santa Llúcia, Fiesta de las Letras Catalanas” e il prestigioso “Premio Born” vinto per due volte, nel 2009 e nel 2011. In scena ha portato i propri testi ma ha anche diretto opere di altri autori come Lluïsa Cunillé, Jean Cocteau e Francis Poulenc.
È docente di drammaturgia e coordinatore al corso di laurea in Arti dello spettacolo presso l’Università di Girona. Tiene regolarmente dei corsi presso la Sala Beckett in Barcellona nonché dei laboratori e seminari nazionali ed internazionali. Dal 2013 è membro del Comitato di lettura del Teatro Nazionale di Catalogna.
Il Principio di Archimede è un gioco di relazioni umane e di fobie contemporanee. Il lavoro è stato Prodotto dall’Istitució de les Lletres Catalanes (Istituto di Lettere Catalano), ha vinto il 36 ° Premio del Cinema. Jordi, l’allenatore di un gruppo di nuoto per bambini in una piscina, abbraccia e bacia uno dei suoi allievi, che stava piangendo per la paura di tuffarsi in acqua. Il suo gesto, però, causerà lamentele da parte di molti genitori e darà origine a una spirale di violenza che farà esplodere ogni genere di sospetti, pregiudizi e paure.
A curare la traduzione del testo italiano e la regia dell’allestimento teatrale è Angelo Savelli, reduce dal successo de “La bastarda di Istanbul”. Gli attori che interpretano i protagonisti de Il Principio di Archimede sono Giulio Maria Corso, attualmente impegnato nelle riprese de “Il paradiso delle signore”, Monica Bauco e Riccardo Naldini e Samuele Picchi, proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Nerium Park è il nome del complesso residenziale fuori città che dà il titolo all’opera. I protagonisti Bruno e Marta decidono di acquistare un appartamento di nuova costruzione, un’oasi immersa nel verde. Le problematiche sono quelle di una giovane coppia che sta mettendo su una famiglia. Quella nuova casa, acquistata con un mutuo bancario, è la tela del loro quadro esistenziale. I due stanno vivendo un momento professionale e personale felice. Con il passare del tempo e con la crisi economica che porterà anche al licenziamento di Bruno, le cose cambiano. Si accorgeranno inoltre di essere gli unici abitanti di quel complesso residenziale. Quella casa inizierà gradualmente a diventare come una prigione, rendendo sempre più teso il loro rapporto. C’è anche un misterioso individuo che si aggira nei dintorni, insinuandosi tra Bruno e Marta. La loro storia d’amore perfetta, allietata dalla notizia della gravidanza si trasformerà in un incubo.
Nerium Park è una produzione del Nuovo Teatro Sanità di Napoli, un noir diretto da Mario Gelardi – vincitore del Premio Flaiano, del Premio Ustica e del Premio Giuseppe Fava per il teatro e l’impegno civile, ultimo riconoscimento in ordine cronologico. Lo spettacolo è interpretato da Chiara Baffi – Premio Ubu come miglior attrice under 30 e Premio Eleonora Duse come miglior attrice emergente- e Alessandro Palladino, tra i protagonisti di Gomorra e del film Due soldati di Marco Tullio Giordana.
Sia al Teatro Rifredi di Firenze che allo Spazio Diamante di Roma (in quest’ultimo sono andati in scena entrambi gli spettacoli, Il Principio di Archimede e Nerium Park è stato presentato il libro Teatro edito da Cue Press che raccoglie quattro testi di Miró tradotti da Angelo Savelli.
Entrare nel mondo di Josep Maria Mirò non comporta facili ipotesi o certezze. I temi del teatro di Mirò, le psicosi sociali, individuali o collettive, che l’autore denuncia, passano attraverso i fatti e la vita dei personaggi. I quali risultano essere in conflitto, sono spesso ansiosi e terrorizzati da una minaccia che si manifesta all’interno delle loro comfort zone. In un crescendo di panico, l’angoscia diventa paura del diverso, dell’invasione dei propri spazi, della perdita del lavoro e degli affetti, della stigmatizzazione e di essere accusati di qualcosa che forse non è stato commesso.
