Teatro di Figura, immagini di vita. Illoco Teatro racconta U-Mani

Teatro di Figura, immagini di vita. Illoco Teatro racconta U-Mani

Il ciclo di analisi e ricerca Teatro di Figura, immagini di vita prosegue con il racconto del lavoro condotto da Illoco Teatro.
Quello della compagnia Illoco – composta da Roberto Andolfi, Annarita Colucci, Dario Carbone, Cecilia Carponi, Anton De Gugliemo, Valeria Dangelo, Adriano Dossi, Alessia Giglio, Michele Galella – è un teatro artigianale, onesto, che svela la finzione concedendo allo spettatore una composizione dettagliata e personale dell’immagine.
L’ibridazione tecnologica che sta interessando molte delle manifestazioni artistiche del Teatro di Figura, a livello nazionale e internazionale, sta potenziando fortemente la dimensione immaginifica del genere senza mortificarne, piuttosto rinvigorendone, l’aspetto ancestrale. 

L’attenzione di Illoco Teatro nei confronti delle nuove generazioni è visibile, oltre che nella sperimentazione artistica rivolta ai nuovi linguaggi, anche nelle esperienze pedagogiche del gruppo. Da molti anni, infatti, Illoco si impegna in laboratori e workshop, in collaborazione con atenei e accademie, svelando tecniche e saperi del Teatro di Figura.

Micromanipolazione, cinema e teatro compongono la triade di U-Mani – ultimo lavoro di Illoco, in cui echeggia la didattica lecoquiana in un delicato equilibrio tra cura della tradizione e scoperta del nuovo – che ha debuttato a giugno nell’ambito del Festival Storie di Lavoro di Civita Castellana, riscuotendo un importante successo di pubblico e di critica.

A gran voce, l’intero comparto del Teatro di Figura chiede che l’associazione al Teatro Ragazzi non incateni la fruizione del genere a pubblici di predefinite fasce d’età. Il Teatro di Figura, con i suoi artifici e le sue migrazioni in mondi altri, è in grado di affascinare spettatori d’ogni generazione, ponendosi come un teatro tout-public, ancora tutto da scoprire.

Ne parliamo con il regista Roberto Andolfi e con l’attrice Annarita Colucci di Illoco Teatro.

Con U-Mani affrontate la progressiva perdita di immaginazione che ha interessato diverse generazioni di ragazzi dall’avvento della tv, e che si è acuita sempre più con la diffusione della tecnologia. Partendo dalle esperienze pedagogiche che da sempre la vostra compagnia affianca a quelle artistiche, che valore è ancora in grado di apportare l’immaginazione nella vita dei più giovani e che ruolo può avere in questo processo di riscoperta il teatro di figura?

Roberto Andolfi: Rispetto al lavoro che facciamo con i ragazzi, e che abbiamo fatto negli anni nelle scuole, il Teatro di Figura può dare qualcosa in più. Questo spettacolo che abbiamo proposto, già durante la prima replica, mi ha fatto notare quanto le nuove generazioni tendano a fidarsi delle immagini. La soglia di attenzione che i giovani hanno su un attore in scena è bassissima, quella che hanno invece nei confronti di qualcosa che vedono in video è molto elevata. 

Vista questa grande fiducia nei confronti dell’immagine, la domanda che abbiamo deciso di porci riguarda il modo in cui possiamo entrare in dialogo con la tecnologia. Escludere la tecnologia dal lavoro teatrale è perdente con le nuove generazioni, perché il teatro è una lingua che non capiscono. Il Teatro di Figura può fare tanto in questa direzione se si confronta con sé stesso. Come Compagnia Illoco, siamo amanti delle compagnie d’arte, delle famiglie ma come artisti dobbiamo confrontarci con quello che succede intorno a noi: il covid, le nuove generazioni…altrimenti siamo noi che ci tiriamo fuori dal mondo.

I vostri spettacoli sono caratterizzati da una forte ibridazione dei linguaggi che prevede la compresenza tra l’artigianalità e le nuove tecnologie digitali. Qual è il punto d’incontro tra questi elementi e come viene strutturato il percorso di ricerca che conducete per il raggiungimento di una sintesi artistica?

R.A: Il punto di partenza è il nostro approccio alla ricerca teatrale. Quando abbiamo iniziato a lavorare con Michele Galella, che è un operatore, era lui l’unico della compagnia in grado di usare le macchine. Successivamente abbiamo capito che potevamo utilizzare le macchine anche noi, come facciamo con una sedia o una quinta, cioè approcciandoci al lavoro con curiosità e cercando di capire le potenzialità di quell’oggetto.

