Il caso Wagner: lo scontro tra titani raccontato da D’Annunzio

Il caso Wagner: lo scontro tra titani raccontato da D’Annunzio

Articolo a cura di Luca Cianfoni

Gabriele D'annunzio - Limpresa di Fiume 1919
Gabriele D’annunzio – Limpresa di Fiume 1919

Nel 1893, in seguito alle accuse mosse da Nietzsche alla musica di Wagner, Gabriele D’Annunzio si trova a dover scegliere chi difendere tra i suoi due più grandi maestri: Nietzsche, il filosofo della volontà di potenza o Wagner, il profeta della musica moderna. Il piccolo libro Il caso Wagner, edito da Elliot nel 2013, pone una nuova luce sul pensiero e sullo stile del Vate attraverso un breve saggio introduttivo di Paola Sorge e i tre articoli scritti dallo stesso poeta su «La Tribuna» di Napoli nell’estate 1893.

Wagner e Nietzsche

Per parlare de Il Caso Wagner non si può prescindere da un breve approfondimento del rapporto tra Wagner e Nietzsche. I due si conoscono a Lipsia nel 1868 quando il filosofo, a soli 24 anni, era già un famoso filologo; il compositore invece di anni ne ha più del doppio, ben 55 ed ha appena composto due capolavori di successo come il Tristano e Isotta e i Maestri Cantori di Norimberga. La loro amicizia nasce dalla sterminata ammirazione che Nietzsche nutre per Wagner e dalla stima del compositore nei confronti del filosofo. Nel loro pensiero, due sono gli elementi comuni a entrambi: la spinta al rinnovamento della società e l’ammirazione per la tragedia greca. Alla comunione degli obiettivi però, non corrispondono gli stessi strumenti messi in campo per perseguirli.

Il rinnovamento della società

Wagner, infatti, pensa che l’uomo debba liberarsi dalle leggi e dalle costrizioni sociali attraverso un gesto che egli stesso definisce “puramente umano”: un atto non guidato da condizionamenti, che corrisponda solo all’istinto profondo dell’uomo e che porti al rinnovamento della società. Quella di Nietzsche invece è una rifondazione della società operata non da uomini normali, ma da un übermensch che, attraverso la volontà di potenza, abbatte l’ordine costituito per crearne uno nuovo, libero dalla imperante morale cristiana decadente.

L’ammirazione per la tragedia greca

Il secondo ambito in comune ai due germani è l’amore per la tragedia greca. Nietzsche vede il teatro antico come lo strumento dionisiaco attraverso il quale abbattere la morale apollinea. Wagner invece pone il teatro greco come ispirazione per il suo dramma musicale che è unione di musica, parola e azione. Mentre per il primo dunque è uno strumento di potenza, per il secondo è solamente un’ispirazione formale. Addirittura per Wagner il suo teatro – concepito come Gesamtkunstwerk, opera d’arte totale – è il compimento finale dell’antico teatro greco.

Richard Wagner
Richard Wagner

Le prime divergenze e la rottura definitiva

Queste differenze profonde ma sostanziali cominciano a venire in superficie nel 1876. In quell’anno Wagner inaugura il suo teatro a Bayreuth, mettendo in scena per la prima volta il sontuoso progetto della Tetralogia. Nel giro di quattro serate vengono rappresentate: L’oro del Reno, La Walkiria e per la prima volta, Siegfried e Il crepuscolo degli dei, quattro opere ispirate alla mitologia germanica che raccontano la storia di Siegfried, eroe puramente umano, e della nascita del nuovo mondo dopo l’incendio e la distruzione di quello antico.

Il Festival è un trionfo di nazionalismo e antisemitismo tanto da mettere in fuga lo stesso Nietzsche presente all’evento. Da quell’esperienza nasce il pamphlet Umano, troppo umano in cui il filosofo accusa Wagner di essere un artista romantico e decadente. La rottura definitiva avviene nel 1882, anno dell’ultimo dramma wagneriano, Parsifal. In quest’opera il compositore ha un nuovo universo di riferimento simbolico: il cristianesimo, un cristianesimo falso, scrive Nietzsche, descrivendo il compositore ormai «accasciato ai piedi della croce». Inoltre Parsifal è un eroe della rinuncia, della compassione, della pietà, il contrario di Siegfried e dell’übermensch nietzschiano dotato di volontà di potenza.

Analizzato brevemente il rapporto tra Nietzsche e Wagner, ci si può ora addentrare nel Caso Wagner e nella ricezione dannunziana di questo scontro. Nella vulgata comune, l’influenza della filosofia nietzschiana sul pensiero dannunziano sembra fondamentale, ma il saggio introduttivo di Paola Sorge al libro in questione, delinea l’immagine di un D’Annunzio fervente wagneriano e nietzschiano solo per moda.

D’Annunzio, nietzschiano per moda…

L’idea di una società piena di leggi e convenzioni sociali da abbattere attraverso la volontà di potenza di un “oltreuomo” è funzionale a D’Annunzio solo per propagandare la propria immagine e corroborare le sue gesta talvolta estreme, talvolta eroiche, come la presa di Fiume del 1919. «Quella del D’Annunzio nietzschiano – scrive Sorge – è un’etichetta semplificatoria, comoda per tutti, incluso il poeta stesso, atta a coprire una realtà molto più complessa di quanto non si possa supporre. Il futuro Vate sbandierò le dottrine di Nietzsche, che sembravano essere la formula magica per giustificare ogni trasgressione, per posa più che per profonda convinzione, e comunque non considerò mai Nietzsche suo Maestro: lo definì un rivoluzionario aristocratico». Una dottrina buona per la sua immagine dunque ma lontana dalla sua essenza, decadente per eccellenza.