La sua osservazione e descrizione della realtà apre in contemporanea una serie molteplice di domande: è un’indagine minuziosa dove ogni dettaglio viene analizzato da tutti i punti di vista. Sempre soggettivi, quasi mai oggettivi. Sono le differenti prospettive che formano l’insieme dei pezzi, senza prevedibili conclusioni. Il finale rimane aperto alle molteplici interpretazioni degli spettatori o dei lettori.
La funzione del teatro, secondo Josep Maria Mirò è quella di porre degli interrogativi che vengono trasferiti allo spettatore. Come lui ha dichiarato:
C’è un tipo di teatro che mi stimola. Mi scuote. Mi fa sentire come se camminassi attraverso un terreno paludoso. Mi fa tremare. Solleva dubbi. Mi interroga come individuo e anche come parte di un gruppo. Mi mette in un posto fragile, mi interroga e mi fa interrogare. Questo è il tipo di teatro che mi piace come membro del pubblico e al quale aspiro come autore.
Paradossalmente, mi sento a mio agio in questi spazi di disagio, forse perché penso che siano gli unici in grado di generare riflessione e dibattito. Il teatro è un atto rituale in cui si crea un dialogo tra ciò che accade sul palco e ciò che accade nelle bancarelle. L’aspirazione è di non morire con l’applauso, ma di portarlo a casa con noi e farlo entrare nello spazio delle idee. Se non tocca le fibre sensibili e, semplicemente, riafferma le nostre convinzioni, piuttosto che metterle in quarantena, è un teatro per i convinti. Un atto borghese, il preambolo per noi seduti a un tavolo in un ristorante.
Il teatro è e deve essere molte cose e deve avere molte funzionalità. Penso che ogni drammaturgo debba scrivere da una posizione di impegno ed essere chiaro su quale tipo di teatro lui o lei vuole produrre. Per me, la sceneggiatura è un’esigenza e un atto politico.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
Da giovedì 21 marzo a domenica 24 marzo Nerium Park, ultima produzione del Nuovo Teatro Sanità, sarà in scena allo Spazio Diamante di Roma.
“Nerium Park” è l’opera del catalano Joseph Maria Miró, il titolo richiama l’ambientazione della storia, che si svolge in uno di quei complessi abitativi che sorgono appena fuori città, circondati spesso da alti oleandri. Qui, una giovane coppia, Bruno e Marta, decide di acquistare, con mutuo trentennale, un prestigioso appartamento di nuova costruzione, che appare come un’oasi di felicità immersa tra i nerium, un arbusto con foglie sempreverdi lisce e larghe; produce fiori rosa o bianchi molto abbondanti e aromatici. La coppia è in un momento professionale e personale particolarmente fiorente, in cui tutto sembra procedere al meglio e la novità della casa non può che rafforzare il loro legame. Col passare dei mesi, però, i due si accorgono di essere gli unici abitanti del parco, nascosto all’ombra di quel fiore, che ora non appare più così incantevole, ma quasi ossessivo. Lo spettacolo racconta dodici mesi della vita della coppia, in cui i due non hanno modo di liberarsi di quella casa che nessuno vuole più. Intanto Bruno viene licenziato, il che rende i rapporti della coppia sempre più tesi. A creare una maggiore distanza è l’irruzione di una strana presenza, che alberga nel caseggiato abbandonato, come una sorta di fantasma della coscienza. Lo strano individuo ossessiona la vita di Bruno e Marta, facendo emergere tra loro profonde discrepanze emotive. Così, quella che sembrava una storia d’amore, allietata anche dalla notizia dell’arrivo di un figlio, si trasforma in un crescendo di tensioni e suspense.
Abbiamo intervistato il regista Mario Gelardi:
Come è nata l’idea di portare in scena Josep Maria Mirò e quale evoluzione artistica c’è stata successivamente al vostro incontro?
L’idea nasce proprio dall’incontro tra me e Josep, durante “Write” una residenza internazionale per drammaturghi curata da Tino Caspanello. Quello che ci ha spinto a collaborare è che abbiamo la stessa esigenza di raccontare, la stessa urgenza sui temi da affrontare.
Hai dichiarato di “aver lavorato sull’attesa che la vita cambi, che la persona amata torni a casa, l’attesa di un lavoro e quella di un figlio”. Ritieni che ogni attesa, ogni aspettativa umana possa comportare una condizione di frustrazione?