Da lì in poi gli attori hanno seguito Michele per capire quale fosse il centro del lavoro per poi dargli un valore artistico, cioè quello che consideriamo il lavoro d’artista: capire come funziona l’oggetto e poi come utilizzarlo, un lavoro che ha a che fare con i clown, il mimo, con la scuola lecoquiana da cui deriviamo. Mi sono reso conto sempre di più che Michele, da operatore, fa un movimento scenico che riesco ad associare alla didattica lecoquiana: muove il corpo, partendo dal bacino, esattamente come insegnava Lecoq o come fa Marceau. I linguaggi si incontrano, perché quando il corpo si allena fa le cose giuste.

Viviamo in un tempo in cui esibizione e vanità tendono a “ingrandire” la dimensione umana, lasciando l’intimità sempre più ai margini dell’esistenza. In questo contesto, il teatro di figura si pone in controtendenza: essendo un teatro legato al processo, alla minuzia, allo stupore, fa dell’intimità uno dei suoi maggiori elementi di attrazione. Come viene preservata questa caratteristica anche in un lavoro come U-mani che gioca sul disvelamento dell’artificio?

R.A: La tecnologia potenzia enormemente le minuzie, perché ci fornisce ciò che al teatro manca rispetto al cinema, ovvero la possibilità di comporre le immagini. Se io non mostro l’artificio, il manovratore, un filo, lo spettacolo non funziona più, perché l’immagine è data. Ho quindi disseminato degli errori perché quello è il trucco di magia svelato: mostrando l’illusione e il prestigio, lo spettatore può scegliere. Trovo che sia un buon modo di affrontare il teatro oggi, dato che l’illusione non esiste più. Mostrare i due piani insieme offre la possibilità di vedere il trucco e stare dentro la magia, come un allievo prestigiatore.

Annarita Colucci: L’assenza o la presenza del pubblico crea una differenza, anche laddove l’uso della tecnologia sembra creare un distacco, in realtà esiste sempre un rituale. Roberto ha spinto verso questa direzione. A livello attoriale il rapporto con il pubblico viene preservato anche se non lo guardiamo, perché lo sentiamo. In U-Mani c’è una doppia scrittura, quello che il pubblico vede in video e una coreografia interna portata avanti dagli attori, che tende a salvaguardare la relazione con lo spettatore.

È evidente il fervore che sta animando le sperimentazioni italiane nell’ambito del teatro di figura. Ma qual è la situazione del teatro di figura in Italia, da un punto di vista di tutele dei suoi lavoratori e delle sue lavoratrici e di opportunità di ricerca?

R.A: La regolamentazione del settore teatrale risale alla fine dell’800, per cui più ti tieni come lavoratore all’interno di un cluster, più sei in grado di giustificare all’istituzione cosa fai. Se sei un museo delle cere, che non evolve, sei più facilmente riconoscibile. U-Mani, che è evidentemente un lavoro di Teatro di Figura, potrebbe avere dei problemi di categorizzazione a livello ministeriale. Il sistema tende ad incasellare, è ottocentesco. 

Le istituzioni non hanno ancora un sistema neanche lontanamente in grado di concepire che quest’arte possa evolvere, questo allontana gli artisti dalla sperimentazione. 

A.C: Noi siamo cresciuti con il lavoro lecoquiano, l’immagine, il lavoro con l’oggetto, lo spazio, il lavoro dell’attore più che la prosa, prediligendo l’illusione scenica e l’immagine. Mi accorgo sempre di più che esistono realtà che finalmente sperimentano sul Teatro di Figura, distaccando il genere dal solo teatro per bambini. La possibilità del Teatro di Figura di rivolgersi come linguaggio a un pubblico adulto, inizia a farsi spazio anche in Italia. Nel resto del mondo, in Europa il Teatro di Figura è un teatro tout-public da 20 anni. Sono contenta che piano piano questo si stia verificando anche da noi.

Festival Storie di Lavoro: il programma della decima edizione

Festival Storie di Lavoro: il programma della decima edizione

Festival Storie di Lavoro

Giunto alla decima edizione, Festival Storie di Lavoro tornerà ad animare la provincia di Viterbo attraverso la realizzazione di eventi site-specific, spettacoli per famiglie e attività all’aperto presso luoghi non convenzionali tra cui aziende, ristoranti e spazi extraurbani. Per questa edizione il festival verrà suddiviso in due distinti momenti a cavallo dell’estate 2021.

