L’Otello di Rossini e Verdi, il racconto dell’opera italiana

L’Otello di Rossini e Verdi, il racconto dell’opera italiana

È curioso registrare come le uniche due opere musicali aventi per soggetto l’Otello di Shakespeare siano ad opera di due operisti italiani: Rossini e Verdi. Ancor più curioso è il fatto che poste ai due estremi dell’Ottocento, queste rappresentino l’inizio e la fine dell’opera italiana ottocentesca, dall’epoca rossiniana a quella verdiana.

Arrigo Boito e Giuseppe Verdi
Arrigo Boito e Giuseppe Verdi

Rossini a Napoli

È il 1815, Gioacchino Rossini ha solo 23 anni e fresco di qualche successo a Venezia, viene scritturato dall’impresario del San Carlo di Napoli Domenico Barbaja. Dopo il debutto con grande successo de L’Elisabetta Regina d’Inghilterra nel teatro napoletano, Barbaja e il letterato Francesco Berio di Salsa, impongono a Rossini un nuovo soggetto: Otello. Il 4 dicembre 1816, l’opera debutta riscuotendo grandi consensi tanto da entrare nel repertorio fino al 1870.

Un risultato straordinario per un’opera di quell’epoca, solitamente destinata ad essere dimenticata dopo una sola stagione teatrale. La sua fortuna si lega sicuramente agli ottimi cantanti a disposizione del San Carlo di Napoli tra i quali Isabella Colbran (Desdemona nell’opera) e il tenore Andrea Nozzari (futuro Otello nel melodramma).

Anche l’orchestra a disposizione di Rossini è una delle migliori d’Europa e, grazie a essa, potrà scrivere pagine di musica sorprendenti, come la tempesta presente nell’Otello, e anche innovare l’opera, optando per il recitativo strumentato accompagnato da tutta l’orchestra invece che per quello “secco” accompagnato solo dal clavicembalo.

Questo espediente che può sembrare di natura tecnica, in realtà conferirà maggiore unione e coerenza tra il recitativo e l’aria che diventeranno quasi un tutt’uno, portando all’opera una nuova fluidità nell’azione scenica.

Rossini infatti grazie a un ruolo più centrale dell’orchestra, effetto dell’evoluzione dei tempo e della lezione mozartiana, amplia le forme del melodramma italiano, le rende più fluide e continue, rendendo l’azione avvincente e mai statica. Il compositore non stravolge le convenzioni dell’opera, accoglie le forme chiuse del melodramma, ma le utilizza sempre in maniera naturale e mai artificiale. A questa fluidità scenica si unisce il tipico linguaggio rossiniano improntato su sorpresa e velocità, che imprimono un nuovo timbro di modernità alla musica.

Il libretto

L’Otello di Rossini però non condivide molto con quello di Shakespeare: il teatro del bardo di Avon è ancora troppo cruento per le scene “neo-classiche” italiane. Berio di Salsa, il librettista, attinge infatti dall’adattamento del drammaturgo francese Jean-François Ducis e dalla traduzione italiana di Celestino Masucco. Il dramma è quasi completamente riscritto, qui l’argomento riportato nei libretti

«Otello, africano al servizio dell’Adria (Venezia), vincitor ritorna da una battaglia contro i Turchi. Un segreto matrimonio lo lega a Desdemona figlia di Elmiro Patrizio Veneto nemico di Otello, destinata in isposa a Rodrigo figlio del Doge. Jago, altro amante sprezzato da Desdemona, ed occulto nemico di Otello, per vendicarsi de’ ricevuti torti, finge di favorir gli amori di Rodrigo; un foglio poscia da esso intercettato, e col quale fa supporre ad Otello rea d’infedeltà la consorte, forma l’intreccio dell’Azione, la quale termina colla morte di Desdemona, trafitta da Otello, indi con quella di se medesimo, dopo avere scoperto l’inganno di Jago, e l’innocenza della moglie».

Le uniche innovazioni apportate a livello drammaturgico sono l’articolazione in tre atti del dramma serio, invece di due, e la presenza di un vero finale tragico, con due uccisioni sulla scena tra cui un suicida, giustificato probabilmente solo dal fatto che Otello è un Moro.

Gli elementi di successo nell’opera

Il culmine dell’opera è raggiunta nell’atto III, composto da un solo numero musicale che corre dritto senza interruzioni verso il finale. Al centro di tutto vi è Desdemona, vera protagonista della tragedia, tanto che in un primo momento le si voleva intitolare l’opera. L’atmosfera tragica è introdotta da dei versi danteschi declamati da un gondoliere fuori scena, unico intervento di Rossini nel libretto: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria» (Inferno, V canto, vv. 121-123).

