Le partenze e i ritorni dopo venti anni di attività teatrale. L’Antropolaroid di Tindaro Granata
Era il maggio del 1999 quando un giovane ragazzo partiva dalla provincia di Messina per andare a Roma e realizzare il suo grande progetto di diventare un attore di cinema. Lasciava la sua famiglia e la sua terra. Quella Sicilia impressa nel suo nome: Tindaro Granata. L’ultimo a essere nato a Tindari, una frazione situata sulla fascia costiera tra Milazzo e Capo Calavà, con il promontorio che dai monti Nebrodi domina il mar Tirreno e il santuario della Madonna Nera. La scultura in legno di cedro che, secondo la leggenda, fu abbandonata dai marinai di una nave per poter salpare nuovamente senza avversare la volontà divina.
Molti uomini e donne, come e prima di lui, avevano già attraversato lo Stretto e il mare, con la morte e la speranza nel cuore, per raggiungere quello che i siciliani definiscono il “Continente”. Chi ha vissuto quella esperienza ricorderà per sempre il rumore dei motori della nave traghetto, la salsedine del mare contaminata dall’odore del carburante. Le case, i palazzi e la lunga striscia di spiaggia rimpicciolirsi sempre di più, man mano che ci si allontana dalla terraferma. La Madonnina sulla stele con quella scritta “Vos et ipsam civitatem benedicimus”. Gli attimi trascorsi sulla balconata e le interminabili ore precedenti alla partenza. Frammenti di immagini che diventeranno ricordi incancellabili, come le riprese di un film. Come gli scatti fotografici di una Polaroid che conservano gli elementi antropologici. Luoghi, cose e persone.
Antropolaroid è come un album di fotografie con tracce di memoria storica. Tindaro Granata racconta le diverse generazioni della sua famiglia ed è possibile scorgere e ritrovare, in quelle storie, anche un po’ delle nostre radici e di noi.
L’inizio risale al settembre del 1925: Francesco Granata muore impiccandosi.“U dottoreddu”, il suo medico, gli comunica di avere un tumore incurabile allo stomaco e di aver bisogno della morfina per lenire le sofferenze. Sarebbe morto piano, anzi “chiano chiano”. Sua moglie rimasta da sola e incinta si reca spesso al cimitero per portare sulla tomba del marito non i crisantemi, ma sputi e bestemmie.
Il loro figlio, Tindaro Granata, nel 1944 conosce una ragazza, Maria Casella la quale si innamora di lui durante una serata di ballo organizzata dal padre di lei, per presentarle il suo futuro sposo, un ufficiale tedesco. Tindaro e Maria scappano facendo la “fuitina”. Un anno dopo nasce Teodoro Granata e nel 1948, suo padre viene coinvolto in quella che viene apostrofata come la“notte nera”, un omicidio di mafia. Da grande, Teodoro si trasferisce in Svizzera, ma ritorna in Sicilia per sposarsi con Antonietta Lembo e apre una falegnameria con l’aiuto del dottor Badalamenti.
Tindaro Granata nasce nel settembre del 1978. Un bambino con la bocca a forma di cuore a cui la sua nonna gli regala una stella, la più luminosa nel cielo della notte. Insieme con l’astro del firmamento gli fece anche tre doni immateriali, mediante un rituale antico di benedizione: la bellezza, la fortuna e la sofferenza perché quest’ultima è il viatico delle prime due. Quella donna semplice di altri tempi disse in anticipo ciò che Leonardo Sciascia scrisse nel 1977 in Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia: “Una felicità ottenuta facilmente prima non è la stessa di una felicità ottenuta difficoltosamente dopo; non si può nemmeno dire felicità quella di cui si gode inconsapevolmente, senza essere passati attraverso la sofferenza”.
Antropolaroid, in scena dal 7 al 12 maggio, è stato accolto dal calore, dall’energia dirompente dei lunghi applausi di un pubblico emozionato e riconoscente, la sera del suo debutto. La cornice di un teatro suggestivo nella sua intimità, come l’Off/Off Theatre di via Giulia a Roma, era calzante. Quelle di Antropolaroid sono tante schegge di storie memorizzate da bambino, come le favole per dormire, raccolte e tramandate di generazione in generazione. Fanno rivivere la tradizione ottocentesca del “cunto”, fonte di trasmissione orale. Ed è proprio in questa caratteristica che il siciliano diventa la lingua dell’anima. Una risorsa e una testimonianza di un’identità, di un’espressione umana e artistica, di un mondo interiore che risulta familiare anche a chi il siciliano non lo parla perché quei codici di amore e di morte, di partenze e di ritorni, di paura e di coraggio possono essere facilmente compresi e decodificati.
Sono trascorsi venti anni da quel momento così intimo e personale, da quel viaggio verso il “continente”, da Sud verso Roma, più al nord della Sicilia. Tindaro Granata è diventato l’attore di oggi, senza perdere quella sensibilità, quella profondità che è presente in lui da sempre. In scena, l’attore indossa gli abiti da lavoro di quando faceva il cameriere in un ristorante in via dei Chiodaroli a Roma e regala a tutti un’autentica lezione di vita quando con orgoglio afferma che quei pantaloni e quella giubba servono ancora per ricordargli “Chi sono e da dove vengo”. Un bagaglio di esperienze incisive il suo, reso prezioso grazie ad ogni incontro con grandi personalità del teatro. Da Maurizio Scaparro a Carmelo Rifici, da Valerio Binasco a Serena Sinigaglia e Andrea Chiodi.
Nel suo percorso artistico ha saputo alternare l’attività in proprio. Come autore, regista e interprete delle sue opere esordiva proprio con Antropolaroid. Quel debutto avveniva nel 2011 ed era la sera del 29 gennaio, a Ponteranica in provincia di Bergamo. Otto anni dopo, Tindaro Granata conserva ancora un ricordo preciso con tutti i dettagli significativi. Il suo lungo pianto prima di entrare in scena, i pensieri che affollano la sua mente. Fuori pioveva, dentro c’erano diciassette spettatori seduti e quattro in piedi.
Granata è ritornato a Roma, con La bisbetica domata al Teatro Vascello ad aprile e Antropolaroid a maggio. Nel mezzo c’è stato il workshop Musica in Te(atro), organizzato da Theatron 2.0. È stato il modo migliore per ritrovare amici e rivedere luoghi, ma soprattutto per festeggiare un anniversario. Venti anni di carriera ricordati dal palco dell’ Off/Off, con un pizzico di ironia e di leggerezza, come un viaggio al contrario, dal Nord al Sud, adesso che lui vive a Milano. E se è vero che ogni ciclo ha le sue fasi e conclusioni, è ancor più vero che la vita non è fatta soltanto di partenze, ma anche di ritorni e di ricordi e, spesso, ci riporta esattamente lì dove tutto è iniziato. Perché l’esplorazione è continua e fino a quando il nostro cuore non smetterà di battere e di pompare sangue, spegnendo lentamente le attività del nostro cervello, nessuno potrà mai dire di aver superato il punto di non ritorno.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.