La prima parte, che si svolgerà tra il 3 e il 12 giugno, sarà all’insegna del dialogo tra artisti e spettatori attraverso una serie di percorsi esperienziali: aperitivi, pedalate in bicicletta, percorsi multisensoriali rivolti a famiglie, scuole, e chiunque voglia vivere le rinnovate modalità del fare teatro a stretto contatto con la comunità; ed è proprio questo il focus centrale del lavoro del Festival: creare nuove possibilità dello stare insieme, nuove modalità  di con-divisione dello spazio e delle relazioni.

Il primo appuntamento del 3 giugno alle ore 11:00 è con l’anteprima nazionale dello spettacolo U-MANI della compagnia Illoco Teatro presso l’Auditorium delle suore Clarisse Francescane di Civita Castellana (VT). Uno spettacolo pensato per le nuove generazioni che mescola teatro, cinema e micro-manipolazione, per creare una grammatica scenica ibrida che possa comunicare in maniera efficace con la popolazione più giovane. Ideato da Annarita Colucci e diretto da Roberto Andolfi, la pièce unisce la manipolazione di oggetti in miniatura alle nuove tecnologie digitali. La vicenda è ispirata a un testo di narrativa per ragazzi: Il bambino senza televisione di Luana Vergari. In questo racconto, un bambino a cui si rompe la televisione scopre che nella porzione di silenzio lasciata dallo schermo spento esiste un mondo che lui può forgiare e modificare attraverso l’uso dell’immaginazione. Con Dario Carbone, Annarita Colucci, Valeria D’Angelo, Anton De Guglielmo, operatore in scena Michele Galella.

Il secondo appuntamento è il risultato di un laboratorio di scrittura comica, organizzato dall’Officina Culturale Distretto Creativo, dal titolo Non c’è niente da ride che ha visto come docenti Claudio Morici, Stefania Marrone e Marco di Stefano. Il laboratorio, nato dall’idea di voler parlare del tema del lavoro in modo leggero, ha prodotto delle scritture che saranno rappresentate presso l’Auditorium delle suore Clarisse Francescane nella giornata del 3 giugno alle ore 18:00.

Con la formula aperitivo con spettacolo, l’11 giugno alle ore 19 a Civita Castellana presso il Ristorante Beccofino e il 12 giugno alle ore 19 a Oriolo Romano (VT) presso il convento di Sant’Antonio, verrà proposto al pubblico lo spettacolo Saga Salsa di Quieora Residenza Teatrale: con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli e la regia di Aldo Cassano, la pièce racconta la storia di tre donne appartenenti a tre generazioni diverse: una nonna, una mamma e una figlia, che gestiscono un ristorante, producendo salsa di pomodoro. Tre donne che mettono in tavola il passato e il presente in una cena da gustare, ma anche da vedere e ascoltare, una cena in cui tutti i sensi sono chiamati a partecipare e dove il pasto da consumarsi non è fatto solo di cibo ma anche di emozioni, sapori e storie.

Infine, sempre il 12 giugno a partire dalle 17:30 lungo le vie del centro storico di Civita Castellana, verrà realizzata una passeggiata in bicicletta che terminerà con l’ultimo lavoro dell’artista salentino Ippolito Chiarello, Un cuore a pedali. Un vero e proprio allenamento, anche fisico, al viaggio, alla fantasia, allo sguardo, all’invenzione, alla meraviglia, guidati da Caporaso da Olivotti, nobile di nascita ed esploratore di professione, mangiatore di parole, scrutatore di strade, agitatore di gente bambina. Un percorso che coinvolge famiglie ed amanti della bicicletta, in collaborazione con l’associazione Vivicivita e che riserverà anche altre grandi sorprese, tutte da scoprire. La passeggiata con le biciclette verrà realizzata lungo le strade più caratteristiche del paese e avrà un numero max di 50 partecipanti.

Il festival è organizzato da 20Chiavi Teatro all’interno dell’officina culturale Distretto Creativo con il contributo della Regione Lazio e il patrocinio dei comuni di Civita Castellana e Oriolo Romano.

Tutte le informazioni su: www.ventichiaviteatro.it/portfolio/festival-storie-di-lavoro/