«Il nostro grido è manifesto!»: Ci hanno dato la città di IAC, storia di un imminente futuro

«Il nostro grido è manifesto!»: Ci hanno dato la città di IAC, storia di un imminente futuro

A qualche ora dal debutto di Ci hanno dato la città, lo IAC – Centro Arti Integrate di Matera è uno scrigno di sogni e speranze. Chiuse le porte sul mondo fuori, siamo riuniti in cerchio intorno a un’esperienza, di quelle edificanti, che nel percorso di crescita creano una netta distinzione tra ciò che si era prima e quel che si è diventati dopo.
Al centro non ci sono tizzoni ardenti, ma se vi si tendono i palmi, pelle e cuore sono presto scaldati dal fuoco del cambiamento.
Con i loro occhi grandi, curiosi, famelici, i ragazzi e le ragazze – di lì a poco in scena con Ci hanno dato la città – mi accolgono senza giudizio, senza paura, insegnandomi, nel tempo di uno sguardo, il senso profondo della condivisione.

Nato come esito finale di un laboratorio teatrale svolto nell’ambito del progetto “La nostra storia”, realizzato da IAC con il sostegno del Centro di Giustizia Minorile di Puglia e Basilicata, Ci hanno dato la città è anche e soprattutto un grido generazionale che parte dallo stomaco e dal cuore di giovani cittadini e cittadine che, nel cercare lo spazio urbano e comunitario ideale, pongono dinnanzi agli occhi – talvolta inconsapevolmente ciechi degli adulti – tutti quei nodi sociali che necessitano uno scioglimento.

Forse, l’errore più frequentemente commesso nel rapportarsi agli adolescenti è quello di confrontare il “nostro” stare al mondo con il “loro”, creando fazioni contrapposte. Opposizione, questa, facilmente superabile se ai giudizi di merito si sostituisse la domanda “Cosa vuol dire essere adolescenti oggi?”
Ci hanno dato la città si origina dalla risposta onesta, rabbiosa, delusa, speranzosa di coloro che oggi sono adolescenti e che domani non hanno intenzione alcuna di vivere nel mondo che gli stiamo consegnando.
Guidati da Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, anime costitutive di IAC, dieci giovani ragazzi e ragazze hanno scelto il teatro per raccontare l’anelito di una generazione che muove dalle viscere e che non cerca affermazione nel conflitto ma nella tensione verso l’altro.

Ci hanno dato la città

Ci hanno dato la città
IAC-Centro Arti Integrate

Così, alla richiesta di definire il percorso collettivo compiuto fin qui con una parola, il vocabolario che viene a comporsi ha picchi di assoluta profondità e fervidi slanci di fantasia: «allunaggio», lo chiama Claudio, «perché arrivare alla luna è difficoltoso, ma quando vi si compie il primo passo è un sollievo ed è un passo in avanti di tutti». Il piede che lascia l’impronta potrà anche essere di uno o una sola di loro ma la conquista non è mai individuale. «Alienazione», dice Francesca, «però in senso positivo, perché venire in questo posto ogni settimana, lontano da tutto il resto, ti fa diventare un’altra persona, che tu stia interpretando o no un personaggio. Eppure è il momento in cui hai più occasione di manifestare te stesso». Piernicola, che affida all’organetto il suo sentire più intimo, ha imparato che gioco non è sinonimo di scherno. Per Sara tutto si condensa in «liberatorio e terapeutico» perché condividere il cammino con i suoi compagni e le sue compagne, ha rappresentato non solo la possibilità di esprimersi senza indugi ma anche la cura per la sospensione della vita con cui gli adolescenti, più di chiunque altro, sono costretti ormai da troppo tempo a fare i conti. 

«Responsabilità» è un concetto che torna con ciclicità tra le pagine del nostro vocabolario condiviso: i personaggi che i ragazzi interpretano portano i loro nomi, gli assomigliano caratterialmente, parlano con la loro voce ma soprattutto con le loro parole, rielaborate in un lavoro di scrittura originale da Andrea Santantonio e Nadia Casamassima.
Portando sul palco i loro timori e i loro desideri, si sono messi alla prova, facendo vibrare le corde vocali all’unisono nel pronunciare una richiesta di aiuto e al contempo tutta la voglia di chi, di fronte all’esplosione di un ecosistema umano e ambientale, prova a cavarsela da solo: «Il nostro grido è manifesto!».

Ci hanno dato la città inizia con la ricezione di un messaggio, una convocazione. I dieci giovani  prescelti si riuniscono alla ricerca di un luogo da costruire a loro misura scontrandosi con i depistaggi di quattro voci fuori campo – gli adulti – che intralciano il loro viaggio tra città compromesse. 
Ecco palesarsi i diversi piani del discorso: la tematica ecologica, la lotta generazionale, «la brutalità delle relazioni che non ammettono silenzi», in una spinta verso il futuro che mai perde di umanità.