L’ansia e la preoccupazione per Desdemona salgono fino a culminare nella Canzone del Salice: l’aria «Assisa a’ piè d’un salice» (Atto III, scena I) diventerà insieme alla preghiera seguente, uno dei pezzi più celebrati dell’opera italiana. 

«Deh calma, o ciel, nel sonno

per poco le mie pene, fa’, che l’amato bene

mi venga a consolar.

Se poi son vani i prieghi,

di mia breve urna in seno

venga di pianto almeno

 il cenere a bagnar».

Le parole di Desdemona hanno l’obiettivo di far rinsavire Otello affinché lui possa perdonarla, ma questa sarà l’ultima preghiera della donna; di lì a poco il Moro entrerà nella sua stanza per ucciderla e poi, dopo aver scoperto l’inganno di Jago, si darà anch’egli la morte. 

L’Otello verdiano

Ben diversa è invece è la genesi dell’Otello verdiano. La proposta di un’opera sul Moro “cioccolatte”, come affettuosamente lo chiamerà Verdi, arriva nel 1879 da parte di Giulio Ricordi, l’editore e Arrigo Boito, che aveva già pronto il libretto. Il compositore di Busseto non è molto convinto di intraprendere la scrittura dell’opera, sia per il mutamento della scena teatrale italiana, sia per il letterato con il quale nel passato ha avuto alcune ruggini.

La svolta arriva nel 1881, il rifacimento del Simon Boccanegra in collaborazione proprio con Boito sembra convincerlo. Sul palco della Scala incontra inoltre Victor Maurel, baritono designato per il ruolo di Simon, ma soprattutto la voce perfetta per il suo Jago si dice che Verdi gli abbia detto: «Se Dio mi darà la forza, scriverò per voi Jago». Da quel momento in poi la scrittura dell’Otello procederà, tra alti e bassi, fino al suo debutto nel 1887 alla “Scala”. 

Boito e il libretto

Boito è un librettista eccezionale. Il letterato lombardo è uomo di teatro, diplomato al conservatorio, compositore egli stesso, ma di stile wagneriano (Mefistofele, 1868, la sua opera più famosa; il Nerone, rimasto incompiuto), librettista esperto scrive, per Franco Faccio e Amilcare Ponchielli , esponente della scapigliatura milanese, insomma un intellettuale a tutto tondo. La qualità del libretto dell’Otello è immensa, Boito usa una quantità sterminata di metri diversi e il ritmo della sua scrittura sembra quasi voler suggerire la musica a Verdi.

Il suo libretto per l’Otello attinge direttamente al testo di Shakespeare e al netto dell’eliminazione del I atto shakespeariano, la trama e i personaggi rimangono i medesimi. Il vero protagonista dell’opera, come nell’originale d’altronde, è Jago, crudele baritono che odia Otello per aver dato il posto da capitano a Cassio e non a lui. Il suo piano diabolico prevede di servirsi di Rodrigo, innamorato di Desdemona, per far crollare Otello:

Jago a Rodrigo:

«M’ascolta, 

benché finga d’amarlo, odio quel moro…

e una cagion dell’ira, eccola, guarda. (indicando Cassio)

Quell’azzimato capitano usurpa

il grado mio, il grado mio che in cento

 ben pugnate battaglie ho meritato;

tal fu il voler d’Otello, ed io rimango

 di sua moresca signoria l’alfiere!» (Atto I, Scena I)

L’odio di Jago non ha quindi un fondamento razziale ma è legato al potere. Boito inventa per lui uno straordinario monologo passato alla storia come “Credo di Jago” (Atto II, scena II), una vera e propria confessione del suo essere abietto. Il pezzo, composto in versi liberi, secondo le regole operistiche sarebbe stato adatto per un recitativo, ma Verdi intuisce il potenziale del brano e stupisce: non compone la classica aria, ma una cosa del tutto nuova, un monologo musicale. 

Tutta l’opera è costellata di costruzioni sofisticate ed espressive, l’ubriachezza di Cassio ne è un esempio; qui l’estro di Boito arriva a comporre versi enigmatici, divenuti celebri come:

«Chi all’esca ha morso 

del ditirambo

spavaldo e strambo

beva con me!».

Verdi carica maggiormente la scena facendo cantare l’ubriaco Cassio totalmente fuori tempo, coprendo le parole di Jago (Atto I, Scena I). Infine Otello e Desdemona, coppia di sposi che crede di conoscersi e capirsi. Il primo duetto è rivelatorio e la splendida musica verdiana sembra quasi voler mascherare l’incomunicabilità alla base del loro rapporto, ma le parole del Moro tuonano esplicite: «E tu m’amavi per le mie sventure | ed io t’amavo per la tua pietà» (Atto I, Scena III).

