Jan Fabre citato in giudizio per molestie, accusato dai dipendenti della Troubleyn

Jan Fabre citato in giudizio per molestie, accusato dai dipendenti della Troubleyn

Jan Fabre

L’artista, regista teatrale e coreografo belga Jan Fabre dovrà comparire davanti al tribunale penale di Anversa per rispondere alle accuse di violenza, bullismo e molestie sessuali sul lavoro nei confronti dei dipendenti della sua compagnia di danza Troubleyn. Ne dà notizia la stampa belga citando la decisione presa dall’ispettorato del lavoro di Anversa a chiusura di un’indagine avviata nel 2018.
Il processo prenderà il via il prossimo 21 settembre.

L’artista, 62 anni, è noto per la sua arte della provocazione, con spettacoli che affrontano apertamente la sessualità. Tre anni fa venti ex-dipendenti e stagisti lo avevano denunciato in una lettera aperta sul sito web della rivista d’arte ‘Rekto:Verso’ nel contesto delle allora rivelazioni mondiali del movimento ‘Me Too’. 

Landscapes: paesaggi del contemporaneo. Romaeuropa Festival 2019

Landscapes: paesaggi del contemporaneo. Romaeuropa Festival 2019

Dal 17 settembre al 24 novembre si svolgerà la 34esima edizione del Romaeuropa Festival: 377 artisti provenienti da 27 paesi sono protagonisti dei 126 eventi in scena in 20 spazi della capitale tra danza, teatro, musica, arti digitali e kids. Il filo conduttore della rassegna è da ricercare nel suo titolo “Landscapes: paesaggi del contemporaneo”. REF19 vuole essere una geografia del nostro mondo di oggi tra virtualità e realtà, oniriche proiezioni di futuri possibili e affondi nell’ambiguità del nostro quotidiano.

Il 17 Settembre, l’inaugurazione è affidata alla brasiliana Lia Rodrigues, per la prima volta al REF con il suo “Furia”, danza contemporanea delle musiche rituali della Nuova Caledoni. Dal Brasile anche Bruno Beltrao con il suo Grupo De Rua e altri nomi come: Akram Khan, William Forsythe, Aurelien Bory + Shantala Shivalingappa, Rambert + Jeannie Steele + Phil Selway (Radiohead) + Gerard Richter su coreografie di Merce Cunningham. Poi Jesus Rubio Gamo, Arno Schuitemaker, Forte, Chiara Taviani e Henrique Furtado Viera. Hamdi Dridi, Elena Sgarbossa, Kor’sia, Andrea Dionisio, Theo Mercier + Steven Michael e Aerowaves.

Lia Rodrigues – Foto di Sammi Landweer

Lia Rodrigues – Foto di Sammi Landweer

Costruiscono riflessioni complesse e articolate sul nostro presente alcuni dei registi più acclamati della scena contemporanea come Milo Rau, Thomas Ostermeier + Sonia Bergamascoporta + Didier Eribon, Ascanio Celestini, Saverio la Ruina, Julien Gosselin. Per la prima volta al festival il francese Cyril Teste porta in scena l’attrice icona Isabelle Adjani per rileggere “Opening Night” di Cassavetes. Poi Jan Fabre e Lino Musella, James Thierrée e la compagnia Gaia Scienza. Ponte tra generazioni, la sezione Anni Luce, presentata al Mattatoio di Testaccio e curata da Maura Teofili, infine, conduce nel mondo di Liv Ferracchiati, Dante Antonelli, Industria Indipendente e de La ballata dei Lenna.

Torna anche Digitalive, quattro giorni di programmazione negli spazi del Mattatoio con Marco Donnarumma e Margherita Pevere, Jacopo Battaglia, Luca T.Mai, Massimo Pupillo e Lorenzo Stecconi di ZU, Mara Oscar Cassiani, Ultravioletto, Enrico Malatesta, Maria Di Stefano, Franz Rosati, Sandra Mason, i progetti in collaborazione con il premio Re:Humanism e l’Accademia RUFA, e infine due guest star come il performer e coreografo giapponese Hiroaki Umeda e la promessa dell’elettronica internazionale Nicolas Jaar impegnato al fianco della danzatrice messicana Stephanie Janaina.

Tutto il programma sul sito REF:  https://romaeuropa.net/

AS-SAGGI DI DANZA #19 – Wim Vandekeybus, a rough collection of dreams and desires

AS-SAGGI DI DANZA #19 – Wim Vandekeybus, a rough collection of dreams and desires

Ultima Vez in “In Spite of Wishing and Wanting”

Ultima Vez in “In Spite of Wishing and Wanting”

Risale al 2012 quando vidi al Teatro Della Pergola di Firenze lo spettacolo Oedipus/Bêt Noir, e fui letteralmente conquistato da una serie di impressioni, descrivibili poi con quegli aggettivi e sostantivi che vengono da sempre utilizzati per descrivere il lavoro di Wim Vandekeybus: tensione, conflitto, istintivo, passionale, impulsivo, esplosivo…la lista potrebbe continuare a lungo su questa scia.