No, la frustrazione non è inevitabile. Nel caso di Nerium Park, parliamo dell’attesa soprattutto di un cambiamento, in questo caso l’uomo deve essere attivo, ma non sempre trova le forze per farlo. Nerium è anche un invito a prendere in mano la propria vita e a non farsi trasportare dagli eventi.
Quello che perdono Bruno e Marta, nel loro rapporto, è l’intimità dell’amore, la felicità o entrambe le cose? In questo senso, Bruno e Marta possono rappresentare il paradigma delle difficoltà di comunicazione della coppia moderna?
Bruno e Marta hanno tutto per essere felici, ma sarebbe troppo semplice. I due protagonisti prendono due strade diverse, fino a non riconoscersi più, fino a non capirsi più. É una caratteristica, purtroppo, di molti rapporti umani.
Sembra quasi che oggi abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi dall’esterno. Che osservi quello che facciamo. Una sorta di “finestra sul cortile” tecnologica. Senza nessuno che ci guardi sembra quasi che non esistiamo più. È così?
La presenza dell’altro più che materiale è virtuale. Nel caso dei nostri protagonisti non sappiamo se e quando si materializzerà, è questo uno dei motivi di suspance della storia.
Il tema della paura è ricorrente nell’opera drammaturgica di Mirò. In Nerium Park si aggira un personaggio misterioso: chi è il nostro nemico?
La paura dell’altro, dello sconosciuto, la paura del cambiamento, la paura di perdere i beni materiali della propria vita ma anche quelli che pensiamo siano i nostri affetti. Sono temi caratterizzanti della scrittura di Mirò. Il primo nostro nemico, siamo noi stessi, soprattutto quando ci arrendiamo, quando non vogliamo affrontare il cambiamento che spesso è una rivoluzione, anche se intima.
NERIUM PARK DI JOSEP MARIA MIRÓ TRADUZIONE DI ANGELO SAVELLI CON CHIARA BAFFI E ALESSANDRO PALLADINO
MUSICHE TOMMY GRIECO COSTUMI ALESSANDRA GAUDIOSO SCENE MICHELE LUBRANO LAVADERA LUCI ALESSANDRO MESSINA AIUTO REGIA DAVIDE MERAVIGLIA FOTO DI SCENA VINCENZO ANTONUCCI GRAFICA LUCA MERCOGLIANO
ORGANIZZAZIONE ROBERTA DE PASQUALE E CHIARA PASTORE UFFICIO STAMPA MILENA COZZOLINO E ANTONELLA D’ARCO
REGIA MARIO GELARDI PRODUZIONE NUOVO TEATRO SANITÀ
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
Con un salto indietro nel passato, raccontando le storie di re, regine e cortigiani, i destini segnati dagli oracoli del dio Apollo, le stragi degli anni di piombo, le cellule terroristiche, i rapimenti di persona, lo sfondo nero dell’omicidio di Pasolini, si possono descrivere e interpretare il presente e l’attualità. Altrimenti si può rimanere tra le storie dei giorni nostri, in mezzo alle inquietudini di ragazzi quasi adulti.
M.C. Escher
Da sempre l’uomo si è chiesto il senso di un eterno fluire, di una cronologia che potrebbe sembrare un insieme casuale di eventi, tra i decenni e i secoli. È uno studio continuo, una lezione: tutto ha un inizio e una fine. Questo vale per le cose, le persone, gli animali. La vita inizia e termina, il resto è solo transitorio. José Mujica scrisse che: “La vita è questo, un minuto e se ne va. Abbiamo a disposizione l’eternità per non essere e solo un minuto per essere”.
Un concetto simile lo aveva espresso William Shakespeare, molto tempo prima dell’ex Presidente dell’Uruguay, nel celebre monologo di Amleto. Il racconto d’inverno di Shakespeare, andato in scena al Teatro India dal 7 al 10 febbraio, con la Compagnia dei Giovani del Teatro dell’Umbria, è una delle sue opere più complesse dal punto di vista narrativo, fa parte delle cosiddette “Romances”.
Scritta intorno al 1610, debuttò il 15 maggio 1611 al Lobe Theatre di Londra. Rappresenta l’ultima fase della produzione shakespeariana insieme a Pericle, Cimbellino e La Tempesta. Gli studiosi del Bardo ascrivono The winter’s tale – Il racconto d’inverno a un “tardo romanticismo” ma forse l’uomo, non il celebre drammaturgo di Stratford-upon-Avon, era sofferente. Shakespeare aveva pianto la morte del figlio Hamnet, avvenuta a soli 11 anni e questo è difficile non sentirlo vibrare ancora oggi.