«La verità è che viviamo in una nebbia e nessuno ha la soluzione per farla diradare, voi come noi, come quelli prima di noi, lo stesso cercare è il luogo e il tempo giusto chi si mette alla ricerca sa che da qualche parte è la spiegazione. La città che si fa culla di cobalto e cielo castano, pozzo vetrato di domande che si eviscera per accogliere».
Così chiosano gli adulti dai megafoni, a testimoniare una ricerca perpetua che mai si risolve e che proietta davanti a sé – al passaggio di ogni essere umano su questa terra, con le sue conquiste e i suoi errori – un’ombra di inquietudine.

Giunti nell’ultima città posta sul loro cammino, il disvelamento: ad attenderli ci sono fiamme e distruzione, la guerra sanguinolenta e polverosa, e quella cieca e silenziosa, ma i prescelti non hanno alcuna intenzione di arrendersi al gendarme-fantoccio che tenta di fermare la loro corsa. 
La ribellione è presto in scena ma non imbraccia fucili e non lancia molotov, accarezza e premunisce: «State calpestando i nostri sogni! Ci hanno dato la città, e noi ce la prenderemo!». 
Una boccata d’ideali che ristora le agonie del vivere presente.

Ci hanno dato la città

Ci hanno dato la città
IAC-Centro Arti Integrate

IAC-Centro Arti Integrate, nella più sensibile tra le declinazioni dell’umano che sono Nadia e Andrea, porta avanti progetti sul territorio dedicati alle nuove generazioni, per ampliare spazi d’azione e sedimentare processi di cura. 
Il lavoro con giovani non professionisti è l’essenza di IAC, raccontano Andrea e Nadia: «quando i ragazzi scoprono di poter esprimere, attraverso il teatro, qualcosa che può essere intimo, doloroso, con il proprio corpo, con la voce, la loro presenza si fa potentissima. Questa scoperta ci fa gioire, perché è lì che risiede il valore del teatro».

Il progetto “La nostra storia”, realizzato con il Centro di Giustizia Minorile di Puglia e Basilicata, da cui si origina Ci hanno dato la città, è a sua volta esito di un impegno sociale che IAC porta avanti fin dalla sua fondazione, affiancando il processo di reinserimento comunitario di minorenni individuati dai servizi sociali.
Nel progettare “La nostra storia” e proiettarlo sulla triennalità, si è scelto di indagare il rapporto che i giovani hanno con le proprie radici perché, dice Nadia, «a noi interessava lavorare sulla città per rinsaldarne il legame. Siamo in un territorio che soffre molto dello spopolamento, soprattutto della fascia più giovane, quindi abbiamo scelto un percorso che permettesse ai giovani di affezionarsi nuovamente ai propri luoghi». 

A soli due mesi dal debutto, il processo creativo di Ci hanno dato la città si è rimesso totalmente in moto: il gruppo è al lavoro per rimodellare lo spettacolo che si prepara – come fin d’ora meriterebbe – a saziare di bellezza le pupille di numerosi spettatori e spettatrici. Perché di bellezza si tratta quando la rivoluzione scorre tra le dita degli uomini e delle donne di domani, con l’intento di rifare il mondo per renderlo un posto che valga ancora la pena di abitare.

Ci hanno dato la città
con: Francesca Beati, Giulia Gravela, Pietro Locantore, Dadahon Montemurro, Giovanni Ninnivaggi, Claudio Rubino, Matilde Santantonio, Barbara Scarciolla, Sara Ventrella, Francesco Vizziello.
Voci off: Nadia Casamassima, Cosimo Frascella, Andrea Santantonio, Francesco Zaccaro
regia: Nadia Casamassima, Andrea Santantonio
luci: Joseph Geoffriau
assistente di palco: Ottavio Alato
Prodotto da IAC

IAC Centro Arti Integrate lancia Handle with care – Il teatro che cresce

IAC Centro Arti Integrate lancia Handle with care – Il teatro che cresce

Handle with care – Il teatro che cresce è una rassegna teatrale e un percorso di educazione alla visione dedicati all’adolescenza. Il progetto sarà realizzato da ottobre a dicembre 2021 nell’area di confine tra Puglia e Basilicata

Dopo un lungo periodo di pausa, il teatro torna a crescere e a far crescere. Con questa rassegna  IAC Centro Arti Integrate vuole colmare un vuoto territoriale, quello che delle aree marginali, dove le proposte culturali faticano a mantenere una certa consistenza. Ma anche il disagio delle nuove generazioni, che lamentano la mancanza di attività a loro dedicate e l’indifferenza delle istituzioni nei loro confronti. 

