Pezzi vince il Roma Fringe Festival 2019. Intervista alla compagnia Rueda Teatro

Pezzi vince il Roma Fringe Festival 2019. Intervista alla compagnia Rueda Teatro

 Pezzi - si vive per imparare a restare morti tanto tempo

Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo

Vincitore del Roma Fringe Festival 2019, Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo, è il risultato di nove mesi di scrittura scenica, attraverso un continuo scambio artistico tra la regista e drammaturga Laura Nardinocchi e le attrici Ilaria Giorgi, Claudia Guidi e Ilaria Fantozzi della Compagnia Rueda Teatro. Ogni elemento della storia è nato dalla compagnia e si è evoluto attraverso un lavoro comune: i dialoghi, i personaggi, la stessa scenografia. Ogni elemento si è sviluppato nel corso di diversi e lunghi esperimenti scenici. Probabilmente un lavoro così viscerale, praticamente materno, tra la compagnia e questo spettacolo lo ha reso così intenso, efficace, toccante.

Tutto parte da un dato autobiografico della regista Laura Nardirocchi, incontrata subito dopo lo spettacolo:        “L’aspetto autobiografico è stato il motore, la spinta necessaria poiché avevamo l’urgenza di inquadrare il lavoro sotto il tema del lutto. Tutto quello che è nato è giunto successivamente dalle attrici; di me c’è molto poco dentro lo spettacolo. Bisogna premettere che questo spettacolo è nato come saggio di regia del mio terzo anni di studi registici e, dopo aver lavorato tanto con persone della mia scuola, volevo un po’ estendere le mie conoscenze. Dato che con Claudia Guidi e Ilaria Giorgi già avevo avviato un rapporto amicale oltreché artistico, tutto il progetto è nato con loro. Solo successivamente ho avuto questo bisogno di una persona esterna. Dopo vari incontri, ho trovato Ilaria Fantozzi.

Cercavo di creare un gruppo affiatato e lei si è proprio inserita subito all’interno della compagnia, senza neanche troppo difficoltà devo dire, anche perché il lavoro era talmente corale, che tutte noi a nostro modo amavamo collaborare e insieme, giorno dopo giorno, aggiungevamo qualcosa al lavoro. Questo è secondo me ciò che mi ha aiutato a crescere di più sia dal punto di vista registico sia nel modo di vedere il teatro e la figura del regista. Tutte noi condividiamo un teatro che nasce dal corpo e dal lavoro attoriale: partendo quindi dall’improvvisazione, abbiamo creato un senso drammaturgico, lavorando sul tema e sui ruoli, sugli oggetti e sul ricordo. Come un sacco di Babbo Natale, per rimanere in tema con lo spettacolo, dove ognuna di noi metteva qualcosa, questa è l’immagine che darei del nostro lavoro.”

Un processo quindi che parte dalla radice stessa, mettendo in discussione qualsiasi costruzione a tavolino. Ilaria Giorgi, che interpreta la madre vedova di questa famiglia mutilata, chiarisce come anche il suo personaggio sia stato concepito nel corso di questi nove mesi (quasi una vera e propria gravidanza): “ Gli stessi personaggi, ad esempio, non li avevamo definiti all’inzio. Noi volevamo lavorare su questa famiglia, ma non sapevamo quali dovevano essere questi ruoli. Poi provando a lavorare, facendo all’inizio molto lavoro sul fisico, “staccando” la testa e caricandoci di suggestioni, abbiamo lasciato che tutto quell’immaginario acquisito scorresse nel nostro corpo. Da lì in poi, le risposte ti salgono a galla da sole. Tutto è nato spontaneamente, con una cura costante. Ciò che è stato fondamentale è stata la cura e la passione. “

 Pezzi - si vive per imparare a restare morti tanto tempo

Pezzi – si vive per imparare a restare morti tanto tempo

Perfino il titolo, Pezzi, è il risultato di un lavoro comune della compagnia, scelto dopo aver vagliato diverse scelte proposte di comune accordo. Il risultato finale rispecchia effettivamente la frantumazione data dal trauma, esattamente come avviene fisicamente in scena con la frantumazione delle palle di Natale; ma giustamente, ci ricorda Claudia Guidi:

“Tutto ciò che si rompe in pezzi può essere ricostruito, rimesso insieme. Il titolo anche è nato dopo aver cominciato a lavorare sullo spettacolo, ed è arrivato. Partendo dal sottotitolo, si tratta di una frase di un testo di William Faulkner, Mentre Morivo. Tra i metodi di lavoro che abbiamo usato per arrivare alle scene, Laura ci ha anche proposto delle frasi, di poesie o di testi. Noi da quelle suggestioni dovevamo creare un’immagine dandole successivamente una corporeità. Da una frase così lunga, cercavamo un titolo breve, una parola massimo. Pezzi è il frutto di una decina di titoli portati da ciascuna di noi. Pezzi però è una parola che ne può vuol dire mille altre: frammenti, i cocci di qualcosa che si è rotto, donne a pezzi, crepe. Ma pezzi anche di cose che unite: pezzi di persone creano una famiglia, pezzi di legno come nel caso della la struttura dell’albero o come i pezzi di cravatta che creano l’addobbo dell’albero.”

Pezzi racconta di una perdita, una lacerante mancanza nella vita di tre donne. Questo tema viene affrontato in una limpida e dura rappresentazione della realtà di tre donne, in tre diverse fasi della vita, messe di fronte al lutto e costrette a dover in qualche modo reagire, attraverso percorsi tortuosi, che separandole riescono infine a ricongiungerle. Il tutto si svolge in un giorno di festa, quello prima di Natale: c’è da fare l’albero, si parla del cenone, degli ospiti, dei regali e dei desideri e di un magico Scarpariello, una sorta di Babbo Natale. Ma il lutto, il dolore, il fantasma di una figura maschile strappata via aleggia ancora su queste donne. Mentre molte cose perdono di senso, come lo spirito di una festa, altre ne acquistano nuovi, come la figura dello Scarpariello per la più piccola delle figlie.

La regista Laura Nardinocchi conclude dicendo che: “ Non volevamo fare uno spettacolo sul pathos, l’aspetto patetico del dolore, ma su come tre donne, senza più una figura maschile, vivano all’interno dello stesso contesto. Ognuna di loro trova il modo di reagire: la madre lo affronta con la negazione, cercando di caricarsi di un’energia palesemente inesistente con la quale spera di eccitare le figlie. Una, ancora bambina, che non si rende conto di cosa sia la morte e che ancora spera in questo ritorno, ancora attaccata al passato; e l’altra, una figlia grande, che vorrebbe mandare a quel paese il Natale. “Come si reagisce al lutto?”: questa è la domanda che ha mosso il nostro lavoro, accompagnandolo con suggestioni visive, ma anche acustiche. ”

La scenografia, nel suo minimalismo, non è solamente funzionale al racconto ma anche ricca di simbolismi e di riferimenti: pochi cubi e parallelepipedi di legno che da salone possono diventare lapide; un albero di Natale composto di canne di bambù e montato su di un asse di ferro, che diventa croce. Una scenografia quindi componibile e scomponibile, mossa dai ricordi e dalle emozioni dei suoi protagonisti.

Proprio rispetto alla costruzione visiva dello spettacolo così risponde Laura Nardinocchi: “ Questa è una scelta stilistica personale, più che legata allo spettacolo: io amo lavorare con una scenografia che si costruisce man mano, e questo proprio perché mi piace lavorare con gli attori. Lo faccio anche per abituare il pubblico a sforzarsi a vedere qualcosa oltre il semplice cubo di legno. Non ho interesse a inserire elementi comuni come sedie, tavoli, cellulari, parolacce nei miei spettacoli. Sarebbe stato molto più facile ed economico comprare un albero da mettere in scena, ma avrebbe inevitabilmente perso tutta la sua forza poetica, dalla quale io parto e alla quale tengo tantissimo.