Vandekeybus, artista belga avvicinatosi al teatro tardivamente e uscito dalla fucina creativa di Jan Fabre, ad oggi è uno degli artisti di punta della danza contemporanea europea, che mantiene ancora strettamente il primato della ricerca sul corpo e un’idea della danza come spettacolo “totale”. Il suo legame con l’Italia e con il pubblico italiano non è mai stato un mistero, e così può capitare di vedere in programmazione – come un faro di speranza nelle tenebre – uno spettacolo della sua compagnia, Ultima Vez. Quest’anno il Teatro Bellini di Napoli, grazie all’accurata programmazione di danza di Manuela Barbato ed Emma Cianchi, ha portato ad un pubblico entusiasta uno spettacolo del 1999 di grande successo, In Spite of Wishing and Wanting. Il titolo dice molto e spesso quando si parla della danza pochi si soffermano sul significato di quelle poche parole. Va riletto alla luce di alcune impressioni.

Lo spettacolo inizia con due performer e una corda tesa, tenuta stretta fra i denti. Tutt’intorno gli altri uomini scalpitano come cavalli in uno stato di inquietudine e una malsana agitazione che va a contagiare anche il pubblico. Vengono utilizzati molti controluce e luci frontali, che rendono lo spazio del teatro come un continuum fra platea e palco, in particolar modo quando i performer agiscono – e succede in tutto lo spettacolo – sul proscenio. La corda tesa è una storia che non è narrazione ma che è esplorazione della natura più intima dell’essere uomo e maschio nella società odierna. Le persone sono in preda alla propria animalità: provano paura, desiderio, panico. Scappano e gridano, scalciano contro la scenografia. Il tutto però è orchestrato da uno stalliere che, come un deus ex machina, sposta, comanda, spaventa, in un crudele e malizioso gioco basato sulla paura. Questa paura esplode come il cuscino in scena, un colpo che libera nell’aria centinaia di piume, che rimarranno a svolazzare in scena fino alla fine dello spettacolo.

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Ogni performer acquista una propria personalità nel corso dello spettacolo: ci sono momenti di lite scherzosa e goliardica, momenti di contrasto e di sfida, momenti di espressione massima dell’istinto al nutrimento e ai bisogni più basici (eccezionale l’interpretazione di Knut Vikström Precht) dell’essere umano: ma soprattutto parti in cui loro si alleano, fanno gruppo, diventano consapevoli dei loro desideri e delle loro aspettative, e delle parole che più li corrispondono. Spesso anche momenti di tenerezza, ricerca di un contatto umano e protettivo, perfettamente incorporato in cui ognuno, con la sua parte di arancia in mano, cerca il partner che ha l’altra esatta metà. Il cibo e la fame, elementi che riconducono alle esigenze basilari dell’essere umano, sono presenti un po’ in tutto lo spettacolo.

Le parole: sono i pilastri fondamentali di questo spettacolo. Le parole non conoscono lingua di trasmissione (si parla in italiano, in inglese, in francese e spagnolo) e sono il filo conduttore di tutto l’atto. Le parole diventano presa di coscienza di ognuno, vengono rubate dallo stalliere e rese una proprietà privata. Il tentativo di descriversi corrisponde al tentativo di ogni uomo che si sta formando di prendere coscienza di sé stesso e di trovare i termini per descriversi e per parlare di ciò che vuole e di ciò che non è riuscito ad ottenere. In un gioco drammaturgico estenuante, che ricorda il tentativo vano del personaggio di Beckett nei suoi Atti senza parole. Lo stalliere possiede le parole di tutti i presenti, ne ha il potere e quindi ha in pugno anche la loro volontà. Vandekeybus innesca su questo tema un meccanismo di continuità fra i diversi piani di lettura dello spettacolo che interagiscono fra di loro: il parlato, la danza, i momenti di attesa e silenzio e il cinema. Ad un certo punto lo spettacolo è interrotto da un estratto di Racconto senza morale di Julius Cortàzar: le parole, i sospiri, le grida sono la merce che un uomo vende ai mendicanti, ai passanti e persino al tiranno.

La danza in questo spettacolo rimane però non sostanziale ma strutturale, risultando spesso chiusa in sequenze giustapposte tra un momento drammatico e l’altro: il vocabolario di Vandekeybus non brilla per varietà di linguaggi e qualità, ma sicuramente si distingue per la capacità immaginifica che le sue danze creano insieme alla musica (originale) di David Byrne e ai costumi larghi, aerei, in contrasto fortissimo con la violenza e poderosità della danza. Moltissima l’energia esplosiva fra salti, acrobazie e movimenti raso terra, sempre però direzionata ad una chiara conclusione verso un passaggio alla scena successiva. Da un lato la tensione del corpo è mantenuta su un filo teso come in una situazione di tregua sul campo di battaglia, dall’altra la danza viene usata nella natura stessa di espressione del mondo maschile, ovvero di essere presente, estemporanea, di non poter essere fermata nel momento in cui si manifesta. In una visione che strizza l’occhio a Schopenhauer, la catarsi che provoca il vedere la danza aiuta l’uomo a liberarsi ma non gli permette né pace né riposo dei sensi.

In questo spettacolo l’uomo “sublima” sé stesso nei desideri e nella sua identità: In spite of wishing and wanting… nel titolo risiede il significato di questa eterna ricerca: nonostante il desiderio e la volontà, questi 11 uomini mostrano che sotto l’energia della superficie tutto il resto nella loro natura è profondo e ancestrale. Come nel finale, anche quando tutti si addormentano sui propri corpi, un cavallo continua a percorre il palcoscenico, senza redini e, stavolta, senza alcun controllo.