Nato nel 2013 dalla cooperazione tra la Cooperativa IAC Centro Arti Integrate e l’Ufficio per i Servizi Sociali per Minori di Basilicata, Handle with care è orientato ad attivare processi culturali nei territori distanti dai centri di produzione artistica. 

Per l’edizione del 2021 i luoghi riguardati dal progetto saranno Matera, Altamura e Gravina. Nonostante questa zona della Murgia sia costituita da comuni economicamente attivi e di grandi dimensioni, è comunque sottoposta a una forte emigrazione giovanile dal momento che l’offerta a disposizione degli adolescenti non risponde sufficientemente alle loro richieste ed esigenze.
A rimarcare tale necessità è stata l’emergenza sanitaria Covid-19, che ha colpito i più giovani sia nel campo educativo che in quello culturale. La carenza di contenuti e strumenti (artistici, didattici e laboratoriali) necessita un ripensamento dei processi di audience engagement per questo target generazionale.

Tramite la formazione laboratoriale e la visione di spettacoli teatrali, i giovani partecipanti avranno la possibilità di sviluppare il proprio senso critico e gusto artistico, indagheranno forme di cultura materiale e immateriale, approfondiranno la propria storia incrementando la relazione con i luoghi che vivono quotidianamente.

L’attività principale è composta da una rassegna teatrale e un percorso di educazione alla visione. Per ogni Comune coinvolto, saranno programmati degli spettacoli che comporranno una rassegna cittadina con nomi di rilievo del panorama nazionale: IAC, Illoco Teatro, Alessandro Balestrieri/Matuta Teatro, Ultimi Fuochi Teatro, Teatro Nucleo, Anna Piscopo, Roberto Corradino&reggimento carri.

Per ogni spettacolo, gli educatori di IAC terranno un laboratorio di educazione alla visione. Attraverso esercizi e giochi si forniranno gli elementi per l’analisi dello spettacolo, del plot delle opere, dei personaggi, dello stile dello spettacolo e quando sarà possibile si incontreranno le compagnie per conoscerne il  lavoro, il processo di creazione, le scelte artistiche.

Handle with care – Il teatro che cresce è una rassegna di teatro che si rivolge agli adolescenti. Un progetto sostenuto dall’Ufficio dei Servizi Sociali per Minorenni di Basilicata, il Centro di Giustizia Minorile di Puglia e Basilicata, la Regione Puglia, la Regione Basilicata, il Comune di Matera, in collaborazione con il Comune di Gravina (BA), il Comune di Altamura (BA). La struttura progettuale è il frutto di percorsi partecipati fatti con i ragazzi in carico all’USSM, realizzati durante il periodo di lockdown su piattaforme online.Programma: https://www.centroiac.com/2261/


Nessuno Resti Fuori Festival: assumersi la responsabilità di esseri sociali e morali

Nessuno Resti Fuori Festival: assumersi la responsabilità di esseri sociali e morali

C’è una comunità che abita distese d’oro bruno, tra campi coltivati a grano e ulivi d’argento. Nell’assolato bagliore che invade le valli lucane, sorgono villaggi dalle architetture metafisiche, in cui lo scalpello dechirichiano pare immortalato dall’obiettivo di Ghirri.
Eppure no, i quartieri ricostruiti tutt’intorno alla città di Matera, dopo l’esodo dai Sassi, non sono esperimenti ingegneristici.  Si tratta di spazi restituiti ai cittadini e alle cittadine che, a seguito della “cacciata”, hanno preso possesso di altri luoghi, divenuti d’appartenenza dopo il tempo richiesto per la ricostruzione.

E la ricostruzione non è solo quel titolo che sovente svetta sulle prime pagine dei giornali o sulle intestazioni di progetti tecnici che parlano di disattese promesse, seguite a distruttivi terremoti. La ricostruzione non è fatta solo di calce e mattoni. Ricostruire significa comporre e ricomporre un puzzle emotivo, personale e collettivo, fatto di punti di riferimento strappati, di relazioni interrotte, di spazi da ri-abitare.
Questo è ciò che è accaduto ai materani e alle materane, la cui struggente storia collettiva ha finito per essere inghiottita da Levi e Pasolini, dall’amore mancato di Pascoli per quell’”Affrica” a cui fu tanto ostile, dall’epifania di luxury resort che, arroccati sui sassi, imborghesiscono bianchi tufi crepati dal sole e dal tempo.

Il lento incedere che caratterizza il ritmo di quegli spazi che si innervano dietro le mura della città spinge ora sull’acceleratore, lasciando ai quartieri della periferia bucolica del materano il compito di far decantare la vita. Perseguendo il principio di lentezza – come ritorno a un tempo mitologico fatto d’ascolto e conoscenza, generosità e istinto – Andrea Santantonio e Nadia Casamassima, alla guida di IAC – Centro Arti integrate, si fanno portatori di un’esigenza: il bisogno di un territorio di essere animato da nuove riflessioni e attraversato da possibilità che non lascino fuori nessuno, nessuna. 