Desdemona ama Otello per le sue avventure, Otello ama Desdemona per la sua pietà: lui dunque, la ama solo perché è amato da lei. Otello ama sé stesso, il suo essere un eroe tanto che quando Jago gli fa credere di essere stato tradito da Desdemona, egli dà l’addio non a sua moglie, ma a se stesso, alle sue «vittorie, dardi volanti e volanti corsier!» (Atto II, Scena V). Desdemona invece è veramente innamorata di Otello, è una figura pura, candida, tanto da accettare la morte senza capirne veramente il motivo, un vero e proprio “martirio”. 

L’ultimo atto

L’ultimo atto, come in Rossini, è l’apice dell’opera grazie alla centralità di Desdemona e alla sua canzone del salice. L’atmosfera è tesa e già incombe il peso della tragedia finale, che viene ribadito dalle parole della protagonista: «Egli era nato – per la sua gloria, | io per amarlo…e per morir» (Atto IV, Scena I).

Queste parole accelerano, fanno correre il dramma verso la fine: Otello entra nella stanza, uccide Desdemona; Rodrigo è ucciso da Cassio e Jago, messo all’angolo rivela tutto il suo piano. Il Moro tradito e ingannato non può che suicidarsi rimpiangendo l’amore con Desdemona sui versi del primo duetto d’amore: «un bacio, un bacio ancora» (Atto IV, Scena IV).

La storia dell’opera in due Otello

Due opere immense, dunque, che sintetizzano il percorso di vari aspetti della storia della musica operistica: l’evoluzione dal melodramma italiano dell’età rossiniana strutturato in recitativo e aria al fluido e continuo dramma lirico verdiano; la figura del musicista che passa da mero artigiano, a vero e proprio artista; infine quello più complesso dell’autorialità dell’opera, con il completo ribaltamento delle figure del librettista e del compositore, passate dall’essere succubi vicendevolmente l’una dell’altra a essere co-autori dell’opera.

Dopo 75 anni rinasce il Teatro Amintore Galli di Rimini

Dopo 75 anni rinasce il Teatro Amintore Galli di Rimini

A 75 anni dai bombardamenti che lo distrussero durante la Seconda Guerra Mondiale, il Teatro Amintore Galli di Rimini torna a nuovo splendore e il 28 ottobre riaprirà la sua sala di 850 posti alla comunità con una rappresentazione in forma semiscenica della Cenerentola di Gioachino Rossini, protagonista la mezzosoprano Cecilia Bartoli.

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Ad annunciarlo, il sindaco della città romagnola, Andrea Gnassi e il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini che hanno alzato il sipario sul recupero del teatro nato dalla matita del modenese Luigi Poletti che lo progettò a metà dell’Ottocento appena in tempo per ospitare la prima rappresentazione dell’Aroldo di Giuseppe Verdi che ne curò personalmente l’allestimento. Costo dell’operazione oltre 36 milioni di euro: 31,7 messi a disposizione dal Comune e 4,7 dalla Regione.
Tra gli eventi inaugurali, il 3 novembre la danza di Roberto Bolle and Friends e poi, il 10 e 11 dicembre, il Simon Boccanegra di Verdi diretto da Valery Gergiev.

Teatro Regio di Torino, taglio dei contributi statali e problemi di bilancio dell’ente teatrale

Teatro Regio di Torino, taglio dei contributi statali e problemi di bilancio dell’ente teatrale

Un lungo applauso ha accolto i lavoratori del Teatro Regio di Torino, saliti sul palco per ribadire le preoccupazioni per il taglio dei contributi statali e i problemi di bilancio dell’ente teatrale in occasione del via alla stagione con Il Trovatore di Giuseppe Verdi.

“Seppur molto preoccupati per il nostro futuro, ma guidati dallo stesso senso di responsabilità che ci ha contraddistinto in passate analoghe circostanze, abbiamo deciso di essere qui stasera per l’inaugurazione della stagione e non penalizzare voi, il nostro pubblico, ricorrendo alla più naturale delle forme di protesta e cioè lo sciopero”, è un passaggio della lettera al pubblico letta da alcuni rappresentanti sindacali.
“Ci auguriamo di poter continuare, con la serenità e soprattutto i mezzi necessari – aggiungono i lavoratori -, a realizzare spettacoli caratterizzati dalla qualità che ci è stata in molte occasioni e internazionalmente riconosciuta e che, come questa sera, voi possiate continuare a fruirne”.

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Gli occhi restano puntati sull’incontro di oggi a Roma tra la sindaca Appendino e il ministro ai Beni Culturali Alberto Bonisoli. “Le difficoltà del Teatro Regio – osserva l’assessora regionale alla Cultura Antonella Parigi – erano note da tempo. Oggi è chiaro che non è più rimandabile, da parte della Fondazione, l’adozione di misure strutturali per consentire una prospettiva di medio termine la sostenibilità sotto il profilo finanziario e il rilancio di uno degli enti culturali più importanti del nostro territorio”.