Andrea Baracco ha curato l’allestimento, insieme a Maria Teresa Berardelli, e ha firmato la regia dell’opera che egli stesso definisce come una “favola nera” che inizia con “C’era una volta un uomo che abitava vicino a un cimitero”.
La storia ha per protagonista Leonte, re di Sicilia, grande amico del re di Boemia Polissene. Due fratelli, senza legame di sangue, definiti “agnelli gemelli”. Un’ossessione cieca, la gelosia, li dividerà per sempre. Sospettando una relazione tra l’amico e la moglie, la regina Ermione, Leonte distruggerà tutto ciò che ha di più caro. Perderà la moglie, vittima di un ingiusto processo e a nulla servirà il coraggioso appello della dama Paulina. La sposa innocente morirà in prigione, dopo aver partorito la loro figlia Perdita, la quale, ritenuta dal padre sovrano come il frutto di un adulterio, verrà scacciata, abbandonata nei boschi.
Morirà Mamilio, il figlio maschio, l’erede. La bambina si salverà e si innamorerà di Florizel, figlio di Polissene. L’epilogo avverrà in Sicilia tra melodramma e magia. Ermione, conservata come statua viene riportata in vita da Paulina, custode della sua memoria, si ricongiungerà con la figlia e il marito. Il peso dello spettacolo si regge su un gruppo coeso di attori: Mariasofia Alleva, Luisa Borini, Edoardo Chiabolotti, Jacopo Costantini, Carlo Dalla Costa, Giorgia Filippucci, Silvio Impegnoso, Daphne Morelli, Ludovico Röhl.
IL RACCONTO D’INVERNO di William Shakespeare, regia di Andrea Baracco
12 baci sono lunghi come 12 mesi, un anno immaginato e vissuto tra il 1974 e il 1975
Il tempo e gli eventi possono usurare gli affetti, le passioni, le relazioni. In un gorgo di sentimenti non sempre limpidi. È sempre possibile redimersi, rimediare ai propri errori, alla brutalità, anche quando non c’è rimedio? C’erano due fratelli, il loro legame era di sangue in questo caso. Vivevano in provincia, a Napoli, città che un tempo fu la capitale del Regno delle Due Sicilie. Erano gli anni ’70, periodo di disordini, di conflitti sociali e politici. Il 14 novembre 1974, il Corriere della sera pubblicava l’editoriale con il titolo “Che cos’è questo golpe?”. Un forte j’accuse, scritto da Pier Paolo Pasolini quel testo convergerà in Scritti corsari, pubblicato successivamente nel 1975
12 baci sulla bocca è lo spettacolo scritto da Mario Gelardi, con la regia di Giuseppe Miale di Mauro. È il secondo appuntamento, dopo “Gli Onesti Della Banda”, che il Teatro di Roma ha riservato alla Compagnia NEST di Napoli al Teatro India. Massimo (Andrea Vellotti) sta per prendere in sposa l’unica donna che ha avuto nella sua vita. Dovrebbe essere felice, invece sembra non esserci conforto al suo malessere interiore. Suo fratello Antonio (Stefano Meglio) è un uomo che sa stare in quel mondo, con un ruolo a metà tra il giustiziere e il criminale, un picchiatore fascista.
Tra i due fratelli si inserisce Emilio (Francesco Di Leva). Un giovane lavapiatti con l’obiettivo di essere promosso in sala, in quel ristorante a conduzione familiare, e il sogno di andare a vivere a Londra. La sua “colpa”, se così potrebbe definirsi, è di aver fatto emergere una passione latente, quella di Massimo nei suoi confronti. La loro è inizialmente un’attrazione fisica, una lotta erotica.
Successivamente inizia a diventare qualcosa di diverso, che è intrinsecamente eversivo, un atto rivoluzionario contro l’ordine eterosessuale e patriarcale. Andrà punito con la stessa condanna barbara che verrà emessa contro Pasolini. Un atto di verità il sentimento di Emilio, cancellato con il suo sangue, perché nessuno osi turbare gli equilibri di una società. E di due fratelli maschi che hanno fin dalla nascita il vincolo precostituito alla riproduzione della specie. L’amore può avere una forte connotazione politica quando implica il coraggio di una scelta, tra sapere e tacere, essere e non essere. L’emancipazione dalla sottomissione e dalla dipendenza.