“Minoranze”, così vengono definite tutte quelle fasce della comunità non appartenenti alla targettizzazione eurocentrista, bianca, maschilista e capitalista. Donne, bambini, adolescenti, disabili, migranti, tossicodipendenti, carcerati, al contempo vittime e carnefici agli occhi di chi, da finestre dorate, osserva il disagio senza tendere la mano. La stessa mano che nerboruta affondano Andrea e Nadia nelle pieghe della difficoltà altrui, trasformando il dolore in opportunità.
Teatro comunitario, per tutte e tutti, inclusivo, giusto, tenero, che sa abbracciare e cullare, dirigere e proteggere come ginocchia di madre cui appoggiarsi per non cadere. Ecco l’essenza del lavoro di IAC che, da 10 anni, in un ex frantoio liminale tra la città vecchia e quella nuova, si pone come avamposto di crescita sociale. 

Il riverbero di tale azione è incarnato da Nessuno Resti Fuori – Festival di Teatro, città, persone, diramazione progettuale di IAC, che da 6 anni compie un viaggio itinerante tra i satelliti abitativi, costituitisi quartieri, che orbitano intorno a Matera. Attraverso un processo di consultazione pubblica, si è scelto di affidare l’edizione 2021 di Nessuno Resti Fuori al Borgo La Martella, piccolo centro abitato frutto dell’operare di un nutrito gruppo di architetti e intellettuali, capeggiati, nel celebre intervento urbanistico di metà ‘900, da Adriano Olivetti.

Nel mese di luglio, per 9 giorni, Nessuno Resti Fuori non ha invaso La Martella, non l’ha colonizzata.  L’ha vissuta, esplorando nuove possibilità di utilizzo degli spazi, inimmaginate occasioni di condivisione, affidando la guida di questo sperimentale viaggio all’arte e alle persone.
Questo festival, prezioso perché onesto, necessario perché coraggioso, non è il frutto di una gemmazione ma di un incontro fecondo, basato sul recupero di sentimenti perduti.

La pretesa, unica e sola, è stata quella di facilitare l’accesso culturale, non ponendo a lato la qualità della proposta artistica, bensì arricchendola di una dimensione umana che si è fatta pierre de touche per saggiare l’inarrivabile sensibilità delle nuove generazioni. Sì, perché Nessuno Resti Fuori è aperto a tutti e a tutte ma rivolto specialmente ai giovani, divenuti simbolo, in questo tempo pandemico, di sacrificio e abnegazione.
Con gioia ed energica curiosità, questa generazione di pensatori istintivi, tacciati senza fondamento di superficialità e abuso tecnologico, ha animato con interessanti spunti creativi il festival. Animare, nel senso di dare vita, perché i ragazzi e le ragazze di Nessuno Resti Fuori, che si riconoscono sotto il nome di cittadini più che di volontari del festival, hanno costituito una direzione artistica partecipata che ha lavorato in maniera infaticabile. 

All’organizzazione, questi giovani hanno affiancato l’attività laboratoriale condotta da Giorgio Degasperi, Alessandro Argnani per Teatro Delle Albe, Moder, Diana Anselmo e Giuseppe Comuniello per Al.Di.Qua Artists. Espressioni diverse di attivazione relazionale aventi il fine di tramutare la marginalizzazione in convivenza rispettosa.
Ancora nella scelta dei laboratori, Nessuno Resti Fuori dimostra la propria vocazione all’annientamento delle barriere e all’offerta di possibilità inattese: accanto all’altisonante nome del Teatro delle Albe, vanto del teatro nazionale, e a quello di Degasperi, regista di pluriennale esperienza, vengono proposti Comuniello e Anselmo artisti capofila della prima rete europea di tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici disabilitati dello spettacolo dal vivo. L’umiltà e la dedizione con cui questi artisti hanno saputo accogliere e coltivare le attese di adulti, bambini e ragazzi ha dato vita a esiti di assoluta grazia.

Sul palco, si sono avvicendati Ateliersi, Factory Compagnia, Claudio Morici, Alessandro Blasioli, Gommalacca Teatro, Compagnia Teatrale Petra, IAC-Centro Arti Integrate, Compagnia Teatrale L’Albero, in un’alternanza di momenti di riflessione dedicati a inclusività e territorio.