Inaugura il teatro Amintore Galli di Rimini. Presentato il programma di investimenti e partecipazione

Inaugura il teatro Amintore Galli di Rimini. Presentato il programma di investimenti e partecipazione

Teatro comunale Amintore Galli

Teatro comunale Amintore Galli

Il teatro comunale Amintore Galli di Rimini sarà inaugurato entro fine anno, dopo un restauro durato 4 anni. I riminesi, privati e imprese, potranno partecipare con un programma di investimento e sponsorizzazioni, presentato dal sindaco Andrea Gnassi e dall’assessore alle Arti Massimo Pulini. Gravemente danneggiato durante i bombardamenti del 1943, il Galli, che costituirà col Museo Fellini e il Museo di Arte Contemporanea il patrimonio del centro storico riminese, potrà essere sostenuto economicamente da cittadini e imprese, tramite bonifico sul conto corrente della tesoreria del Comune. L’iniziativa è stata chiamata ‘Entra in Scena’ e ha l’obiettivo di legare l’attività del teatro a chi ama la lirica e la prosa per tutto l’anno. “Sostenere l’attività del Teatro significa investire nell’eccellenza della qualità della sua programmazione artistica – spiegano gli amministratori – partecipare alla diffusione della cultura come valore irrinunciabile per la crescita della propria comunità”.

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LA STORIA DEL TEATRO AMINTORE GALLI

Il Teatro Amintore Galli (fino al 1947 Teatro Vittorio Emanuele II) è un teatro di Rimini. Inaugurato nel 1857 su progetto dell’architetto Luigi Poletti, è stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti Alleati del dicembre 1943. I saccheggi e le demolizione che seguirono nel dopoguerra ne lasceranno intatta solo la facciata e parte del foyer. Dopo una lunga e travagliata storia che vede tentativi di ricostruzioni, modifiche e destinazione ad altri usi, i lavori di ricostruzione veri e propri cominciarono nel 2014. Durante i lavori sono emersi i resti una basilica paleocristiana, che saranno inclusi nel futuro museo archeologico che sarà realizzato sotto al teatro assieme al Galli Multimediale, un innovativo progetto di museo a carattere storico-archeologico, finanziato in buona parte dalla Regione Emilia-Romagna, ed una sezione interamente dedicata ad uno dei principali volti musicali del passato come il maestro Giuseppe Verdi.

#AccaddeOggi: l’11 marzo 1851 al Teatro La Fenice debutta Rigoletto di Giuseppe Verdi

#AccaddeOggi: l’11 marzo 1851 al Teatro La Fenice debutta Rigoletto di Giuseppe Verdi

Rigoletto è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratta dal dramma di Victor Hugo Le Roi s’amuse (“Il re si diverte”). La prima ebbe luogo con successo l’11 marzo 1851 al Teatro La Fenice di Venezia.

Con Il trovatore (1853) e La traviata (1853) forma la cosiddetta “trilogia popolare” di Verdi. Centrato sulla drammatica e originale figura di un buffone di corte, Rigoletto fu inizialmente oggetto della censura austriaca. La stessa sorte era toccata nel 1832 al dramma originario Le Roi s’amuse, bloccato dalla censura e riproposto solo 50 anni dopo la prima. Nel dramma di Hugo, che non piacque né al pubblico né alla critica, erano infatti descritte senza mezzi termini le dissolutezze della corte francese, con al centro il libertinaggio di Francesco I, re di Francia. Nell’opera si arrivò al compromesso di far svolgere l’azione alla corte di Mantova, a quel tempo non più esistente, trasformando il re di Francia nel duca di Mantova.

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Il 3 giugno 1850 Verdi scriveva a Piave: «In quanto al titolo quando non si possa tenere Le roi s’amuse, che sarebbe bello… il titolo deve essere necessariamente La maledizione di Vallier, ossia per essere più corto La maledizione. Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande». La decisone finale sul titolo cadde sul nome del protagonista, cambiandolo da Triboletto, traduzione “letterale” dell’originale Triboulet, a Rigoletto (dal francese rigoler, che significa scherzare).

Intenso dramma di passione, tradimento, amore filiale e vendetta, Rigoletto non solo offre una combinazione di ricchezza melodica e potenza drammatica, ma pone lucidamente in evidenza le tensioni sociali e la subalterna condizione femminile in una realtà nella quale il pubblico ottocentesco poteva facilmente rispecchiarsi. Dal punto di vista musicale abbiamo, fin dal preludio, il ripetersi costante del tema della maledizione, tramite la ripetizione della nota Do in ritmo doppio puntato.

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