E quel sangue deve essere mostrato ed esibito. È una traccia di memoria, una prova del delitto e di un candore che è andato perso. Di un silenzio che è complice e carnefice. C’è il dramma in 12 baci sulla bocca, passa attraverso la violenza, così come avviene nella fabbrica shakespeariana. C’è il senso della tragedia dell’animo umano, in una battuta finale di 12 baci sulla bocca: “Tutti tenimm’ dint’ nu mariuolo, nu fetente” (Teniamo tutti una carogna, un fetente dentro).
12 baci sulla bocca
L’Operazione – lo spettacolo da vedere per forza!
C’è un gruppo, anzi, un collettivo di quattro attori di oggi. È come se vivessero e si ispirassero agli anni ’70. Quello scantinato dove provano e si confrontano, quello spazio sotterraneo è come se fosse una bolla spazio-temporale. Uno di loro è l’autore del testo che porteranno in scena e che ha come protagonisti una cellula di terroristi negli anni di piombo, ma c’è un’altra storia che si sviluppa parallelamente.
In scena fino al 3 marzo allo Spazio Diamante di Roma, lo spettacolo L’Operazione è stato scritto da Rosario Lisma ( potete ascoltare qui l’intervista radiofonica a Clusteradio ) il quale lo interpreta con Fabrizio Lombardo, Andrea Narsi, Alessio Piazza e con la partecipazione di Gianni Quillico. La produzione è a cura del Teatro Franco Parenti, con la collaborazione di Jacovacci e Busacca.
Parla di quel lavoro che gli uomini non nobilitano, soprattutto quando le tutele vengono a mancare. Racconta di quanta incertezza ci sia in un paese come l’Italia, dove “si è giovani finché non si svolta”. Anche fino ai quarant’anni. “E se non si è svoltato, si passa dall’essere giovani all’essere falliti”, come recitano i protagonisti in scena. Intrappolati nella morsa di un precariato permanente, in un sistema che non è fondato sulla meritocrazia. Dove gli attori dipendono dal giudizio di un critico teatrale che può determinare, con il suo potere, la felicità o l’oblio, la buona o la cattiva sorte. Una figura quella di Mezzasala che viene continuamente evocata e ricercata in modo ossessivo dai quattro personaggi-attori.
La riflessione contenuta tra i quadri de L’Operazione è un approfondimento, un’analisi, senza la presunzione dell’assolutezza, sulla tendenza a ricercare nuove forme espressive. Una corsa a volte audace, a volte sregolata. Sperimentare e reinventare l’arte rischia di trasformarsi così in un’ossessione. E tra una frenesia e l’altra, una celebre citazione di Eduardo De Filippo: “Chi cerca lo stile trova la morte, chi cerca la vita trova lo stile”, finisce nei dialoghi dei quattro protagonisti.
Alla fine della storia cercheranno di trasformarsi in brigatisti, nel disperato tentativo di recuperare un po’ di dignità, ma il loro atto finale durerà il tempo di un’improvvisazione teatrale. C’è bisogno di tanto carattere, non solo di studio dei personaggi, sembra che suggerisca questo Rosario Lisma, come autore del testo e come regista, affinché possa essere messo in atto fino in fondo un progetto sovvertitore dell’ordine delle cose. L’Operazione parla molto di questi nostri tempi in cui l’assuefazione è forte al punto che tutto sembra iniziare e finire nello stesso momento, come una storia di Instagram.
L’Operazione di Rosario Lisma
“Posso lasciare il mio spazzolino da te?”
È ancora la vita, con le sue difficoltà e con le sue due metà di tragedia e commedia che ispira l’ultima proposta teatrale che abbiamo inserito nel nostro piccolo racconto di febbraio. Il suo titolo è un riflesso di una quotidianità, mediante una semplice domanda che contiene una richiesta sottintesa. Di quelle che una ragazza qualunque può rivolgere al suo fidanzato: “Posso lasciare il mio spazzolino da te?”. In altri termini significa: possiamo dare una svolta al nostro rapporto?