Ci si chiederà, al di là delle ormai note implicazioni che il teatro può avere in ambito sociale, in cosa risiede l’importanza dell’apporto teatrale da un punto di vista prettamente umano e relazionale, in esperienze come quella di Nessuno Resti Fuori Festival? Una risposta possibile è suggerita da Jerzy Grotowski: se, come dice il regista polacco, la civiltà moderna è caratterizzata da una sensazione di catastrofe, dal desiderio di nascondere le nostre motivazioni esistenziali, il teatro è in grado di proporre un doppio gioco di intelletto e istinto, pensiero ed emotività, presentando un’occasione d’integrazione, di rifiuto delle maschere.

Il teatro può avere delle implicazioni spirituali sull’uomo, non in senso religioso ma rituale, ponendo, sotto l’egida di un mito collettivo diversi linguaggi e diverse fedi, in un processo che non livella le differenze ma le esalta. 
Risiede qui il valore inestimabile di Nessuno Resti Fuori, un festival che obbliga lo spettatore a valutare la propria responsabilità di essere sociale e morale; a vedersi come riflesso nello spettacolo e nell’altro, partecipando a un’introspezione collettiva.

Matera Città Aperta: l’arte della cittadinanza

Matera Città Aperta: l’arte della cittadinanza

Matera Città Aperta a cura di Cecilia Carponi e IAC – Centro Arti Integrate, edito da Cue Press nel 2021, è un libro di memorie esperienziali, riflessioni, testimonianze, che costituiscono oggi quel che rimane del progetto artistico Matera città aperta co-prodotto da IAC e dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019 nell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura.

È riflettendo sul concetto di accessibilità degli spazi urbani e, per estensione, sulla funzione sociale e quindi politica della configurazione spaziale dell’accessibilità, che Andrea Santantonio e Nadia Casamassima, con la consulenza artistica di Andrea Porcheddu, danno vita al progetto/spettacolo Matera Città Aperta dimostrando l’efficacia dell’azione teatrale come realtà rappresentata. 

A questa realtà è possibile accedere attraverso la lettura di Matera Città Aperta tra racconti e testimonianze sensibilmente creative che danno forma all’immaginario distopico e provocatorio di un mondo lacerato e scomposto in sezioni parallele. Così, l’azione teatrale e l’azione discorsiva, si sviluppano per stazioni successive e indipendenti come ramificazioni di un albero, le cui radici affondano nel terreno fertile delle arti, nutrite dalla profonda e condivisa convinzione che l’azione culturale possa essere il motore del cambiamento sociale.

Ponendo attenzione alla dimensione politica del teatro, alla sua efficacia, alla speranza per un futuro che è già presente, Andrea Porcheddu narra la storia di quello che è stato, nella sua essenza, il progetto Matera Città Aperta con la stesura del brano Un viaggio verso il futuro; accompagnandoci nella lettura de La piazza negli occhi degli artisti e Abitare la piazza, capitoli che documentano l’apporto creativo di artisti e tecnici e la modalità di lavoro che ha caratterizzato tutto il processo, allo stesso tempo individuale e collettivo, fatto di incontri e discussioni pubbliche, di lunghe sessioni di prove, di laboratori coreografici aperti alla cittadinanza e accogliendo le riflessioni di artisti quali, per citarne alcuni, Vincent Longuemare, Soyoung Chung, Erika Galli, Daniele Ninarello e Teho Teardo

L’ultima tappa del viaggio è arricchita dal pensiero critico di Alessandro Toppi, Michele Sciancalepore, Emmanuele Curti, nella sezione Raccontare l’effimero e dalla presentazione del testo drammaturgico Matera Città Aperta, a sua volta impreziosito dal repertorio fotografico dello spettacolo, a cura di Luca Centola.

Matera Città Aperta è simbolicamente e significativamente rappresentato in sette episodi unici, dal 30 settembre al 6 ottobre 2019, nella piazza principale della città; piazza abitata per l’occasione, da un corpo collettivo di artisti e cittadini impegnati nel creare, disfare e ricreare lo spazio performativo e sociale di una città-teatro, luogo o non-luogo di possibilità espressive.Nel corso dello spettacolo la scenografa Soyoung Chung costruisce un muro-monumento che divide in due piazza Vittorio Veneto: è impedendo ai cittadini lucani il passaggio da un lato all’altro della piazza, che viene metaforicamente e concretamente impedita la libera determinazione di sé attraverso lo sguardo dell’altro.

Dove la politica si esprime nell’esercizio della forza repressiva si ergono muri, confini, la storia dell’uomo che è storia di migrazioni è negata nella sua essenza e quello che si afferma, nell’Italia del 2019 con il Decreto Sicurezza bis, promosso dall’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini, è l’indifferenza per la violazione dei Diritti Umani. 