…wagneriano per vocazione

L’impresa di Fiume è il punto di partenza per Sorge per introdurci all’apologia wagneriana di D’Annunzio. Il Vate nella lettura degli Statuti del Nuovo Ordinamento dello Stato libero di Fiume (30 agosto 1920), dichiara che la musica è un «linguaggio rituale», «esaltatrice dell’atto di vita». La sua volontà più grande nella città istriana è quella di costruire una “Rotonda” con diecimila posti, gradinate e una vasta fossa per l’orchestra e il coro. Un palese tentativo di emulazione di Bayreuth, forse un omaggio a Wagner, morto poco più di 35 anni prima. Ciò che più preme lo spirito dannunziano dunque non è la volontà di potenza nietzschiana, ma la musica, la poesia, la danza, l’opera d’arte totale di marca wagneriana di cui il Vate vuole essere il massimo esponente in Italia.

Nietzsche nei suoi ultimi scritti rifiuta Wagner, definendolo l’artista decadente per eccellenza e perfino abominevole in quanto summa della modernità: «D’Annunzio, al contrario, – riporta Sorge – amava il grande compositore proprio per la sua modernità; lo ammirava proprio perché era “una delle personalità più complicate, più inquiete, più contraddittorie del suo tempo”». Le offese di Nietzsche a Wagner dunque, fornivano nuove motivazioni a d’Annunzio per sentirsi e definirsi più che mai wagneriano.

Per tutta la vita il poeta abruzzese inseguì i sogni di grandezza del compositore, scrisse, o sarebbe meglio dire, compose i suoi libri pervaso dalla musica del Tristano, tenendo il Gesamtkunstwerk wagneriano sullo sfondo dei suoi libri: «C’è chi vede nel Trionfo della Morte – scrive Sorge –  un tessuto narrativo strutturato secondo la tecnica dei Leitmotiven (tecnica musicale portata alla perfezione da Wagner): all’Hauptthema, al tema principale, che è l’oblio della morte, si affiancano i temi secondari che hanno la funzione di fissare i caratteri dei singoli personaggi; la drammatica conclusione del romanzo è preparata da suoni, assonanze, silenzi. I personaggi diventano fantasmi musicali».

Wagner dunque è un riferimento sostanziale che va a strutturare lo stile, la scrittura, le pagine dei romanzi e i sogni artistici di D’Annunzio. Nella grande contesa tra i due germani, il Vate si schiera con il suo vero maestro, Wagner, definendosi come lui, negli articoli su «La Tribuna», figlio del tempo e lasciando Nietzsche solo nell’empireo della filosofia: «Ora, certo, io sono, come Riccardo Wagner, – scrive D’Annunzio nei suoi articoli – Figlio del secolo: ciò è decadente».

Friedrich Nietzsche
Friedrich Nietzsche

La sfida del Vate alla musica wagneriana

All’arte wagneriana il Vate lancia una sfida. Paola Sorge lo sottolinea nel racconto dei progetti dannunziani della Rotonda di Fiume e del Teatro di Albano. D’Annunzio, come Wagner, si ispira idealmente alla tragedia antica «voleva un suo teatro – scrive Sorge – dove raccogliere la sua ispirazione, dove rappresentare le esaltate visioni della sua fantasia in un dramma sacro. Fondato sulla Parola, accompagnato da coro, musica, danza, lo spettacolo doveva coinvolgere il pubblico iniziato alla Poesia dalla bellezza stessa della natura circostante».

Del suo sognato teatro di Albano è lo stesso D’Annunzio a dare una descrizione: «Sarà il teatro della primavera; sarà quel teatro nel quale i tragedi moderni troveranno l’uditorio confacente all’arte loro rinnovellata, un pubblico eletto comodamente seduto su nobili scranni nella penombra sacra. […]L’orchestra, invisibile, insigne per l’eccellenza e la qualità dei musici e per il loro accordo assoluto; […]». Insomma un vero e proprio teatro alla Wagner che mutua gli stessi espedienti di Bayreuth: pubblico avvolto nella penombra e orchestra nascosta agli occhi del pubblico per rendere al meglio il potere evocatore della musica. Una sfida quella di d’Annunzio per diventare il Wagner delle parole, l’innovatore dell’arte totale in Italia, che gli riuscì solo in parte.

Grazie all’introduzione di Paola Sorge e ai tre articoli di D’Annunzio si scopre un poeta che guarda con ammirazione la filosofia di potenza di Nietzsche, ma allo stesso tempo se ne tiene debitamente a distanza; d’altro canto le sue parole per Wagner sono tutt’altro che fredde e distanti, egli si lascia travolgere dalla potenza della musica wagneriana, che prova a tradurre all’interno dei suoi libri e della sua azione artistica. Una nuova luce sul pensiero e lo stile di d’Annunzio, a tutti gli effetti un poeta wagneriano.