Massimo Odierna è l’autore del testo Posso lasciare il mio spazzolino da te? e il regista dello spettacolo che dal 18 al 20 febbraio è andato in scena al Teatro de’ Servi di Romae al Nuovo Teatro Sanità di Napoli, dal 23 al 24 febbraio. Il cast che ha interpretato quella che viene definita come una “black comedy” è costituito da Martina Galletta, Luca Mascolo, Alessandro Meringolo e Luca Pastore.
Tre ragazzi sono i protagonisti: “Lei”, una ragazza in cerca della giusta occasione come attrice che costringe “Lui” , il suo fidanzato un po’ succube, a giocare alle storie inventate da “Lei”. C’è anche “L’amico” cinico, il coinquilino che abusa di alcool e sostanze di vario genere. Storie di insoddisfazione, di frustrazione e di inquietudine. C’è, infine, una quarta presenza, la figura inquietante dello speziale. Il medico della peste, con il becco di uccello e un lungo pastrano nero, appare e svanisce di tanto in tanto. Quella maschera è come un segnale di pericolo che quando si accende indica un’istanza nascosta.
Bisogna correre il rischio, osare, è il messaggio che ci lascia Massimo Odierna. È necessario continuare a raccontare, a condividere le storie, i nostri sogni.
Posso lasciare il mio spazzolino da te?
E allora ecco che tutta l’eternità che spendiamo per “non essere” davanti a un breve, intenso minuto di “essere” comporta la scelta tra vivere da morti o morire da vivi. Raymond Chandler ne “Il grande sonno” si chiede:
“Che importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? (…) Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame”.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.
Arriva in prima assoluta a Salerno al Teatro Augusteo Domenica 11 Marzo ore 18,30 lo spettacolo “La paranza dei bambini” di Roberto Saviano e Mario Gelardi.L’adattamento teatrale dell’omonimo libro di Saviano sarà l’evento di punta della IV Edizione della rassegna di teatro contemporaneo “Out of Bounds 2018”, in corso a Salerno fino al 15 Marzo 2018, ideata e diretta da L.A.A.V Officina Teatrale di Licia Amarante e Antonella Valitutti. Il progetto di Nuovo Teatro Sanità di Napoli si inserisce appieno nel programma di quest’anno in cui spettacoli, laboratori e incontri affrontano tematiche sociali come amore, violenza, multiculturalità, nella maniera critica che solo il teatro riesce a sviluppare fornendo, soprattutto alle nuove generazioni, più che risposte uno sguardo trasversale sulle problematiche esistenziali che la contemporaneità riserva.
L’ adattamento teatrale di Roberto Saviano e Mario Gelardi, dal romanzo “La Paranza dei bambini” dello stesso Saviano, narra la vita senza scampo dei giovanissimi napoletani che come unica risorsa accettano di affiliarsi alla camorra e di rappresentarne la batteria di fuoco, la manovalanza violenta pronta a tutto perché nulla ha da perdere.
“Il Nuovo Teatro Sanità e Mario Gelardi non sono solo resistenza e non sono semplicemente teatro. Loro sono il nucleo intorno al quale alla Sanità, a Napoli, si costruisce un presente reale, che si può toccare vedere e ascoltare. Un futuro che si può immaginare. Loro sono voci che sovrastano urla, sono mani tese. Con loro, con Mario, lavoro per portare in scena “La paranza dei bambini”. Solo loro possono trasformare in corpi, volti e voci le mie parole”. – Roberto Saviano
LA PARANZA DEI BAMBINI di Roberto Saviano e Mario Gelardi
Mismaonda presenta:
un progetto Nuovo Teatro Sanità
co-prodotto da Marche Teatro e Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea
in partnership con AMREF
con Vincenzo Antonucci, Luigi Bignone, Antimo Casertano, Riccardo Ciccarelli, Mariano Coletti, Giampiero de Concilio, Simone Fiorillo, Carlo Geltrude, Enrico Maria Pacini.
La webzine di Theatron 2.0 è registrata al Tribunale di Roma. Dal 2017, anno della sua fondazione, si è specializzata nella produzione di contenuti editoriali relativi alle arti performative. Proponendo percorsi di inchiesta e di ricerca rivolti a fenomeni, realtà e contesti artistici del contemporaneo, la webzine si pone come un organismo di analisi che intende offrire nuove chiavi di decodifica e plurimi punti di osservazione dell’arte scenica e dei suoi protagonisti.
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