Soyoung Chung sfida i cittadini spettatori ad attuare un distanziamento che somiglia a una soluzione definitiva. Ancor più nefasta e grottesca se letta oggi, alla luce degli avvenimenti storici del nostro presente affetto dalla pandemia Covid-19. Muro-monumento d’arte o dispositivo di sicurezza in plexiglass, che vogliamo riconoscere come simbolo di speranza nella sua potenziale e doppia funzione di protezione e di apertura verso mondi altri in cui ogni cittadino e artista, partecipa alla costruzione di spazi estetici e di opere d’arte.

La dimensione creativa del progetto, l’impegno sociale ed estetico di chi ha contribuito alla realizzazione e alla documentazione di quest’esperienza, confluita nel libro omonimo, a cura di Cecilia Carponi e IAC, potrebbe rimandare per affinità intellettuale al pensiero rivoluzionario di Paulo Freire. Così l’azione pedagogica ed estetica teorizzata da Freire come educazione liberatrice, atto di conoscenza sulla realtà oggettiva e processo di coscientizzazione, si esprime nell’atto creativo di un’opera teatrale che vuole essere provocazione, monito, avvenimento distopico. 

La volontà di trasformare la realtà è implicita nell’azione culturale che è allo stesso tempo azione politica e di cui Matera Città Aperta ne è esempio e compiuta espressione. Sfogliando le pagine di Matera Città aperta potremmo esser colti dalla voglia di progettare il ritorno, come afferma Nikolaj BerdJaev, e «a una società non utopistica, meno “perfetta” e più libera» in grado di rendere l’individuo consapevole delle proprie potenzialità creative e dell’unicità e l’insostituibilità della sua partecipazione alla produzione culturale, non più delegata ai professionisti del settore ma agita da ognuno.

Matera Città Aperta – Un viaggio verso il futuro di Andrea Porcheddu

[…] Siamo, con Matera Città Aperta, di fronte all’evidenza di un teatro non più di parte, ma che si fonda su criteri di immediata riconoscibilità e applicabilità. Ossia a una sua capacità di ‘porsi al meglio’, e in quanto ‘teatro politico’, in una prospettiva che abbraccia i mezzi di produzione sia alternativi (il percorso indipendente di IAC) sia ufficiali (il sostegno della fondazione Matera-Basilicata 2019) senza per questo abdicare alla vocazione di intervento ‘terapeutico’ nel contesto umano e urbano. Inoltre, tornando all’analisi di Vincentini, non si riscontra, come nel ‘teatro politico’ propriamente detto, una connessione immediata e diretta con la lotta politica (l’autore faceva riferimento agli anni Settanta), ma l’esito politico effettivamente verificabile, in termini di ‘efficacia’, viene affidato alla qualità della messa in scena, alla risposta del pubblico, alla condivisione di un dubbio, di un interrogativo potente che mette in discussione i canoni economici, le ‘sovrastrutture’ culturali del sistema sociale e culturale italiano. Il teatro politico, insomma, rivendica la sua funzione terapeutica e catartica, di intervento e di cambiamento dell’Uno e dei Molti, tenendo alta la vocazione teatrale, il suo essere qualità, quello che De Marinis chiama «teatro tour-court». Ossia metafora, allusione e illusione, oppure ancora ‘rito-gioco-festa’. Proprio questa triade di termini, evocata dallo studioso bolognese, è l’ultima chiave d’accesso per il lavoro fatto da IAC per Matera 2019. Rito: perché del teatro ha mantenuto la sacralità e profondità, momento collettivo e di trasformazione, di riflessione e di democrazia discorsiva. Matera Città Aperta ha reso la piazza nuovamente Agorà, la città polis, il teatro luogo di discussione e riconoscimento. Gioco: perché al suo interno, lo spettacolo ha aperto spiragli cospicui al gioco collettivo, al coinvolgimento, gioco cui gli spettatori si sono prestati ben disposti. Ma lo spettacolo arrivava anche alla aguzza parodia di quegli ‘intrattenimenti’ oggi tanto alla moda e tanto condivisi. Fino a che punto, si chiedevano gli attori e chiedevano a noi spettatori, il ‘gioco’ ci distrae dalla realtà? Festa:perché in fondo festa è stata, partecipata, libera, vivace, allegra, pensosa, complessa. Festa del teatro e della gente, festa di Matera, dei suoi cittadini, della piazza invasa dalla sana follia di Andrea e Nadia. Mi pare, a distanza di tempo, di poter davvero tirare un filo rosso da quel primo spettacolo, catacombale, sotterraneo, notturno, lirico, a questo che invece si prende lo spazio della collettività, della politica, della lotta. Un teatro che sa delineare uno scenario distopico, cupo e pauroso, e al tempo stesso chiamare in causa tutti e ciascuno, affinché quel futuro non si realizzi. Matera Città Aperta, nella capitale della cultura 2019, ha lasciato intendere ciò che si stava realizzando accanto a noi, dentro di noi. Il futuro è già iniziato. Ma, forse, si può ancora cambiare.

