L’invenzione del Teatro di Antonio Attisani
Chi si accinge a leggere questa recensione, almeno una volta nella vita avrà detto (o avrà sentito dire) questa espressione: faccio teatro. Sì, ma che teatro? Che tipo di teatro? Ma che significa, in fondo, fare teatro? Che cos’è il teatro? O meglio: che cosa sono i teatri? Perché in questa espressione, fare teatro, coesistono mille varianti e versioni diverse, a volte molto distanti tra loro, alcune inconciliabili.
C’è chi fa teatro d’avanguardia, chi teatro di tradizione, chi dice di fare quel metodo, chi dice di non seguire nessun metodo: le vie del palcoscenico sono veramente infinite. Ma in fondo a questo mare di etichette e di stili, ci sono dei principi sempiterni che regolano i processi creativi, i quali vanno riscoperti in continuazione, contro le “scuole”, contro gli stessi metodi che cercano di cristallizzare, in regole e formule codificate, esperienze e forme originali, frutto del lavoro di chi ha cercato di raggiungere la terra promessa della ricerca teatrale: un “teatro senza spettacolo”, oppure uno “spettacolo senza teatro”, dove l’evento crea una comunità in cui il diaframma attore-spettatore cade di fronte alla partecipazione totale dei presenti. Per conoscere questi principi, non bisogna rievocare i fantasmi del passato partendo dalle risposte già precedentemente acquisite, ma ognuno deve porsi le giuste domande, alla ricerca di una forma in equilibrio tra contemporaneità e tradizione.
Il teatro è lavoro. Il teatro è eccezione alla regola. Il teatro non è trasmissibile dal passato al presente, o dal presente al futuro. Il teatro è un’invenzione continua: questa è la verità nascosta all’interno del testo “L’invenzione del teatro”, di Antonio Attisani, edito da Cuepress, un vero e proprio viaggio all’interno della fenomenologia della ricerca teatrale, in cui si creano connessioni tra esperienze artistiche apparentemente lontane, ma che condividono il principio della trasformazione poetica della propria realtà. Una particolarità di questo testo è la presenza dell’Italia, sia come luogo fisico che come luogo d’origine della ricerca teatrale, sia come luogo metaforico di riferimento – in particolare Venezia e il suo senso di grottesco – che conferisce al nostro paese una visione inedita all’interno della storia delle avanguardie.
Tradizionalmente, come unica avanguardia italiana viene indicato il fenomeno del Futurismo che si è occupato e ha avuto relazioni feconde e non con uomini di teatro sia in Italia che all’estero, ma effettivamente non ha creato radici di spessore. Lo sguardo diversificato di Attisani invece mostra come la tradizione del Grande Attore italiano (Grasso, Salvini, Duse) stia alla base della ricerca di Stanislasvkij e soprattutto di Mejerchol’d, e di come le esperienze artistiche della Duse e di Carmelo Bene vadano riscoperte secondo logiche non agiografiche o attoriali, ma secondo logiche registiche e di ricerca d’avanguardia in generale. Inoltre in Italia si sono avvicendati personaggi come Craig, e Grotowski con il suo Workcenter, che hanno lasciato il segno all’interno del firmamento teatrale, e in particolare un protagonista inedito della storia del teatro su cui Attisani si sofferma in particolare: San Francesco d’Assisi. Cosa accomuna “lo santo jullare” con le esperienze d’avanguardia del teatro del Novecento? A voi lettori la scoperta.
Un testo che non deve mancare nella biblioteca di chi dice faccio teatro.