Il Teatro di Josep Maria Mirò in due parole: esigenza e atto politico attraverso il disagio e la paura

Il Teatro di Josep Maria Mirò in due parole: esigenza e atto politico attraverso il disagio e la paura

C’è un intruso nella produzione drammaturgica dell’autore catalano Josep Maria Mirò. C’è un potenziale nemico verso il quale convergono una o molte delle nostre paure più profonde. È il sabotatore nascosto nel Principio di Archimede e in Nerium Park che prende forma e si manifesta poco per volta, fino ad invadere lo spazio scenico.

Ad affrontarlo, come si fa con un virus, ci si rende conto che l’antidoto può essere più veleno che medicina. Ma chi è veramente questo sovvertitore dell’ordine? È una presenza visibile, in carne ed ossa, come l’allenatore Jordi della piscina, simpatico e di bell’aspetto? È un personaggio invisibile, come il nuovo amico senza dimora, che si aggira tra i cespugli e ha occupato abusivamente un garage dismesso del residence Nerium Park?

E se non fosse quello che vedono o non vedono i nostri occhi, chi o cosa sarebbe allora?

Josep Maria Miró ©Carlos Furman

Josep Maria Miró ©Carlos Furman

Josep Maria Miró è nato a Vic, in Catalogna, nel 1977. Si è diplomato in regia e drammaturgia presso l’Istituto del Teatro di Barcellona e in giornalismo presso l’Università Autonoma di Barcellona (UAB). I suoi testi teatrali sono stati tradotti in una ventina di lingue e ha debuttato in più di trenta paesi.

Vari sono i riconoscimenti che ha ricevuto; tra questi ci sono il “Premio Frederic Roda-LXV Nit de Santa Llúcia, Fiesta de las Letras Catalanas” e il prestigioso “Premio Born” vinto per due volte, nel 2009 e nel 2011. In scena ha portato i propri testi ma ha anche diretto opere di altri autori come Lluïsa Cunillé, Jean Cocteau e Francis Poulenc.

È docente di drammaturgia e coordinatore al corso di laurea in Arti dello spettacolo presso l’Università di Girona. Tiene regolarmente dei corsi presso la Sala Beckett in Barcellona nonché dei laboratori e seminari nazionali ed internazionali. Dal 2013 è membro del Comitato di lettura del Teatro Nazionale di Catalogna.

Il Principio di Archimede è un gioco di relazioni umane e di fobie contemporanee. Il lavoro è stato Prodotto dall’Istitució de les Lletres Catalanes (Istituto di Lettere Catalano), ha vinto il 36 ° Premio del Cinema. Jordi, l’allenatore di un gruppo di nuoto per bambini in una piscina, abbraccia e bacia uno dei suoi allievi, che stava piangendo per la paura di tuffarsi in acqua. Il suo gesto, però, causerà lamentele da parte di molti genitori e darà origine a una spirale di violenza che farà esplodere ogni genere di sospetti, pregiudizi e paure.

A curare la traduzione del testo italiano e la regia dell’allestimento teatrale è Angelo Savelli, reduce dal successo de “La bastarda di Istanbul”. Gli attori che interpretano i protagonisti de Il Principio di Archimede sono Giulio Maria Corso, attualmente impegnato nelle riprese de “Il paradiso delle signore”, Monica Bauco e Riccardo Naldini e Samuele Picchi, proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.

Nerium Park è il nome del complesso residenziale fuori città che dà il titolo all’opera. I protagonisti Bruno e Marta decidono di acquistare un appartamento di nuova costruzione, un’oasi immersa nel verde. Le problematiche sono quelle di una giovane coppia che sta mettendo su una famiglia. Quella nuova casa, acquistata con un mutuo bancario, è la tela del loro quadro esistenziale. I due stanno vivendo un momento professionale e personale felice. Con il passare del tempo e con la crisi economica che porterà anche al licenziamento di Bruno, le cose cambiano. Si accorgeranno inoltre di essere gli unici abitanti di quel complesso residenziale. Quella casa inizierà gradualmente a diventare come una prigione, rendendo sempre più teso il loro rapporto. C’è anche un misterioso individuo che si aggira nei dintorni, insinuandosi tra Bruno e Marta. La loro storia d’amore perfetta, allietata dalla notizia della gravidanza si trasformerà in un incubo.

Nerium Park è una produzione del Nuovo Teatro Sanità di Napoli, un noir diretto da Mario Gelardi – vincitore del Premio Flaiano, del Premio Ustica e del Premio Giuseppe Fava per il teatro e l’impegno civile, ultimo riconoscimento in ordine cronologico. Lo spettacolo è interpretato da Chiara Baffi – Premio Ubu come miglior attrice under 30 e Premio Eleonora Duse come miglior attrice emergente- e Alessandro Palladino, tra i protagonisti di Gomorra e del film Due soldati di Marco Tullio Giordana.

Sia al Teatro Rifredi di Firenze che allo Spazio Diamante di Roma (in quest’ultimo sono andati in scena entrambi gli spettacoli, Il Principio di Archimede e Nerium Park è stato presentato il libro Teatro edito da Cue Press che raccoglie quattro testi di Miró tradotti da Angelo Savelli.

Entrare nel mondo di Josep Maria Mirò non comporta facili ipotesi o certezze. I temi del teatro di Mirò, le psicosi sociali, individuali o collettive, che l’autore denuncia, passano attraverso i fatti e la vita dei personaggi. I quali risultano essere in conflitto, sono spesso ansiosi e terrorizzati da una minaccia che si manifesta all’interno delle loro comfort zone. In un crescendo di panico, l’angoscia diventa paura del diverso, dell’invasione dei propri spazi, della perdita del lavoro e degli affetti, della stigmatizzazione e di essere accusati di qualcosa che forse non è stato commesso.

La sua osservazione e descrizione della realtà apre in contemporanea una serie molteplice di domande: è un’indagine minuziosa dove ogni dettaglio viene analizzato da tutti i punti di vista. Sempre soggettivi, quasi mai oggettivi. Sono le differenti prospettive che formano l’insieme dei pezzi, senza prevedibili conclusioni. Il finale rimane aperto alle molteplici interpretazioni degli spettatori o dei lettori.

La funzione del teatro, secondo Josep Maria Mirò è quella di porre degli interrogativi che vengono trasferiti allo spettatore. Come lui ha dichiarato:

C’è un tipo di teatro che mi stimola. Mi scuote. Mi fa sentire come se camminassi attraverso un terreno paludoso. Mi fa tremare. Solleva dubbi. Mi interroga come individuo e anche come parte di un gruppo. Mi mette in un posto fragile, mi interroga e mi fa interrogare. Questo è il tipo di teatro che mi piace come membro del pubblico e al quale aspiro come autore.

Paradossalmente, mi sento a mio agio in questi spazi di disagio, forse perché penso che siano gli unici in grado di generare riflessione e dibattito. Il teatro è un atto rituale in cui si crea un dialogo tra ciò che accade sul palco e ciò che accade nelle bancarelle. L’aspirazione è di non morire con l’applauso, ma di portarlo a casa con noi e farlo entrare nello spazio delle idee. Se non tocca le fibre sensibili e, semplicemente, riafferma le nostre convinzioni, piuttosto che metterle in quarantena, è un teatro per i convinti. Un atto borghese, il preambolo per noi seduti a un tavolo in un ristorante.

Il teatro è e deve essere molte cose e deve avere molte funzionalità.
Penso che ogni drammaturgo debba scrivere da una posizione di impegno ed essere chiaro su quale tipo di teatro lui o lei vuole produrre. Per me, la sceneggiatura è un’esigenza e un atto politico.