Sorgenti nel deserto. La direzione artistica racconta IAC – Centro Arti Integrate e Nessuno Resti Fuori Festival

Sorgenti nel deserto. La direzione artistica racconta IAC – Centro Arti Integrate e Nessuno Resti Fuori Festival

Esiste, a Matera, uno spazio di accoglienza e inclusività dedicato all’arte e alla comunità che, da oltre 10 anni, consente alla città di ottenere risposte circa le necessità sociali del territorio. 
Lo IAC – Centro Arti Integrate, come una sorgente nel deserto culturale che a lungo ha imperversato in molte località del Mezzogiorno, conduce un’azione di coinvolgimento e attivazione territoriale che investe tutte le fasce d’età, facendo dei cittadini e delle cittadine i primi attori sociali di questo processo di fioritura.

Progettazione culturale, percorsi formativi, produzione di spettacoli e programmazione sono le principali attività di IAC, alle quali, 6 anni fa, si è aggiunta l’organizzazione del Festival Nessuno Resti Fuori, che prenderà il via il 17 luglio 2021 nel capoluogo lucano. A partire da questa edizione, la direzione artistica è affiancata da un nutrito gruppo di giovani che ridisegnano, colorando fuori dai bordi, i confini culturali di un’intera regione.

Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, alla guida della direzione artistica, raccontano IAC e Nessuno Resti Fuori Festival 2021

Come nasce IAC – Centro Arti Integrate e con quali finalità?

Nadia Casamassima: IAC – Centro Arti Integrate nasce circa 10 anni fa. Venivamo da una precedente esperienza teatrale in una compagnia di Matera e avevamo voglia di costruire qualcosa di nostro, quindi abbiamo fondato una cooperativa. Abbiamo scelto una forma che ci permettesse di trasformare nel nostro mestiere quello che fino ad allora era stato un lavoro discontinuo. 

La forma della cooperativa ci è sembrata quella più aderente alla nostra idea di teatro e di compagnia teatrale: un insieme di persone che contribuiscono a creare e alimentare il proprio lavoro. Da subito abbiamo individuato la nostra sede ideale in un ex frantoio, luogo di produzione fondamentale per la comunità, che si trova in una zona limitrofa tra la città vecchia e la città nuova, al limite dei Sassi. 

Andrea Santantonio: Siamo abituati a raccontare perché sia nato lo IAC partendo dalle nostre esigenze, in realtà l’intero territorio ne aveva bisogno. Se penso a quando abbiamo progettato IAC era esattamente l’anno in cui qualcuno disse che Matera sarebbe potuta diventare capitale europea della cultura. Partivamo dal deserto, era una visione a costruire e questa è stata la grande sfida di IAC: dare una risposta al un deserto di cui eravamo i primi abitanti.

L’identità di IAC non è mai stata collegata unicamente alla produzione artistica e teatrale. Ciò che ha contraddistinto le nostre azioni e i progetti che abbiamo immaginato è sempre stato connesso a questioni sociali. Per un periodo, si è detto che nel Teatro Sociale esistesse un imperativo morale secondo il quale fosse necessario dare il massimo di sé anche nel collaborare con persone che non aspiravano a diventare artisti. Questo imperativo morale è raddoppiato negli anni: bisogna avere la massima tensione sociale e la massima tensione artistica, occorre mantenere alta la qualità con cui si fanno certi percorsi anche nei contesti di marginalità sociale. La nostra ambizione è crescere insieme da un punto di vista sociale e artistico.

L’inclusività contraddistingue il lavoro di IAC, una caratteristica che nel tempo è diventata fondante per la vostra realtà. Come avete avviato il processo di coinvolgimento comunitario e quale è stata la risposta del territorio?

AS: Inizialmente abbiamo avuto difficoltà a coinvolgere i giovani, lavoravamo molto di più con adulti e bambini. Quando abbiamo sentito l’esigenza di conoscere nuove persone ci siamo spostati fisicamente per incontrarle. Siamo partiti da contesti stranianti, in cui non circolano neanche i mezzi pubblici, mettendo in piedi progetti teatrali che prevedessero la partecipazione dei cittadini. Questo è stato il primo meccanismo di attivazione del territorio. Dopo alcuni anni, abbiamo guadagnato la fiducia delle persone che hanno iniziato a integrarne di nuove, costituendo di fatto una rete di partecipazione e diffusione.

NC: Rispetto agli spazi che negli anni abbiamo utilizzato, la scelta è ricaduta su diversi luoghi non deputati perché non avevamo a disposizione un teatro. Questo ha mosso la nostra necessità di attivare un desiderio nei confronti del teatro, facendo sì che si costituisse un pubblico con la volontà di fare un’esperienza culturale. Partire da questa mancanza ci ha aiutato a sperimentare altre possibilità.

Volendo tirare le somme di questi 11 anni di attività, quali sono state le tappe del vostro viaggio?

NC: Le tappe sono state degli incontri, quello con il Teatro delle Albe ad esempio è stato fondamentale. Avevamo incontrato il Teatro delle Albe prima che nascesse il festival, poi li abbiamo invitati a tenere dei laboratori durante il festival Nessuno Resti Fuori. Da lì è nata una grande fratellanza. Il fatto che una compagnia storica, grande come il Teatro delle Albe si preoccupasse di noi, estremamente piccoli, ci ha fatto capire molte cose. La loro cura, la loro attenzione è stata importantissima, rappresentando un sostegno reale per quelle che erano le nostre fragilità, tutte da approfondire e coltivare. Attraverso questo incontro, abbiamo potuto allenare la nostra capacità di aiuto e sostegno nei confronti degli altri.

Anche la costituzione di #reteteatro41, fondata da quattro compagnie lucane, è stata una tappa rilevante del viaggio. Ci siamo resi conto che la Basilicata non aveva un sistema teatrale e neanche un pensiero politico che sostenesse il teatro e le attività culturali. Da qui l’idea di una rete per rafforzarci l’un l’altro e avere una maggiore incidenza sul territorio.

AS: Abbiamo anche seguito le fasi iniziali di Matera 2019 affrontando un percorso drammatico per certi versi, che ha messo in difficoltà le realtà del territorio vista la natura e la maestosità del progetto. In ogni caso è stato un motivo di grande crescita, tanto che per noi è diventato imprescindibile legare ciò che facciamo a una dimensione extraterritoriale, di relazione con nuovi contesti. 

Nessuno Resti Fuori è giunto alla sua sesta edizione. Già nel nome il festival porta con sé la volontà di un coinvolgimento tout-court della comunità materana, mettendola in relazione con l’altro, da un punto di vista artistico, progettuale e sociale. Da quest’anno è infatti attiva una direzione artistica partecipata. Che significato assumono il ritorno in presenza e l’annientamento di ogni tipo di barriera dopo quasi due anni di distanziamento fisico e relazionale?

AS: La direzione artistica partecipata è costituita da persone che condividono e costruiscono il pensiero di IAC, non si tratta di due percorsi paralleli che vengono posti in dialogo. Abbiamo sentito il bisogno di ridistribuire le responsabilità. Mi piace pensare che il festival non resti mai uguale a sé stesso, ma piuttosto che esso cambi come cambia il territorio
Già dal 2019 ci siamo resi conto di non gestire più il festival completamente. Stava succedendo che un gruppo di persone aveva preso in mano piccoli pezzi che costituiscono il festival, nella consapevolezza di sollevare noi della direzione dal carico di lavoro. Abbiamo allora deciso di strutturare maggiormente questa responsabilità.
Nessuno Resti Fuori è diventato un po’ meno nostro è un po’ più di tutti. La direzione artistica partecipata non nasce solo per trasmettere delle competenze in fatto di organizzazione ma soprattutto per incentivare la voglia di fare qualcosa insieme.

NC: In questi due anni ci siamo accorti di quanto le relazioni siano fondamentali, soprattutto nel nostro lavoro che richiede l’incontro, il rafforzamento del gruppo. 
Non so se ci abitueremo velocemente a stare più vicini, di certo abbiamo acquisito consapevolezza rispetto a una difficoltà individuale e sociale non ancora del tutto risolta. Oggi è ancora più chiaro che quello che facciamo deve avere un valore sociale e politico oltre che artistico, deve porre questioni non solo estetiche e di forma, ma soprattutto di contenuto.

Barbara Scarciolla – direzione artistica partecipata: Quest’anno il festival si terrà al Borgo La Martella, la cui costruzione, avvenuta intorno agli anni ’50, è stata vissuta come un esodo dai cittadini che, dai Sassi, dal centro storico, si sono trasferiti in questo quartiere. Come loro, a seguito di questi due anni, ci ritroviamo tutti a dover affrontare un processo partecipato di ricostruzione e di abitazione dei luoghi comunitari.

AS: Mi auguro che resti memoria dell’eccezionalità del dolore che abbiamo provato. Mi preoccuperei molto se tutto venisse lavato via immediatamente. Se scomparisse la memoria vorrebbe dire che siamo disposti ad accettare la consuetudine di un cambio di realtà come quello che abbiamo vissuto. Si tratterebbe di una sconfitta politica del corpo, delle dinamiche sociali e di quanto ne consegue.